Il movimento dissidente sovietico si divideva in due schieramenti distinti. Il primo era guidato da Andrej Sacharov e lottava contro l’Unione Sovietica in nome dei diritti umani universali e delle libertà personali. Il secondo, invece, era condotto da Solženicyn, e si opponeva all’URSS in nome di un’«originaria» identità russa, sintetizzata dal motto «Autocrazia, Ortodossia, Nazionalità». Si trattava di una continuazione della storica divisione dell’intellighenzia russa tra «occidentali» (Čaadaev, Belinskij, Herzen) e slavofili.
Al «gruppo» di Sacharov appartenevano i nomi più autorevoli della dissidenza, tra cui quello di Natan Sharansky, il rappresentante più carismatico dei mesoravei aliyah, ossia degli ebrei di cittadinanza sovietica ai quali era rifiutato il «diritto al ritorno» in Eretz Israel, meglio noti come refusniks, i «rifiutati».
Nella sua lotta contro il Golia sovietico, Sacharov ebbe come amorevole alleata sua moglie, Yelena Bonner, ebrea, figlia di due dirigenti comunisti caduti in disgrazia nel periodo del Grande Terrore staliniano – suo padre fu giustiziato nel 1938. Nel 1980 venne esiliata col marito nella città chiusa di Gorkij e, nel 1984, processata per «sovversione antisovietica» e condannata all’esilio interno, con divieto assoluto di abbandonare i confini della città.
Nel 2000 le venne conferito il Premio Hannah Arendt per il pensiero politico. In quell’occasione denunciò il potere illimitato del presidente Vladimir Putin, l’espansione del controllo statale sui mass media, l’antisemitismo russo e «il genocidio de facto del popolo ceceno». Donna schietta e coraggiosa, Yelena Bonner assunse una chiara posizione filoisraeliana.
Nel maggio del 2009, tenne un discorso alla prima edizione dell’Oslo Freedom Forum, nel corso del quale espresse sdegno per il fatto che suo marito e Arafat fossero «membri dello stesso club dei premi Nobel». Sacharov – ricordò la Bonner – nei suoi numerosi interventi espresse sempre un accorato sostegno a Israele e ricusò «l’irresponsabilità dei leader arabi».
Rigettò la soluzione dei «due popoli due stati» («il loro piano “Due stati per due popoli” è la creazione di uno stato etnicamente ripulito dagli ebrei») e pure il «diritto al ritorno» dei palestinesi («Immaginate Israele quando vi si riverseranno altri cinque milioni di arabi e il loro numero supererà di gran lunga quello degli ebrei»); accusò la comunità internazionale per i diritti umani per non aver fatto nulla per il soldato Gilad Shalit («Perché la sorte del soldato israeliano Gilad Shalit non ti preoccupa, a differenza di quella dei prigionieri di Guantanamo? […] Shalit è un soldato israeliano, Shalit è un ebreo. Quindi, ancora una volta, antisemitismo consapevole o inconsapevole. Di nuovo fascismo») e, autentica sorpresa, ribadì la sua difesa a spada tratta dell’operazione «Piombo fuso» del gennaio del 2009.
Pochi mesi prima di tenere il suo discorso a Oslo, la Bonner scrisse un articolo a sostegno delle azioni militari israeliane di quell’anno, dichiarando: «L’operazione “Piombo fuso” deve essere portata avanti fino in fondo, fino alla completa distruzione delle strutture militari di Hamas. Ogni cessate il fuoco porta a un nuovo accumulo di armi a Gaza, all’addestramento della prossima generazione di terroristi e a una nuova ondata di violenza». E così concludeva il suo scritto: «È giunto il momento che gli attivisti per i diritti umani trovino una risposta alla seguente domanda: Israele ha diritto a un’esistenza pacifica entro confini sicuri oppure, oppure, in conformità alle richieste dei leader palestinesi, iraniani e di altri paesi (e qui la nostra Russia è complice), dovrebbe essere gettato a mare?».
Da attivista per i diritti umani di un Paese totalitario, Yelena Bonner fu atterrita dall’ipocrisia, dalla malafede e dall’assoluta mancanza di chiarezza morale di molti suoi colleghi occidentali. Il Centro Sakharov, da lei fondato nel 1990, come l’organizzazione Memorial, è stato chiuso nel 2023 con l’accusa di aver violato la «legge sugli agenti stranieri».
Yelena Bonner è deceduta nel 2011, in tempo per non vedere l’invasione russa dell’Ucraina, il massacro del 7 ottobre e la nuova ondata globale di antisemitismo. Non sarebbe sorpresa di vedere i sostenitori di Putin e quelli di Hamas manifestare insieme contro due democrazie sotto assedio e farlo pervertendo le nobili nozioni di «pace», «giustizia» e «civiltà».
Risuona la domanda implicita dei suoi ultimi scritti: come difendere al meglio i diritti umani e la libertà, quando le ideologie omicide sequestrano il lessico dell’umanitarismo? In un tempo in cui il dissenso è risucchiato dal conformismo morale, il pensiero libero e integro di Bonner resta un faro per chi, oggi, ancora sceglie di non distogliere lo sguardo dalla realtà.
