Israele e Medio Oriente

Amos Oz e Israele: nel pozzo dell’ambiguità

Eccolo di nuovo Amos Oz sulla scena delle cause giuste. L’astratta giustizia universale che ha sempre mal di pancia perché non è mai calata nella storia, nutrita com’è dall’ideale e dell’utopia, acerrimi nemici del reale. Di nuovo alla ribalta perché è da poco emerso che il celebrato autore israeliano ha fatto sapere al Ministero degli Esteri di non gradire più inviti ad eventi sponsorizzati dall’attuale governo.

Per Oz e quelli che la pensano come lui, il governo in carica e il suo primo ministro sono infatti il principale ostacolo alla pace. Eppure Oz dovrebbe conoscere bene la storia di Israele e i 67 anni passati, in cui mai nessuno né a destra né a sinistra è riuscito a produrre lo shalom che egli invoca, ma quando si è un pezzo da novanta del wishful thinking, dei bei pensieri sempre in sella sul cavallo bianco del bene rinunciare a questo ruolo costa troppo.

È da ricordare la lettera aperta a Begin che scrisse su Yediot Aharonot il 21 giugno 1982 quando la guerra del Libano era iniziata da sedici giorni, lettera in cui lo scrittore faceva presente al primo ministro in carica che Hitler era morto da 37 anni e la morte di migliaia di arabi non avrebbe guarito la “ferita intatta” di non avere potuto uccidere con le proprie mani il dittatore nazista. Già, gli arabi e la sofferenza a loro inflitta, sono al centro dei pensieri di Oz, del suo umanesimo incondizionato, e dunque sterile, autoreferente. È sempre lui che, in un’altra occasione, inviò in carcere al pluriomicida Marwan Baraghouti una copia del suo romanzo più famoso, “Una storia di amore e tenebre”. Il libro era accompagnato da una dedica sentita, “Questa storia è la nostra storia. Spero che la leggerai e ci capirai meglio come noi cerchiamo di capire te. Sperando di incontrarci presto in pace e libertà”. Pace e libertà con chi ha fondato la propria ragione d’essere sull’odio per Israele e l’omicidio. Ma per Oz tutto è convertibile, soprattutto il male. Forse lo sarebbe stato anche quello espresso dal nazismo.

L’amorevole afflato dello scrittore israeliano è come quello di tutti i combattenti del cuore, proteso verso un mondo redento dove i fratelli arabi e i fratelli israeliani potranno vivere finalmente in pace. Si tratta solo di sforzarsi un po’, soprattutto i fratelli israeliani, poiché, come ebbe a dire in un’altra occasione, ciò che fa Hamas è figlio della disperazione. Gli Oz di questo mondo sono sempre coloro che forniscono e forniranno le pezze di appoggio agli assassini. L’assassino, nella loro mente, sopratutto se è trasformato in “vittima”, ha una inossidabile giustificazione per le proprie azioni. L’occupazione della Giudea e della Samaria diventa così l’alibi perfetto per il terrorismo. Anche quest’ultima mossa dello scrittore rivela il suo volto duplice, la scissione che lo abita. Sionista e dunque dichiaratamente pro Israele ma allo stesso tempo con la mano tesa nei confronti di chi di questo stato vorrebbe senza esitazione la cancellazione. A chi gli ha chiesto se questa decisione non rafforza gli adepti del movimento di boicottaggio contro lo stato ebraico, Oz ha candidamente risposto che lui non sostiene questo movimento come se dissociarsi dalle iniziative promosse dal governo in carica non porti acqua al mulino degli odiatori professionisti, di coloro che cercano costantemente di danneggiare Israele con parole e fatti.

Il fallimento di Oz e di quelli come lui, sta nel modo in cui, tendendo la mano verso gli assassini, sono precipitati nel pozzo dell’ambiguità, e una volta dentro questo pozzo è assai difficile, se non impossibile, riuscire a venirne fuori.

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