Storia di Israele e dell’Ebraismo

Francesco Tirelli, l’italiano che salvò ebrei a Budapest

L’insegna di una gelateria italiana nella Budapest dell’autunno del 1944, sconvolta dalla furia antisemita delle ‘Croci Frecciate’ e dei loro padroni nazisti, rappresentò una speranza di vita per gli ebrei in fuga dalla Shoah. Nel suo retrobottega furono molti quelli che si nascosero e si salvarono grazie alla determinazione e al coraggio del proprietario, un italiano di Campagnola Emilia che nel 2008 è stato nominato da Yad Vashem Giusto tra le Nazioni: il suo nome era Francesco Tirelli.

Come Giorgio Perlasca, il gelataio di Budapest ha riscattato dal fango l’onore nazionale. Ancora oggi, i sopravvissuti a quell’orrore, tra questi Chaim Meyer di Gerusalemme, ne stanno cercando i discendenti per poterli ringraziare. Allo stesso modo di Yad Vashem, che vuole rendere un omaggio pubblico ad un uomo straordinario la cui travagliata storia, nel dopo Shoah, ricorda un po’ quella di Oskar Schindler. Proprio Meyer, a questo scopo, si è rivolto all’avvocato Beniamino Lazar, del Comites Italia di Israele, per chiedere all’ambasciata italiana di Tel Aviv di rintracciare i discendenti di Francesco Tirelli e di permettere così un atto che da tempo invocano. Quello che l’ANSA ha appurato è che almeno uno dei suoi tre figli, Elio Tirelli, vive in Italia e risiede tuttora nella provincia di Piacenza. Ma i tentativi di contattarlo, tramite il sindaco del paese, sono andati a vuoto: l’uomo – come già accaduto anni fa – ha declinato ogni commento sulla vicenda del padre.

La storia di Francesco Tirelli è stata raccontata tra i primi da Angiolino Catellani, un insegnante di Campagnola Emilia. In un saggio apparso sul numero 118 dell’ottobre del 2014 della rivista Ricerche Storiche (Istoreco), Catellani ha ricostruito quello che accadde nel 1944 e che è stato testimoniato dai sopravvissuti con lo Yad Vashem. Tirelli (1898-1954), lasciando la famiglia in Italia, emigrò a Budapest durante gli anni della guerra, dove aprì una piccola gelateria. Fu lì che – nel momento della massima pressione antisemita, con l’avvio delle deportazioni degli ebrei ungheresi verso Auschwitz a partire dal maggio del 1944 – la gelateria diventò dapprima il rifugio di pochi, poi di molti. Nella descrizione fatta da Yad Vashem – e ripresa da Catellani – si rivela che Tirelli organizzò “un certo numero di ‘case di salvataggio’ per gli ebrei. Alcuni di loro, da 15 a 20 persone, erano nascosti nel retrobottega del suo negozio e dormivano sugli scaffali del magazzino. Altri avevano trovato dei nascondigli altrove”. Il ‘gelataio’ ogni giorno “visitava i suoi protetti nei nascondigli, portando loro cibo e occupandosi delle loro necessità sanitarie”. Sia Mayer sia Chana Hedwig Heilbrun – che all’epoca dei fatti aveva 6 anni e che nel dopoguerra fu tra le prime a muoversi in favore di Tirelli – hanno testimoniato con Yad Vashem che l’uomo acquistò anche una serie di falsi passaporti per i rifugiati delle case di salvataggio.

Heilbrun – che chiamava Tirelli ‘papà’ – ha raccontato che il ‘gelataio’, insieme al suo vero padre, fu fermato in quei giorni dalle Croci Frecciate correndo così un rischio mortale non solo per loro ma per tutti i rifugiati. Solo il grande coraggio e la sfacciataggine di Tirelli, che fece passare il padre di Chana per italiano, permise di risolvere la situazione. I contatti tra l’uomo e i ‘suoi ebrei’ si interruppero dopo la fine della guerra: tornato in Italia, Tirelli emigrò poi in Svizzera, dove gli affari andarono male e finì anche in carcere.

Morì a Ginevra nel 1954. Ora Meyer – dopo un primo tentativo infruttuoso intrapreso nel 2001 da Chana Hedwig Heilbrun tramite il ministero degli Esteri italiano per rintracciare i discendenti di suo ‘padre’ – è tornato alla carica scrivendo all’ambasciata di Tel Aviv. E’ deciso a dire grazie ai figli del gelataio italiano che a Budapest, negli anni più bui, gli ha salvato la vita.

Di: Massimo Lomonaco per Ansa

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