Israele e Medio Oriente

Moshé Dayan: le sue parole del ’56 sono ancora attuali

Abbiamo riletto recentemente il discorso che Moshé Dayan pronunciò il 30 aprile del 1956, come elogio funebre per il soldato Ro’i Rothberg, ucciso a Gaza qualche giorno prima. Discorso poi diventato per anni testo di studio in tutti i licei del fresco stato ebraico. Dopo averlo letto abbiamo avuto la sensazione di un tempo immobile, cristallizzato, malgrado l’inesorabile panta rei eracliteo che tutto trascina. Cosa diceva l’allora capo di Stato Maggiore?

Ascoltiamolo.

Noi sappiamo bene che, per ridurre al nulla la loro speranza di annientarci, bisogna che siamo armati e sul chi vive, dal mattino alla sera. Noi siamo la generazione degli insediamenti, e, senza il casco d’acciaio e la bocca del cannone, non potremmo né piantare un albero né costruire una casa. Non ci sarà vita per i nostri bambini se non scaviamo dei rifugi, e senza mitragliatrici e fili di ferro spinato è fuori discussione lastricare strade o scavare pozzi”.

Possiamo fermarci qui e sostituire alcuni termini anacronistici, “i caschi d’acciaio” e “la bocca del cannone”, ma non cambierebbe certo la sostanza. Dal ’56 a oggi il film è il medesimo, eppure di acqua sotto i ponti ne è scorsa in abbondanza, con abbondanza di governi e di nomi ormai incisi nelle lapidi. Il filo spinato sussiste ancora, come i chekpoints, e uno dei migliori eserciti del mondo a difendere questa democrazia sorta nel deserto e circondata da satrapie e teocrazie che più volte hanno tentato di annientarla.

Sì, Israele è nato, anzi è dovuto nascere come uno stato militarizzato, come ben vedeva Martin Buber il quale, nel suo umanesimo idealista non accettava questa sorte. Ma Israele è stato obbligato ad avere Marte come levatrice. Oggi, ci chiedimo cosa ci sia di più emblematico per noi che viviamo in Europa e ci siamo lasciati alle spalle le devastazioni di una guerra, l’ultima, in cui una nazione preda del delirio voleva sostituire alla democrazia una distopia totalitaria, di questo piccolo paese, che si ostina a sopravvivere e a difendere per sé e per tutti, gli stessi valori che il nazifascismo voleva obliterare?

Sono solo 70 anni che siamo usciti dalla più grande carneficina della storia, in cui gli ebrei, come popolo, hanno pagato un prezzo mai pagato da nessuno prima. Sono 68 anni che Israele, l’incubo di un altro annientamento, diversamente da noi, non ha mai potuto metterlo da parte.

Israele, nella sua guerra sospesa permanente, ci ricorda ogni giorno quanto costi e quanto valga la pena e la fatica, quella libertà di cui ci siamo dimenticati completamente il prezzo esorbitante che abbiamo pagato per averla.

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