Israele e Hamas

Come non vincere una guerra: negoziati, procrastinazione e potenziamento del terrore

La guerra avviata dall’IDF a Gaza per liberare gli ostaggi e sradicare Hamas si trascina ormai da oltre sedici mesi. Circa 58 ostaggi, due dozzine dei quali forse ancora vivi, sono tuttora nelle mani dell’organizzazione terroristica palestinese, che non è stata ancora sconfitta né sradicata.

La guerra doveva essere combattuta immediatamente, quando, anche a livello mediatico, le immagini terrificanti del massacro del 7 ottobre erano ancora vivide nella memoria. È noto che l’opinione pubblica dimentica in fretta, soprattutto quando le vittime sono ebrei o israeliani.

Come se non bastasse, il prolungarsi della guerra ha portato a un rapido aumento dell’antisemitismo a livello mondiale, a seguito della purtroppo efficace macchina propagandistica di Hamas, che ha trovato terreno fertile tra gli odiatori di Israele in Occidente.

Inoltre, la situazione è diventata problematica anche a livello interno, con ripercussioni sull’economia e sul turismo, esacerbando le già forti divisioni interne al Paese e, ultimo ma non meno importante, a livello internazionale la situazione ha creato anche notevoli problemi diplomatici per Israele. Oltretutto, un simile approccio distrugge anche il morale delle truppe che non capiscono quale sia il senso di andare a combattere in queste condizioni.

Il principale “mantra” invocato ossessivamente per evitare l’occupazione di Gaza e lo sradicamento di Hamas è stato “hanno gli ostaggi”.

Sicuramente questo è un problema che non va sottovalutato, inutile negarlo. Dobbiamo chiederci, tuttavia, perché il governo guidato da Netanyahu, se è davvero interessato al negoziato, non abbia cercato immediatamente il rilascio di tutti gli ostaggi, invece di attuare il meccanismo del “pochi alla volta” che in ogni caso metteva a rischio la vita di chi rimaneva nelle mani di Hamas. Non è un caso che oggi si parli di venti ostaggi ancora vivi su sessanta. Anche dopo aver ottenuto il rilascio del maggior numero possibile di ostaggi e avere compreso che Hamas non avrebbe consentito ulteriori rilasci, perché non intervenire una volta per tutte? Perché prolungare il conflitto così a lungo? Siamo arrivati ​​al punto che, con meno di due dozzine di ostaggi ritenuti vivi, il governo israeliano accetta ancora il gioco del “pochi alla volta”, mentre Hamas dovrebbe semplicemente essere messa nella posizione di rilasciare tutti, o peggio. Sia chiaro: gli obiettivi di salvare tutti gli ostaggi e vincere la guerra (il che implica lo sradicamento di Hamas) sono inconciliabili. Non si possono salvare tutti gli ostaggi e nel frattempo sconfiggere Hamas.

Se si vuole salvare tutti, bisogna negoziare e accettare le richieste avanzate da Hamas. Ovviamente, questo non avrebbe dovuto essere fatto, perché avrebbe significato soccombere al terrorismo, perdere la guerra e legittimare ulteriori attacchi in stile 7 ottobre, mettendo in pericolo Israele e la Diaspora. Sarebbe stata una grande vittoria per il terrorismo mondiale.

D’altro canto, l’obiettivo di vincere la guerra e sradicare Hamas avrebbe richiesto un approccio completamente diverso. Hamas governa Gaza e il conflitto deve concentrarsi sulla conquista del territorio nemico, occupandolo e soffocando i terroristi al potere fino alla loro capitolazione, liberando nel frattempo il maggior numero possibile di ostaggi con l’uso della forza. È certamente un rischio, ma ogni opzione ha il proprio. Allo stato attuale della situazione, con una ventina di ostaggi ancora vivi, non ha senso continuare a negoziare.

Il modo migliore per non vincere una guerra, non sradicare il nemico dal territorio e prolungare il conflitto è:

1- Utilizzare la tattica “colpire e andarsenne” senza prendere completamente il controllo del territorio. Può funzionare per una controinsurrezione temporanea, ma non se l’obiettivo è sconfiggere il nemico definitivamente.

2- Effettuare raid aerei senza una successiva operazione terrestre su larga scala. Questo non fa che aumentare ulteriormente la rabbia del nemico (picco di motivazione).

3- Consentire l’ingresso degli aiuti umanitari senza assicurarsi che non raggiungano il nemico invece che i civili.

Un simile approccio non solo non neutralizza completamente la capacità operativa del nemico, ma ne accresce la motivazione alla ritorsione (in effetti, di recente sono stati lanciati ancora razzi da Gaza). Inoltre, porta anche a un aumento del sostegno internazionale da parte di coloro che condividono la causa “antisionista”.

Ulteriori negoziati non faranno altro che peggiorare la situazione per Israele, per la Diaspora ebraica, gli israeliani all’estero e per gli ostaggi. Chi trae vantaggio da un’ulteriore procrastinazione nello sradicamento di Hamas? Di certo non Israele.

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.thewashingtonoutsider.com/how-not-to-win-a-war-negotiations-procrastination-and-terror-empowerment/

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