Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Amin Al-Husseini, l’antisemitismo come vocazione

La carriera di Amin Al-Husseini, il Gran Muftì di Gerusalemme, è esemplare nel testimoniare come l’antisemitismo in ambito politico abbia pagato – e paghi ancora oggi – negli ambienti arabi ed europei. La sua è una “carriera” che merita di essere studiata.

Lo zelo antisemita di Amin Al-Husseini si manifestò fin dalla giovane età quando studiava presso la scuola di Sayh Rasid Rida al Cairo. Lì, il futuro Mufti apprese bene tutti i concetti antiebraici contenuti nelle lezioni sul Corano impartiti nella scuola cairota, concetti che non lo avrebbero più abbandonato. Successivamente si iscrisse all’università Al-Azhar del Cairo, considerata la più importante università islamica del mondo sunnita. Qui però si verificò il primo dei molti “incidenti” che avrebbero potuto stroncare la carriera di una qualsiasi persona non determinata e intrisa d’odio come era Amin Al-Husseini. Si ritirò dall’università senza aver conseguito la laurea o il percorso minimo per poter conseguire l’investitura di funzionario religioso. Infatti, Al-Husseini non poté mai fregiarsi del titolo di Shaikh cosa che lo avrebbe dovuto escludere dalla possibilità di diventare Gran Muftì, ma questo intoppo non fu un ostacolo per la sua carriera.  

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Amin Al-Hussein decise di arruolarsi nell’esercito turco e divenne ufficiale. Dopo la sconfitta turca tornò a Gerusalemme sotto occupazione militare britannica e si dedicò con zelo all’attività politica, attività che fin da subito denotò uno spiccato odio antiebraico e anti inglese. Apparteneva ad una importante famiglia di latifondisti arabi, gli Al-Husseini, che da generazioni si contendevano il potere con altre importanti famiglie arabe. Sia il nonno che il padre erano stati eletti muftì di Gerusalemme. Quando iniziò a circolare la voce della imminente istituzione di un Mandato internazionale per la creazione di uno Stato ebraico iniziò subito a dedicarsi ad organizzare violente manifestazioni dal carattere spiccatamente religioso.

Il ruolo di Herbert Samuel

Le prime violenze si scatenarono il 4 e 5 aprile 1920 (qualche settimana prima della Conferenza di Sanremo). Si trasformarono presto in un vero e proprio pogrom antiebraico, che fu il primo di una lunga serie tra gli anni ’20 e ’30 e la cui matrice ideologica è ancora oggi ben viva.

A Gerusalemme, Al-Husseini incitò alla violenza con parole cariche di odio antiebraico venato di un carattere religioso che richiamava alla Jihad. Le truppe britanniche dopo due giorni ininterrotti di violenze riuscirono a riportare l’ordine. Al-Husseini fuggì da Gerusalemme perché condannato da un tribunale militare britannico come uno dei maggiori responsabili delle violenze.

Il primo luglio 1920 Herbert Samuel assunse ufficialmente la carica di Alto Commissario di Palestina e uno dei primi atti che fece fu quello di garantire l’amnistia ai tanti responsabili arabi delle violenze dell’aprile precedente. Tra questi non figurava Al-Husseini, ma messo sotto pressione dal Foreign Office, a settembre Samuel si decise a concedere un’amnistia speciale ad Al-Hussein. Questo fu il primo dei tanti “premi” che ricevette.  

Il secondo premio, e di rilevanza assai maggiore, lo ricevette l’8 maggio 1921 quando fu nominato Gran Muftì di Gerusalemme, sempre da Samuel. Questa nomina merita una attenzione particolare.  Successivamente all’entrata in vigore dell’amministrazione civile britannica l’anno precedente, la nomina a questa carica era diventata una prerogativa dell’Alto Commissario. Al-Husseini non possedeva i requisiti minimi per aspirararvi, in aggiunta, alle elezioni che si svolsero il 12 aprile 1921 arrivò solo quarto.

La prassi consolidata da tempo era che il muftì potesse essere eletto solo tra uno dei primi tre candidati con le maggiori preferenze. A questo scopo Al-Husseini e il suo clan orchestrarono una campagna fortemente antisemita tesa a dimostrare che le elezioni – a cui partecipava solo la popolazione musulmana – erano state “truccate dagli ebrei”. Per evitare ulteriori tensioni e disordini, Samuel decise di nominarlo alla carica di Gran Muftì. Ciò nonostante la nomina non lo placò, fu ancora lui, infatti, l’ideatore del violento pogrom anti-ebraico che scoppiò qualche giorno dopo la sua elezione e che causò la morte di una cinquantina di ebrei e il ferimento di oltre cento persone.

Ulteriore prestigio e potere Al-Husseini lo ottenne il 1 maggio 1922, quando fu nominato, sempre da Herbert Samuel, presidente del Consiglio Islamico. Si trattava di una nuova istituzione politico religiosa creata dagli inglesi in Palestina per gestire i tribunali religiosi islamici, le moschee, le scuole islamiche e nominare i loro responsabili. Il risultato fu che più l’amministrazione britannica gli accordava prestigio e potere più Al-Husseini assumeva posizioni oltranziste e violentemente anti-ebraiche. Tanto più gli arabi scatenavano violenti pogrom tanto più i britannici reagivano restringendo l’immigrazione ebraica, a dimostrazione che la violenza pagava. 

Accanimento antisemita

Nel 1929, dopo qualche anno di relativa calma, Al-Husseini fu l’ideatore di un nuovo pogrom che causò più di un centinaio di morti e moltissimi feriti e mutilati. Il pretesto per fare scoppiare i nuovi disordini fu grottesco: il tutto iniziò per una disputa tutta ebraica relativa al posizionamento di un divisorio per le preghiere presso il Muro occidentale. Amin Al-Husseini deformò ad arte questa baruffa e la spacciò come un tentativo ebraico di attaccare la moschea di Al-Aqsa così da incitare immediatamente alla jihad. Dopo la fine di questo sanguinosissimo pogrom l’intera comunità che da millenni viveva a Hebron fu sterminata.

Gli inglesi, subito dopo aver riportato l’ordine, costituirono una commissione d’inchiesta per accertare le responsabilità degli incidenti. La cosa che più colpisce a proposito del responso finale della Commissione Shaw, fu che dell’incitamento all’odio e alla jihad propugnato dal Gran muftì non c’era traccia, le cause invece furono ravvisate “nell’immigrazione ebraica e nell’acquisto (legale) di terreni da parte dei sionisti”. Di lì a poco il governo britannico decise una nuova stretta all’immigrazione (solamente a quella ebraica mentre venne favorita quella araba).

Lo spirito violento del Mufti si manifestò anche nei confronti degli esponenti delle famiglie arabe rivali. Fu il mandate di molti omicidi o tentati omicidi di rivali politici fino alla rivolta araba del 1936.

I suoi infuocati sermoni, che spesso richiamavano I Protocolli dei Savi di Sion, furono l’origine della rivolta araba del 1936, nota come Grande Rivolta Araba che durò fino al 1939. Fu un triennio di autentico terrore che vide la morte di diverse centinaia di persone e la distruzione di numerosi edifici, campi e sinagoghe. Nel 1937 la Gran Bretagna per indagare le cause della rivolta araba istituì la Commissione Peel che tra gli “esperti” convocò lo stesso Amin Al-Husseini nonostante fosse l’ideatore della rivolta. Nel rapporto finale della commissione due furono le proposte sottoposte all’esecutivo britannico: la prima chiedeva una stretta rigorosa sull’ immigrazione ebraica e la seconda la spartizione del territorio in due Stati, uno ebraico e uno arabo. Quello ebraico avrebbe dovuto costituire circa il 25% del territorio della “Palestina propriamente detta” cioè della porzione ad ovest del fiume Giordano. Il Muftì di Gerusalemme reagì incitando ancora alla rivolta, in quanto, dal suo punto di vista neanche un centimetro del territorio doveva essere concesso agli ebrei. Successivamente, con l’intensificarsi delle violenze da lui orchestrate, gli inglesi furono costretti a bandirlo dal territorio mandatario.

Il 15 ottobre 1937 il Muftì di Gerusalemme scappò il Libano. Da lì si spostò a Damasco dove riprese ad incitare all’odio e alla rivolta. Iniziarono in questo periodo i primi contatti ufficiali con la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini.

All’inizio del 1941 Al-Husseini si schierò apertamente in favore di Hitler al quale inviò una lettera di lodi e di aperta alleanza. Nell’aprile dello stesso anno fu tra gli organizzatori del golpe che rovesciò il regime iracheno in favore di un governo apertamente filo nazista. I britannici si mossero subito inviando truppe per rovesciare il regime golpista. Il 9 maggio Al-Husseini emise una fatwa nella quale si dichiarava che il regime golpista era espressione della jihad contro gli inglesi e gli ebrei definiti “i più grandi nemici dell’islam”. Sarebbe seguito il pogrom di Bagdad noto con Farhud, del quale fu uno degli ispiratori e in cui trovarono la morte centinaia di ebrei molti dei quali furono orribilmente mutilati.

Al-Husseini riuscì a fuggire dall’ Iraq per trovare riparo in Iran dove la sua permanenza durò pochi mesi in quanto era costantemente braccato dagli inglesi. Abbandonò l’Iran e attraversando la Turchia giunse in Italia nell’ottobre del 1941. A Roma fu ricevuto in pompa magna da Benito Mussolini con il quale condivise le proprie opinioni sul “problema ebraico” che si sarebbe presto risolto in Europa come in Medio Oriente. Il 6 novembre lasciò l’Italia alla volta di Berlino. Qui fu accolto da Hitler, Himmler e da tutti i principali gerarchi nazisti. Si mise subito all’opera collaborando attivamente con i gerarchi nazisti per reclutare volontari arabi e musulmani (soprattutto bosniaci) da inquadrare nelle SS. Tra il 1943 e 1944, in Bosnia, fu il principale promotore della costituzione della XIII divisione Waffen-SS Handschar composta da oltre 20.000 volontari musulmani bosniaci. Per favorire il reclutamento dei volontari e indottrinarne gli animi scrisse anche un libello dal titolo L’Islam e gli ebrei. Contestualmente fu responsabile della costituzione della legione “Freies Arabien” di volontari arabi inquadrati nella Wehrmacht.

Oltre al reclutamento, Al-Husseini si occupò in prima persona all’indottrinamento delle truppe musulmane che si dimostrarono molto zelanti nella caccia e nell’uccisione di migliaia di ebrei, di serbi e di partigiani titini, tanto è vero che, alla fine della guerra, ci fu un tentativo da parte di Tito di fare spiccare un ordine di cattura internazionale nei suoi confronti per crimini contro l’umanità, tentativo che cadde nel vuoto.

In quel periodo fu tra i promotori – assieme a Eichmann e Walther Rauff – della costituzione di una speciale squadra mobile delle SS denominata Einsatzgruppe Agypten con il preciso incarico di sbarcare in Africa, se Rommel avesse sconfitto gli inglesi in nord Africa, per poi procedere allo sterminio degli ebrei di Egitto e Palestina. Infine, ebbe anche un ruolo di primo piano assieme ad Adolf Eichmann nella deportazione e nello sterminio di oltre mezzo milione di ebrei ungheresi.

Che i rapporti tra Eichmann e Al-Husseini fossero stretti e in piena sintonia è stato testimoniato da Dieter Wisliceny, stretto collaboratore del gerarca nazista, durante il processo di Norimberga, dove emerse, tra le altre cose, che il Muftì compì varie visite nei campi di sterminio nazisti. Nonostante il peso del suo curriculum criminale, alla fine della guerra, Al-Husseini riuscì a scappare dalla Germania, per giungere al Cairo.

Gli ultimi movimentati anni

Nel maggio del 1945 il Muftì riuscì a lasciare la Germania, senza essere ostacolato dalle forze alleate, alla volta della Svizzera. In Svizzera gli fu negato il visto d’ingresso per paura che da un momento all’altro potesse essere accusato di crimini di guerra. Dalla Svizzera si recò in Francia dove visse con tutti gli agi possibili per quasi un anno nei sobborghi di Parigi protetto dal governo francese. Quando iniziarono a filtrare numerose testimonianze del suo coinvolgimento nello sterminio degli ebrei e dei serbo-bosniaci durante il processo di Norimberga, le autorità francesi decisero che era giunto il momento di farlo partire. Fu imbarcato per un aereo diretto al Cairo dove fu ricevuto con tutti gli onori da Re Faruk. Nei successivi 20 anni poté dedicarsi indisturbato ad attività anti-ebraiche viaggiando in molti paesi arabi e musulmani in tutto il mondo e indottrinando molti leader arabi a partire da Arafat. Nel 1948, Re Abdallah di Giordania, dopo aver occupato parte di Gerusalemme, gli revocò il titolo di Gran Muftì (revoca che gli inglesi non presero mai in considerazione nonostante tutto ciò che aveva fatto) per designare al suo posto il fedelissimo Husam Al-din Jarallah. Nel 1951 Al-Hussein fu tra gli istigatori che portarono all’assassinio del re.

La carriera criminale del Gran Muftì di Gerusalemme, ancora oggi tenuto in grande considerazione dall’Autorità Palestinese, è la dimostrazione vivente di come l’antisemitismo, anche nella sua forma più estremista estremo, sia una forza motrice potente e immarcescibile.       

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