Editoriali

Accoltellare gli ebrei ora è una hit | di Fiamma Nirenstein

Sul Giornale di oggi, Fiamma Nirenstein si sofferma sulla situazione in Medio Oriente, ponendo attenzione sulle discutibili parole di Ban Ki-moon, che sono apparse come una giustificazione del terrorismo palestinese. Grave che questa possa essere la posizione ufficiale dell’Onu.
Nel suo editoriale, come di consueto, Fiamma Nirenstein non le manda a dire.

Quando Ban Ki-moon giustifica il terrorismo palestinese parlando di frustrazione, di un’attesa troppo lunga di uno stato indipendente, si intuisce che nessuno nel suo staff gliel’ha cantata abbastanza chiara sulle motivazioni dei terroristi.

Cantata, sì, in senso proprio: e i titoli della canzoni sono parecchi e suggestivi. Per esempio: «Gli amanti del pugnale», che è la hit più forte. Ma poi ci sono anche: «Pugnala il sionista»; «Riempi la bottiglia di fuoco» (bottiglia molotov, si direbbe); «In alto l’arma». La prima di queste canzoni palestinesi ha fatto cinque milioni di visualizzazioni su YouTube e la canta il gruppo Al Gorbaa. Nel video la madre del «martire» Mohammed Ali al Liqdad, che ha pugnalato tre persone a Dicembre alla Porta di Damasco della Città Vecchia a Gerusalemme prima di venire ucciso dalle forze dell’ordine, canta le parole della canzone popolare in testa al funerale. Le canzoni di incitamento a uccidere non parlano mai di ricerca di un futuro Stato, di una soluzione di pace, nemmeno di due Stati per due popoli, sono inviti, ormai riprodotti dagli altoparlanti delle auto, dei negozi, delle case, a uccidere più ebrei possibile per puro odio. Le canzoni della morte vanno per la maggiore, e se ne rende ben conto Hamas che le trasmette di continuo sulle sue tv «Al Aqsa» e «Al Quds». Come fossero elementi di naturale ammirazione e attrazione dell’audience, si vedono su quella colonna sonora le foto degli «eroici shahid» con molto materiale di documentazione che mostra gli attacchi in sequenza. Per esempio si ammira spesso il momento in cui Alaa Abu Jamal, che prima della scelta terrorista era un impiegato della compagnia di stato israeliana dei telefoni, Bezeq, mentre si proietta con l’auto su un gruppo di persone in attesa alla fermata dell’autobus, e là uccide il 40enne Yeshayahu KIrshavski. Anche la tv del Fatah «moderato» di Abu Mazen, che nella fantasia dell’Onu vorrebbe tornare al tavolo del negoziati trasmette per non essere da meno le canzoni che sono ormai la colonna sonora del terrore. Per esempio «In alto l’arma» è una delle sue hit, e dice «Affogali in un mare di sangue, uccidili come vuoi» e poi mette giù un elenco di esempi di «martiri». La cantante dice anche: «Sfida la morte e resisti, perché la vittoria sta per giungere».

L’esaltazione comunicata dalle canzoni è una vera droga: per esempio il 26 ottobre Red Jaradat, 22 anni, subito prima di andare a pugnalare un soldato nel collo, ha postato su Facebook la clip di «Gli amanti del pugnale». Una delle spiegazioni del terrorista è spesso la difesa della moschea di Al Aqsa, l’idea che gli israeliani vogliano appropriarsene. Non è vero, ma la musica esalta gli animi già influenzati a uccidere e a morire: Al Aqsa è lo slogan preferito non solo di Hamas, organizzazione islamista che usa naturalmente l’approccio religioso, ma anche del Fatah. Le due parti in gioco, particolarmente in concorrenza per l’opinione pubblica palestinese, gareggiano in incitamento al terrorismo. Se Hamas invita al terrorismo suicida, è Fatah che paga stipendi a chi è in carcere per terrore. Il giuoco al rialzo della violenza, incoraggiato dalla compiacenza dell’Onu e dalla insistita disapprovazione europea e americana che si esprime adesso con la decisione del labeling dei prodotti del West Bank, ha come sbocco naturale soltanto scenari bellicistici. È strano che Ban Ki moon pensi che può servire giustificare il terrorismo. È di ieri la valutazione di un alto ufficiale israeliano che Gaza, che ha costruito nuovi tunnel e accumulato nuovi missili, sia pronta a una nuova guerra.

Abbiamo ritenuto opportuno riportare interamente le parole di Fiamma Nirenstein, facendole nostre.

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