Storia di Israele e dell’Ebraismo

Il discorso di Sharon il giorno dello sgombero degli israeliani da Gaza

15 agosto 2005, è stata questa la data della scadenza ultima per rimuovere tutti gli abitanti israeliani dalla striscia di Gaza e da quattro insediamenti della Cisgiordania, nell’ambito del Piano di disimpegno unilaterale avviato dall’allora premier israeliano Ariel Sharon a partire dal 6 giugno 2004.
Sono stati giorni molto duri, in quell’agosto 2014. Alcuni israeliani irriducibili, che rifiutavano di lasciare le loro case accettando il piano di compensazione del governo, sono stati sfrattati dall’esercito. Lo sgombero è stato completato tra il 12 e il 22 settembre 2005 in un clima infuocato. 
Ma in quel 15 agosto, data ultima per lasciare volontariamente le case, Ariel Sharon in diretta televisiva ha fatto un discorso destinato a rimanere nella storia, chiarendo che “Israele non può tenersi Gaza per sempre” e che “Ora i palestinesi dovranno scegliere tra la pace e il terrore”.
Parole che dovrebbero essere lette e rilette da tanti antisionisti di oggi, che definiscono Israele uno stato canaglia e occupante, i palestinesi un popolo oppresso e hanno definito Sharon “dittatore sanguinario”.
Probabilmente, per colpa dei palestinesi, lo sgombero di Gaza non ha ottenuto gli effetti sperati. Ma tutto si può dire, tranne che Israele non abbia provato a fare un passo avanti verso la pace.
Ecco il discorso di Sharon, che morirà l’11 gennaio 2014

Il giorno è arrivato. Comincia il passo più difficile e doloroso di tutti: evacuare le nostre comunità dalla Striscia di Gaza e dalla Samaria del nord (Cisgiordania, ndr). Questo passo è molto difficile per me, personalmente. Non è a cuor leggero che il governo di Israele ha preso questa decisione sul disimpegno e il Parlamento non l’ha approvato a cuor leggero. Non è un segreto che io, come tanti altri, ho creduto e sperato che saremmo potuti restare per sempre a Netzarim e Kfar Darom.

Ma la realtà che cambia nel paese, nella regione e nel mondo mi ha richiesto di cambiare posizione. Non possiamo stare a Gaza per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e il loro numero raddoppia ad ogni generazione. Vivono ammassati nei campi profughi in povertà e nella disperazione, in focolai di odio crescente senza speranze né orizzonte. È perché siamo forti, non perché siamo deboli, che facciamo questo passo.

Abbiamo provato a trovare accordi con i palestinesi per portare i nostri popoli alla pace, ma i nostri tentativi si sono schiantati contro un muro di odio e fanatismo. Il piano di disimpegno unilaterale che ho annunciato due anni fa è la risposta israeliana a questa realtà. Questo piano farà il bene di Israele nel futuro. Noi riduciamo così gli scontri giornalieri e le vittime da entrambe le parti. L’esercito israeliano si riunirà di nuovo lungo le linee difensive dietro il recinto di sicurezza. Quelli che continueranno a combatterci, incontreranno la piena forza dell’esercito israeliano e delle sue forze di sicurezza.

Ora tocca ai palestinesi. Loro devono combattere le organizzazioni terroristiche e smantellare la loro infrastruttura e mostrare intenzioni sincere per ottenere la pace e sedersi con noi al tavolo delle trattative. Il mondo aspetta la risposta palestinese, una mano tesa per la pace o il fuoco del terrore. A una mano tesa noi risponderemo con un ramo d’ulivo, ma risponderemo con durezza al fuoco con il fuoco. Il disimpegno ci permetterà di guardare in casa nostra. La nostra agenda nazionale cambierà. Per quanto riguarda le politiche economiche saremo liberi di occuparci delle divergenze sociali e di combattere davvero la povertà. Miglioreremo l’educazione e aumenteremo la sicurezza personale di ogni cittadino del paese.

La disputa intorno al piano di disimpegno ha provocato ferite, astio tra fratelli e parole e azioni forti. Capisco il dolore e il tormento di chi si oppone ma noi siamo un solo popolo anche quando combattiamo e discutiamo. Residenti di Gaza, oggi noi poniamo fine a un capitolo glorioso della storia di Israele, un episodio centrale nelle nostre vite di pionieri, di realizzatori del sogno di coloro che hanno portato il peso della sicurezza e degli insediamenti sulle loro spalle per tutti noi. Il vostro dolore e le vostre lacrime sono parte inestirpabile della storia del nostro paese.

Qualunque cosa succeda, noi non vi abbandoneremo e dopo l’evacuazione faremo di tutto per ricostruire le vostre vite e comunità di nuovo. Voglio dire ai soldati e alla polizia: voi dovrete affrontare una missione difficile. Non fronteggerete un nemico, ma fratelli e sorelle. L’ordine di oggi è sensibilità e pazienza. Sono sicuro che questo è il modo in cui agirete. Voglio che sappiate che la gente è con voi ed è fiera di voi. Credetemi, il dolore che provo nel compiere questo atto è pari alla consapevolezza che è necessario farlo.

Intraprendiamo una nuova strada che ha non pochi rischi ma che contiene anche un raggio di speranza per tutti noi. Con l’aiuto di Dio, questa sarà una strada che porta all’unità e non alla divisione, che non porta all’odio tra fratelli ma all’amore incondizionato. Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità perché sia così.

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