Interviste

Il profilo incerto del futuro: Intervista a Domenico Quirico

Domenico Quirico è uno dei più apprezzati inviati di guerra italiani. Corrispondente per il quotidiano La Stampa e caposervizio esteri. Attento alle vicende mediorientali, ha seguito da vicino il fenomeno delle Primavere arabe e la guerra civile siriana. Proprio in Siria è stato vittima di un sequestro durato tre mesi. Autore di diversi libri, ricordiamo Primavera araba. Le rivoluzioni dall’altra parte del mare (Bollati Boringhieri, 2011), Il grande califfato (Neri Pozza, 2015) e La sconfitta dell’Occidente (con Laura Secci, Neri Pozza, 2019). 

Ha cortesemente accettato di rispondere alle domande de L’Informale. 

In seguito all’aggressione russa dell’Ucraina, sono circolate numerose teorie che accusano Zelensky di essere un «burattino» dell’Occidente e la NATO di essersi «espansa» troppo a oriente. Quanto c’è di vero in queste tesi che accusano l’Alleanza Atlantica di aver «provocato» la Russia? 

Questo tipo di domanda non ha più senso, ma facciamo una premessa: fino a oltre quaranta giorni fa, quando Putin ha dichiarato alla Tv russa che avrebbe invaso l’Ucraina, su questo quesito avremmo potuto discutere a lungo, parlando degli errori e delle provocazioni reciproche, ma dal momento che il presidente russo ha realizzato un atto, ossia l’invasione, ogni risposta a questa domanda ha un senso relativo e ormai falsato. Si tratterebbe di una discussione meramente teorica. L’atto compiuto da Putin ha modificato qualunque tipo di analisi del passato. La sua domanda, al momento, non ha più un senso storico poiché, hegelianamente, chi fa una cosa modifica radicalmente tutto quello che c’era prima. 

Negli ultimi anni, la fiducia dei cittadini nella stampa cosiddetta «ufficiale» è diminuita considerevolmente, favorendo innumerevoli professionisti della «controinformazione». Quali criteri è necessario adottare per districarsi tra informazioni contrastanti e false? 

L’unico sistema che conosco è quello di controllare la fonte. Se una notizia proviene da un sito strampalato collegato al mondo rossobruno, che abbiamo imparato a conoscere anni fa e che si è scatenato sull’Ucraina, non si può fare altro che diffidare o passare oltre. Se, invece, la fonte appare onesta e affidabile, allora la notizia sarà credibile, premettendo che è sempre bene non affidarsi fideisticamente a nessuna fonte. È necessario mantenere sempre una capacità di giudizio individuale, una riserva mentale. Verificare, ad esempio, se l’informazione viene data da altre fonti o confermata dai fatti. Questa è l’unica risposta che posso darle. In ultima istanza posso dirle che la rete, purtroppo, ha sdoganato numerosi soggetti inaffidabili ed estremisti. 

Torniamo all’invasione russa dell’Ucraina. Il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, è stato immediatamente chiamato a mediare tra Kiev e Mosca. Quale ruolo può giocare Israele in questo conflitto? 

Devo correggere il tempo che lei ha utilizzato per questa domanda: quale ruolo avrebbe potuto giocare Israele. Qui nessuno può più fare alcunché dal punto di vista diplomatico. Si sono compiuti troppi passi in avanti per poter pensare a una trattativa. La diplomazia è morta e sepolta, come i cadaveri di Bucha, che sono reali. Le due parti, ormai, hanno deciso di farsi la guerra. La diplomazia, ripeto, è deceduta per una sua debolezza intrinseca. 

Allora modifichiamo i termini della domanda: che ruolo poteva giocare? 

Israele avrebbe potuto giocare un ruolo importante perché aveva connessi importanti sia con la Russia che con l’Ucraina, elemento necessario a ogni buon mediatore. Ma, come le dicevo, la situazione è andata avanti troppo rapidamente. Abbiamo iniziato pensando di poter piegare Mosca con le sanzioni, ma non ha funzionato, allora abbiamo inviato armi e adesso siamo alla creazione di una NATO planetaria. Nel frattempo, Washington, in mezzo a questa grave crisi internazionale, forse la più grave dai tempi di Cuba, ha inviato Nancy Pelosi a Taiwan per far intendere ai cinesi quali sono le intenzioni americane, certamente non arrendevoli. Ormai nessuna mediazione è possibile tra gli attori in campo. Gli ucraini sono riusciti a tamponare l’attacco iniziale dei russi, per fortuna, ma lo scontro si è polarizzato, opponendo Occidente e Asia, proprio quello che voleva Putin. 

Alcuni giorni fa, mentre il premier Draghi trattava nuove forniture di gas e petrolio con l’autocrate azero Aliyev, i soldati di Baku occupavano il villaggio di Parukh nell’Artsakh e uccidevano tre militari armeni. Ridurre le forniture di gas russo significa aumentare quelle provenienti dai Paesi musulmani e turcofoni. In futuro, Baku, Doha e Algeri come sfrutteranno la nostra accresciuta dipendenza dalle loro risorse energetiche? 

La prima risposta che mi viene in mente è che chiederanno omertà sui loro misfatti e la otterranno. Prenda l’Algeria, che ha citato, governata da un regime affaristico-militare-securitario, un regime fortemente oppressivo, non solo otterrà il silenzio sui suoi crimini ma si accrediterà ulteriormente presso i governi occidentali. Noi riusciamo a vedere solo un diavolo per volta. Fatichiamo a formulare un quadro complessivo della situazione globale. 

Mentre si consuma il conflitto in Ucraina, gli Stati Uniti stanno trattando con l’Iran un nuovo accordo sul nucleare. Se si dovesse giungere a un trattato non dissimile dal JCPOA sottoscritto dal presidente Obama, quale potrebbe essere la reazione di Israele? 

Per Israele, il problema iraniano è il problema per eccellenza. Un problema, per giunta, grave; dunque non credo che Gerusalemme accetterebbe un Iran nuclearizzato senza fare nulla. Ma non mi spingo oltre. In merito all’accordo, non penso che gli americani arrivino a permettere a Teheran di dotarsi di armi atomiche, gli europei forse sì, ma gli americani no. 

Oggi vediamo all’opera la protervia di Putin, mentre mesi fa abbiamo assistito al frettoloso ritiro degli americani dall’Afghanistan, lo spirito della sconfitta morde la civiltà occidentale? 

Lei usa un eufemismo, è stata una vera e propria fuga a gambe levate. Intanto, il termine «Occidente» è corretto e adeguato fino a un certo punto, bisogna distinguere tra Stati Uniti ed Europa, anche se si tende a sovrapporli. Gli Stati Uniti d’America sono ancora una grande potenza militare, superiore alla Russia, ma ha perso il suo nerbo morale. La forza in sé non significa nulla se non si ha il coraggio di usarla. Essa rimane sterile e ipotetica. Putin, con questa guerra sanguinosa, sta dicendo che ha la forza e la volontà di impiegarla. Al contrario, alcuni morti americani farebbero crollare Biden nei sondaggi. Ormai agli occidentali importano solo le elezioni. Il nostro non interventismo ha rafforzato Putin. Noi europei aiutiamo gli ucraini, sperando che riescano a vincere da soli, in modo da salvare la faccia; mentre, in futuro, gli americani potranno anche ricoprire un ruolo più attivo, nel tentativo di far impantanare i russi in Ucraina. Per Putin è una situazione difficile. Vincere e perdere determinerà il destino del suo regime. Gli statunitensi sono disposti, come le dicevo, a diventare più attivi, magari tirando dentro anche la Cina. Una situazione pericolosa. 

Prosegua. 

Non vorrei fare il menagramo, ma comunque vada questo conflitto, usciranno tre vincitori: Stati Uniti, Russia e Cina. Due potenze asiatiche e una occidentale. L’Europa sarà collocata ai margini. Il Vecchio continente avrebbe potuto mettere in campo la sua arte più raffinata, ovvero la diplomazia. All’inizio di questa storia c’erano dei modi per evitare la guerra senza arrendersi. La diplomazia serve proprio a non alzare bandiera bianca. 

Può fare un esempio? 

Prima di tutto evitare il manicheismo, presentare lo scontro in atto come una lotta tra Dio e il Diavolo. Poi, non dimentichiamo che c’erano gli Accordi di Minsk, che potevano costituire una base. Adesso gli ucraini vogliono riprendersi il Donbass e sono convinti di poterlo fare con il supporto dell’America. Vede, la diplomazia permette di tornare sui propri passi, di correggere gli errori, l’opzione militare no, questa è progressiva. Abbiamo bisogno di creare un nuovo ordine internazionale. 

 

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