Interviste

La struttura della disinformatia: Intervista a Massimiliano Di Pasquale

Massimiliano Di Pasquale è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).

L’informale ha voluto di nuovo intervistarlo (due sue interviste sono apparse qui il 12 luglio 2021 e il 25 febbraio 2022).

Secondo alcuni quotidiani nazionali, il Copasir sarebbe stato messo a conoscenza di una «lista» di persone che lavorano per costruire campagne a favore della Russia nei principali mass media. A suo avviso, si tratta di una rete organizzata dal Cremlino oppure di soggetti che operano autonomamente? 

Si tratta di un tema critico e oltremodo sensibile. Tutte le volte che si sollevano tali questioni, si viene accusati di «maccartismo», di compilare «liste di proscrizione», di creare un clima di «caccia alle streghe» e via dicendo. Proprio in riferimento a questa vicenda, molti hanno tirano in ballo il tema delle «liste di proscrizione», una cosa avvenuta anche ai tempi della Commissione Mitrokhin. Ci sono delle analogie in tal senso: anche in questo caso c’è un tema importante, legato alla vulnerabilità del nostro Paese, che è oggetto di misure attive da parte di una potenza straniera, che con estrema superficialità diventa uno strumento per conflitti e regolamenti di conti tra gruppi editoriali e giornalisti. Un fenomeno che sposta il focus dal nucleo della vicenda alla lite di bottega. Tornando alla sua domanda: è probabilmente un insieme delle due cose. Alcuni sono stati reclutati per fare questo tipo di operazione, quindi agiscono sulla base di input provenienti dal Cremlino (anche se è difficile dimostrarlo); altri, per convinzioni ideologiche, finiscono per diventare «utili idioti», come li definiva Lenin. Alla fine, però, non è così importante sapere se siano pagati o no, il problema vero è che alcuni outlet della propaganda russa, come Sputnik e Russia Today, sebbene messi alla porta con le sanzioni, rientrano dalla finestra per mezzo di «opinionisti» che ripropongono le narrative del Cremlino. Le faccio un esempio abbastanza eclatante: tale Marinella Mondaini su L’Antidiplomatico, scrive che la strage di Bucha sarebbe una fiction. Non è importante sapere se l’autrice sia sovvenzionata da Mosca, ma da studioso rilevo che questa «opinionista» rilancia le stesse narrative del Cremlino a favore della guerra diffuse da media statali russi sanzionati dall’Unione Europea per il loro ruolo attivo nel conflitto ucraino. RT e Sputnik, è utile ricordarlo al pubblico italiano, non sono organizzazioni operanti nel settore dei media, ma armi dell’inganno del Cremlino. Margarita Simonyan, caporedattrice di RT, ha pubblicamente equiparato l’importanza di RT a quella della necessità per la Russia di avere un ministero della Difesa. RT, sono parole della Simonyan, è in grado di «condurre una guerra dell’informazione contro tutto il mondo occidentale», utilizzando «l’arma dell’informazione» 

Ciononostante, appena si solleva questo tema, si viene accusati di voler limitare la libertà di espressione, ma le cose non stanno così. È come se al tempo di Hitler, le democrazie avessero reputato normale la diffusione della propaganda nazista e antisemita. In Italia, a causa del clima che si è creato, non vi è una reale percezione della gravità della situazione che stiamo vivendo. Ma torniamo un attimo al tema delle «liste di proscrizione». Chi sarebbero questi sedicenti «proscritti»? Si tratta di gente che tutte le sere è in televisione, quando i veri esperti di Ucraina e disinformazione non ci vanno, perché nessuno li invita. Una situazione paradossale. Bisogna tenere conto anche della dimensione commerciale. I programmi che vorrebbero essere di approfondimento, finiscono per essere programmi di infotainment, dove si affronta la guerra in corso con la leggerezza di una discussione sugli amori delle soubrette. Sono tutti fattori che, sommandosi, danno vita al particolare «ambiente» italiano. Nemmeno in Paesi indulgenti verso Putin come Francia e Germania si ospitano propagandisti russi sanzionati dall’UE come Solov’ëv, Fridrikhson o lo stesso Lavrov. Un panorama inquietante. 

Perché in questi anni non si è vigilato sulle attività del Cremlino in Europa? Può indicarci le principali strategie della disinformazione russa? 

Anche questo è un tema difficile da affrontare. Dobbiamo distinguere tre piani: un piano europeo, poi quello italiano e all’interno di questo le attività svolte dagli organi preposti a questo tipo di vigilanza e il ruolo della politica. Noi non sappiamo cosa ha fatto l’AISI, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, il successore del SISDE, in questi anni. Con tutta probabilità ha fatto delle attività di monitoraggio, ma poi l’azione spetta alla politica. Il paradosso è questo: un sistema «aperto», liberaldemocratico, è molto più esposto a queste minacce. Ma facciamo un esempio concreto per capire meglio: il senatore Vito Petrocelli, ex 5 Stelle, che non fa mistero delle sue simpatie per Russia e Cina, il 25 aprile, pubblica un tweet contenente la Z simbolo della guerra russa in Ucraina. A parte stigmatizzare questo comportamento apologetico della guerra di Putin concretamente non si può fare molto. Però è necessario porsi il problema: il senatore sta agendo su spinta russa? È necessaria una maggiore consapevolezza in merito a questi temi, che però incontrano l’indifferenza della società. In queste settimane, la guerra è passata in secondo piano, si discute di vacanze e aperitivi. Il livello del dibattito italiano è molto basso. I disinformatori russi, in Europa, non hanno fatto altro che riproporre gli stessi messaggi informativi dell’era sovietica (critica ai valori delle «false» democrazie etc) e grazie ai nuovi mezzi di comunicazione hanno raggiunto una platea molto più ampia. Inoltre, utilizzano temi sensibili per creare e alimentare delle divisioni, tecnicamente si chiama find the crack, ossia individuare delle fratture già in parte esistenti nel nostro sistema e radicalizzarle al fine di spaccare le società occidentali. Negli Stati Uniti degli anni Ottanta il tema poteva essere quello delle discriminazioni razziali, adesso, qua in Italia, sono i temi legati all’immigrazione, alla presunta crisi dell’euro e della UE, al COVID-19. La crisi globale dovuta al coronavirus è stata percepita dal Cremlino non solo come una minaccia per la sicurezza interna, ma anche come un’opportunità per minare l’UE e la NATO mediante specifiche campagne di disinformazione e propaganda sulla pandemia. A partire dalla primavera del 2020 le operazioni di information warfare russa sono state intensificate soprattutto in Italia, Paese considerato l’anello debole dell’UE e della NATO. Basti pensare all’operazione d’intelligence mascherata da aiuto effettuata nelle prime settimane dell’emergenza. Un episodio molto grave. L’allora premier Conte era consapevole di questa cosa? È difficile stabilirlo.  

La missione russa del 2020 fu un’operazione di spionaggio? 

Sì, qualcosa di simile. Era spionaggio, intendevano monitorare da vicino le basi NATO, ma anche presentarsi come «amici del popolo italiano», non a caso è stata chiamata «from Russia with love». Tecnicamente questo tipo di operazioni si definiscono misure attive dal russo Aktivnie Meropriyatiya. Sono qualcosa di più della semplice dezinformatsiya, sono un sistema di interferenze e ingerenze politiche che la Russia, sin dai tempi dei soviet, utilizza come armi politiche contro i Paesi che considera ostili.  

Ora come allora i russi tentano di accreditarsi come amici e alleati, culturalmente e storicamente vicini all’Italia, come se il Russkiy Mir di Putin avesse qualcosa a che fare con Dostoevskij. Sarebbe anche arrivata l’ora di leggere bene Dostoevskij, Tolstoj e Solženicyn, soprattutto quest’ultimo. Solženicyn, come ha giustamente sottolineato Eughenij Zacharov, presidente del Gruppo Ucraino di Helsinki dei difensori di diritti umani, è stato il leader di quella cerchia di dissidenti sovietici che credevano che tutto il male venisse dall’Occidente. La convinzione quasi profetica che la Russia abbia una missione speciale da compiere e che per essa non valgano le regole democratiche fa di Solženicyn, che negli ultimi anni della sua vita fu un sostenitore delle politiche di Putin, un monarchico vicino alle posizioni più reazionarie dell’ortodossia russa.  

Il «putinismo» attira nella sua orbita estremisti di destra e di sinistra. Quali sono gli elementi cardine dell’ideologia di Putin? Perché affascina così tanto? 

Putin attrae principalmente gli estremisti di destra e di sinistra, i cosiddetti rossobruni, che hanno posizioni molto critiche verso la NATO, l’UE e le democrazie liberali. Invece, la simpatia che riscuote in altri ambienti, deriva da ragioni più pragmatiche e d’interessi economici. Si tratta della distinzione, che ho elaborato nel paper L’influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani che ho redatto con Luigi Sergio Germani, tra neo-eurasisti e Russlanversther, quest’ultimi ritenevano che bisognasse avere buoni rapporti con Putin per ragioni economiche. La fascinazione per Putin nasce da una permanenza del mito dell’uomo forte unito a una cultura antiamericana e antioccidentale, ben presente in Italia, prevalente negli ambienti di sinistra nel secondo dopoguerra e in alcune correnti della destra radicale, come quella incarnata da Pino Rauti, un rossobruno ante litteram. Al tempo, la destra era filoatlantista a causa del suo anticomunismo. Sarebbe anche interessante riflettere se il pericolo fosse realmente il comunismo o il sistema russo in generale, fondamentalmente illiberale in tutte le sue declinazioni. Ho appena aggiunto un capitolo al mio libro in uscita, Ucraina terra di confine (Gaspari editore), nel quale ho analizzato i fondamenti teorici del sistema russo, tanto il fascismo cristiano di Ilyn, quanto le tracce di nazi-comunismo, una sintesi ideologica realizzata in piccolo da Slobodan Milošević. Andrebbe fatta anche una distinzione tra «ideologia del regime» e «copertura ideologica». Putin ha adottato un certo tipo di ideologia allo scopo di perseguire un preciso obiettivo politico: riacquistare una sfera d’influenza sui territori dell’ex Unione Sovietica. Gli occidentali, come ha ben spiegato lo storico americano Timothy Snyder, si illusero che il libero mercato potesse «liberalizzare» la Russia. Le tentazioni autoritarie di Putin vennero interpretate come elementi residuali di un Paese in cammino verso la democrazia. Putin è stato legittimato dai governi occidentali. Il fatto stesso di aver derubricato la questione cecena a un problema di politica interna era indicativo. Già al tempo, chi criticava la guerra in Cecenia, penso ai bellissimi reportage di Anna Politkovskaja, veniva accusato di essere «russofobo». La Russia è una cleptocrazia che usa il tema del «ritorno alla Tradizione» come copertura ideologica, con il contributo essenziale del Patriarcato ortodosso di Mosca e del suo vertice, Kirill, ex agente del KGB. Una cleptocrazia in via di disfacimento che attraverso la guerra cerca di consolidare il suo potere interno, una cosa fatta anche dall’Unione Sovietica con l’invasione dell’Afghanistan. Speriamo che la guerra in Ucraina porti al crollo dell’impero di Putin. 

È facile prevedere che, quest’inverno, i rincari dell’energia, l’aumento del prezzo della benzina e i termosifoni tiepidi, ridurranno ulteriormente il numero, già esiguo, degli italiani schierati al fianco dell’Ucraina, cosa dovrebbe fare il governo per evitare d’ingrossare ancora le fila dei sostenitori della resa incondizionata? 

Abbiamo bisogno di maggiore consapevolezza. Su questi temi ci sarà un attacco della propaganda russa, in parte già iniziato, per farci credere che le sanzioni non funzionano e che la Russia si è rafforzata. Porteranno avanti questo tipo di disinformazione. Dobbiamo capire che questa è una guerra all’Occidente e ai valori liberali, che Putin non si fermerà all’Ucraina se dovesse vincere. Molti non hanno compreso che la Russia è il vero ostacolo alla pace e al benessere economico. 

Dopo aver permesso a Israele di colpire gli obiettivi iraniani in Siria, adesso sembra che la Russia intenda proporre una risoluzione alle Nazioni Unite per condannare il bombardamento israeliano dell’aeroporto di Damasco. Israele può fidarsi della Russia di Putin e Lavrov? 

La Russia non è un alleato affidabile. Israele è costretto, in quello scacchiere geopolitico, a fare delle concessioni alla Russia. Penso che, con l’aggressione dell’Ucraina, anche a Gerusalemme si stiano interrogando sull’affidabilità della Russia. Le affermazioni di Lavrov sugli ebrei sono inquietanti. Molti ebrei se ne vanno dalla Russia per sfuggire all’oppressione di Putin. Gli ucraini si aspettavano un sostegno maggiore, però è anche vero che la comunità degli ex sovietici in Israele è abbastanza ampia. È una questione delicata. Israele dovrebbe considerare Putin come un alleato inaffidabile. In Ucraina, gli israeliani potrebbero essere molto utili con l’attività d’intelligence, un campo nel quale primeggiano. 

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