Israele e ONU

All’ONU vige l’apartheid

Comunemente si è portatati a pensare che l’ONU sia un’organizzazione dove vige una sostanziale uguaglianza tra gli Stati membri. Ad eccezione degli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (USA, Russia, Gran Bretagna, Cina e Francia), che hanno diritto di veto e quindi hanno un potere maggiore rispetto a tutti gli altri Stati membri, gli altri Stati dovrebbero avere “sovrana uguaglianza” come recita il primo paragrafo dell’Articolo 2 dello Statuto ONU.

Il principio di uguaglianza tra gli Stati è un aspetto fondamentale dell’ONU ed è alla base del funzionamento stesso delle sue agenzie, delle sue numerose commissioni e della Corte di Giustizia Internazionale che è il suo massimo organo legale. Questo principio è stato ribadito dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1970 con l’approvazione della Risoluzione 2625 denominata “Dichiarazione sui principi di diritto internazionale relativi alle relazioni amichevoli e alla cooperazione tra gli Stati in conformità allo Statuto dell’ONU”.

Per queste ragioni e principi si è portati a credere che l’ONU sia un “santuario” di protezione del diritto internazionale e il luogo dove le regole e il trattamento siano uguali per tutti gli Stati membri. Ma, come vedremo, questi fondamentali principi non solo non sono rispettati, ma di fatto, all’ONU, vige un autentico sistema di apartheid nei confronti di un unico Stato: Israele. Questo è avvenuto, e avviene tutt’oggi, perché ad Israele non è permesso partecipare a tutte le attività dell’ONU, alla formazione delle commissioni, dei consigli delle Agenzie, ad un equo sistema di difesa giuridica, e a essere membro dei numerosi forum internazionali. Inoltre a Israele è preclusa la possibilità di difendersi nelle sedi competenti ma deve invocare l’aiuto altrui (quasi sempre gli USA).

Come nasce questo sistema “segregazionista” nei confronti di Israele? Con il sistema – non sancito dallo Statuto ma di fatto vigente – del sistema dei gruppi regionali.

Il Sistema dei gruppi regionali

Il sistema di rappresentazione degli Stati presso l’ONU è nato con l’intento di presentare un’”equa rappresentazione geografica” degli Stati nell’Organizzazione mondiale e per dare la possibilità a tutti gli Stati del mondo – facenti parte dell’ONU – a prescindere dalla loro grandezza, capacità economica, politica e militare di essere parte del sistema decisionale del mondo. L’eminente giurista britannico Sir Robert Jennings, che è stato anche Presidente della Corte di Giustizia Internazionale, così l’ha definito: «Il sistema dei gruppi regionali è diventato il meccanismo centrale della rappresentanza e della partecipazione dei membri delle Nazioni Unite nel sistema dell’ONU. L’appartenenza a un gruppo regionale è l’unico modo per garantire la piena partecipazione ai lavori del sistema delle Nazioni Unite.». Inoltre, afferma Jennings: «l’appartenenza ad un gruppo regionale è l’unico modo con il quale uno Stato può presentare il proprio candidato per qualsiasi posizione».

Come si può facilmente intuire dalle parole di Jennings, bisogna necessariamente fare parte di uno dei gruppi regionali dell’ONU per poi venire eletto al Consiglio di Sicurezza come membro non permanente, per far parte dei Consigli (come ad esempio quello dei Diritti Umani), per far parte delle commissioni che studiano le leggi e le disposizioni che diverranno, eventualmente, trattati internazionali o  convenzioni, oppure per far nominare un proprio rappresentante in seno alla Corte di Giustizia Internazionale o della Corte Penale Internazionale ecc.

Il principio generalmente vigente all’interno del sistema dei gruppi regionali dell’ONU, è quello di eleggere a turno gli Stati che, di volta in volta, rappresenteranno il gruppo nel Consiglio di Sicurezza, nel Consiglio dei Diritti Umani, nelle commissioni, nelle sotto-commissioni ecc. Non vi è altro modo. I gruppi all’ONU sono così suddivisi: 1) gruppo dell’Europa Occidentale e altri (per altri si intendono le democrazie di altre aree geografiche come Australia, Nuova Zelanda, Canada ecc.); 2) gruppo dell’Europa Orientale 3) gruppo asiatico; 4) gruppo africano; 4) gruppo dell’America Latina e Caraibi. Israele per posizione geografica dovrebbe far parte del gruppo asiatico ma ne è sempre stato escluso per volere dei paesi arabi e musulmani. Perciò fin dalla creazione dei gruppi regionali, Israele non fa parte di nessun gruppo. E questo non ha destato nessuno sdegno nella comunità internazionale. Nessuna presa di posizione forte e decisiva è mai stata compiuta dagli USA o da un qualsiasi paese della UE, compresa l’Italia, o da altri, per mettere rimedio a questa palese ghettizzazione dello Stato ebraico che di fatto gli preclude di partecipare a un qualsiasi forum decisionale in ambito internazionale. Questa situazione si avvicina molto al sistema dell’apartheid? Si. Non è una palese violazione dello Statuto stesso dell’ONU? Si, ma nell’indifferenza generale. Nel 2000, dopo decenni di inerzia, ad iniziare da quella dei vari Segretari Generali che si sono succeduti e degli Stati “democratici” e di “diritto”, Israele è stato inserito “temporaneamente” come Stato osservatore nel gruppo Europa Occidentale e altri. Però l’inserimento temporaneo (in attesa che venga ammesso nel gruppo asiatico ma sono passati più di 20 anni) in questo diverso gruppo geografico come Stato osservatore, e non come Stato a pieno diritto, gli preclude ancora di essere eletto in qualsiasi agenzia, commissione o al Consiglio di Sicurezza. In pratica nulla è cambiato e la discriminazione è ancora in corso. La situazione di Israele all’ONU è stata bene sintetizzata dall’ex ambasciatore all’ONU Alan Baker: «In una situazione del genere, Israele non può mai presentare la propria candidatura a membro del Consiglio di sicurezza, del Consiglio Economico e Sociale, o degli altri maggiori organi delle Nazioni Unite come la Corte Internazionale di Giustizia; le viene negata ogni possibilità di far scegliere i propri giuristi come candidati alle maggiori istituzioni legali, ai tribunali e alle corti all’interno del sistema delle Nazioni Unite e non può partecipare alle consultazioni tra Stati, organizzati all’interno del sistema dei gruppi regionali, per determinare le posizioni e votare alle risoluzioni o sulle altre questioni.». E’ facile intuire che in un sistema così organizzato Israele non è mai messo nelle condizioni né di difendersi né di poter portare le proprie competenze nei differenti forum mondiali. In pratica la presenza di Israele è legittimata solo nell’Assemblea Generale, dove può votare, ma dove è pressoché sempre messo in minoranza.

Su questa discriminatoria e surreale situazione di Israele all’ONU, così si è espresso, alcuni anni fa il citato giudice Sir Robert Jennings: «La continua esclusione di Israele dal sistema dei gruppi regionali è illegale perché colpisce alla radice i principi su cui esistono le Nazioni Unite. Il rimedio a questa illegalità è chiara: l’ammissione di Israele alla piena partecipazione a uno dei gruppi regionali. Mi permetto di suggerire che l’esclusione di Israele non dovrebbe più essere tollerata; e che ormai è questione di primaria importanza per l’Organizzazione stessa constatarlo e porvi rimedio. Finché continua questa violazione, l’Organizzazione stessa è in violazione della propria Carta.».

In conclusione, la decennale esclusione di Israele da tutti i gruppi regionali, o anche la sua semplice inclusione come Stato “osservatore” temporaneo tra i paesi dell’Europa Occidentale e altri, è una palese violazione della Statuto stesso dell’ONU (Articolo 2 paragrafo 1). Inoltre, fatto davvero grottesco, ci si trova nella situazione di trovare Israele sempre escluso da commissioni e Consigli ONU e di trovare a rotazione l’Iran come presidente della Commissione sui diritti delle donne o l’Arabia Saudita o la Libia a capo del Consiglio dei Diritti umani. Inoltre, ad Israele è sempre preclusa la possibilità di far sentire le proprie ragioni legali nei forum di competenza. Perciò, diventa di primaria importanza che l’opinione pubblica sia messa a conoscenza di questa situazione, e che si faccia pressione sui governi per il bene del diritto, della giustizia e della democrazia. Ciò è possibile solo con una forte presa di posizione politica da parte dei governi, a cominciare da quelli “democratici”.

Questo articolo è apparso su Informazione Corretta

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