Interviste

Guardando in faccia la realtà: Intervista a Martin Sherman

A seguito dell’ultimo conflitto tra Israele e Gaza, L’Informale ha voluto sentire il parere di Martin Sherman, già Consigliere ministeriale di Yitzakh Shamir e fondatore e direttore esecutivo dell’Istituto per gli Studi Strategici Israeliano, tra i maggiori esperti di Medio Oriente e del conflitto arabo-israeliano.

Dottor Sherman, il conflitto appena conclusosi tra Israele e Hamas ha racchiuso un nuovo elemento, le rivolte arabo-israeliane. Nel 2004, lo storico israeliano Benny Morris, disse che gli arabo-israeliani erano una bomba a orologeria. Aveva ragione?

Penso che avesse ragione. Benny Morris è passato dall’essere un simpatizzante degli arabi ad avere una visione piuttosto dura sul ruolo arabo nel conflitto. Quello che credo è che questo sia un gioco a somma zero tra ebrei e arabi in Terra Santa. Sotto la superficie ha sempre covato un’animosità in procinto di scoppiare. Si è già visto un paio di volte, ad esempio con Rabin e Peres. Allora ci furono numerose rivolte in tutta la comunità araba qui in Israele che vennero represse e provocarono una serie di vittime. Anche con Ehud Barak abbiamo avuto una rivolta, appena prima dell’Intifada e di nuovo ci furono delle vittime. Quindi, si tratta di un fenomeno non del tutto inedito, ci sono dei precedenti. La novità è che i disordini, questa volta sono stati  associati alla questione degli sfratti a Sheikh Jarrah, decisi dai tribunali. Si tratta di una questione legale che non ha nulla a che fare con la discriminazione etnica. Il suo specifico è il rifiuto di un certo numero di persone che vivono lì di pagare l’affitto. Anche gli ebrei che non pagano gli affitti vengono sfrattati dalle proprietà in cui risiedono. E’ una situazione molto pericolosa. Sì, si tratta di una bomba a orologeria che è esplosa in piccola scala in passato e che ora con la questione del Monte del Tempio e di Sheikh Jarrah e dei bombardamenti da Gaza sembra essere molto più infiammabile di quanto lo siano stati gli altri eventi del passato. È tempo di un grande cambiamento nell’atteggiamento di Israele nei confronti dei suoi cittadini arabi. Gli arabi che risiedono qui hanno notevoli vantaggi paragonati a quelli che avrebbero se vivessero in uno dei paesi vicini, e forse l’ultima cosa che vogliono veramente è che Israele venga sostituito da un regime arabo, perché allora la loro situazione sarebbe molto peggiore. Quindi, sono certamente d’accordo con Benny Morris, ma sono meno pessimista di lui, perché Morris non vede un futuro per Israele, mentre io penso che Israele abbia ancora delle opzioni, ma nessuna di queste comprende che dei cittadini intrinsecamente sleali vivano all’interno dei suoi confini sovrani.

Anche questo conflitto, come i precedenti, è terminato, prevedibilmente, con una tregua. Sembra un circolo vizioso. È così?

Fu Albert Einstein a dire che non è possibile risolvere i problemi all’interno della stessa cornice di pensiero che li ha creati, e fondamentalmente ciò che ha creato il problema qui è il tentativo di conferire l’autodeterminazione agli arabi palestinesi, sia essa in Giudea e Samaria o a Gaza. Finché si crederà che ci possa essere qualche entità araba autonoma a Gaza, la situazione continuerà a essere quella che è. Lo dico da tre decenni ormai, che l’unico modo per risolvere il problema è rimuovere la presenza araba a Gaza, e in Giudea e Samaria con iniziative su larga scala di immigrazione incentivata. Molti abitanti di Gaza sarebbero più che disposti ad accettare un pagamento generoso e crearsi una vita migliore e più sicura altrove, fuori dal circolo della violenza, sottraendosi alla cricca crudele e corrotta che li ha condotti da disastro a disastro. Se sei un ebreo che vive nel Negev, nel sud, vicino a Gaza, perché vorresti allevare dei bambini in quel tipo di atmosfera? Alla fine Israele dovrà affrontare un dilemma molto spinoso: o ci saranno ebrei nel Negev o arabi a Gaza, ma non ci potranno essere entrambi. I palestinesi hanno mostrato grande ingegnosità in un solo ambito, lo sviluppo di armamenti e nessuno può escludere l’ipotesi che possano essere in grado di creare un missile Cruise, un missile a bassa portata che Iron Dome non possa intercettare. Penso che non ci sarà alcuna soluzione consensuale riguardo alla situazione a Gaza, tranne quella di incentivare l’immigrazione e lasciare che la popolazione trovi una vita migliore e più sicura in paesi terzi.

Quello che ha appena detto ci porta all’argomento successivo. Si tratta di uno schema che lei sostiene da anni e che ha chiamato “Il paradigma umanitario”, in altre parole, l’immigrazione incentivata degli arabi da Israele.

Hanno tentato la soluzione dei due Stati per un terzo di secolo, sostenuti da un massiccio sostegno internazionale e cosa ha prodotto? Devastazione sia per gli ebrei che per gli arabi, specialmente per gli arabi, sottoponendoli a un regime tirannico che nessun progressista sincero potrebbe mai appoggiare. Perché fondamentalmente ciò che si appoggia è l’istituzione di un’altra tirannia omofoba, misogina, a maggioranza musulmana contrassegnata dalla discriminazione degli omosessuali, delle donne, a favore della soppressione della dissidenza politica e della persecuzione della fede non musulmana. Tutte le volte che ho affermato che questa sarebbe la natura di uno Stato palestinese, non ho mai sentito nessuno dei fautori del modello dei due Stati produrre un argomento in grado di contraddire questa ipotesi. Perché dovrebbe essere diverso da quello che vediamo a Gaza? Ci sono persone che parlano di smilitarizzare Gaza, ma se si smilitarizza Gaza chi sarà il responsabile della sua sicurezza? Sono passati quasi sedici anni da quando Israele si è ritirato da Gaza e qual è stato il miglioramento che si è ottenuto? La richiesta di revocare l’embargo non è altro che antisemitismo, perché significherebbe che gli ebrei non potrebbero difendersi. Israele ha erroneamente sostenuto il regime di Hamas con aiuti umanitari attraverso denaro proveniente dal Qatar, invece di lasciare che tutto crollasse per poi avviare un grande programma di immigrazione. Faccio un esempio teorico, non necessariamente pratico, ma se tutti gli arabi di Gaza, compresi quelli della Giudea e della Samaria, dovessero immigrare in Indonesia, ciò comporterebbe un cambiamento irrilevante per la demografia indonesiana e l’Indonesia riceverebbe in cambio un flusso di milioni di dollari in la sua economia. A me sembra una situazione vantaggiosa per tutti, fatta eccezione per la leadership corrotta dei palestinesi. Penso che questa potrebbe essere un’alternativa da discutere seriamente da parte della comunità internazionale. Se la comunità internazionale la appoggiasse, il problema sarebbe risolto facilmente.

Con questo conflitto sembra che Hamas abbia raggiunto un obiettivo importante, sostituire Fatah come referente principale per i palestinesi nella loro lotta contro Israele. È così?

Nei territori palestinesi Hamas ha vinto chiaramente, questo è il motivo per cui Mahmoud Abbas dopo dodici anni del suo mandato che avrebbe dovuto essere di quattro, ha paura delle elezioni. Hamas è stata la forza ascendente nella società palestinese molto prima di questo conflitto e cià indica che non può esserci una soluzione consensuale perché la ragion d’essere di Hamas è quella di essere un nemico irriducibile di Israele.

In un suo articolo recente ha scritto che Netanyahu è l’unico politico israeliano in grado di affrontare le sfide che Israele deve affrontare. Perché?

Penso che il più grande vantaggio di Netanyahu in questa fase sia che non ci sono alternative reali. Non vedo nessuno che possa paragonarsi a lui in termini di statura internazionale e ampiezza della sua conoscenza politica. Detto questo, ho molti punti di disaccordo con lui, ritengo che sia stato molto debole nell’affrontare il problema della criminalità nel settore arabo, penso che non abbia stanziato risorse sufficienti per la diplomazia pubblica israeliana, non credo che sia stato abbastanza determinato nell’affrontare le distorsioni presenti nel sistema legale di Israele, in particolare il sistema giudiziario, e ora ne sta raccogliendo gli amari frutti a causa della ridicola campagna contro di lui. In merito a questo aspetto  sono d’accordo con la serie di eminenti giuristi americani secondo i quali Netanyahu non avrebbe mai dovuto essere portato in tribunale. Non è una figura politica senza macchie, ma nessuno dei  suoi concorrenti è alla sua altezza.

E come valuta il fatto che Netanyahu abbia valutato l’ingresso del partito arabo Ra’am in una coalizione di destra?

In quel momento la situazione era che Ra’am sarebbe andato con una formazione politica di destra o con una di sinistra e probabilmente il minore di tutti i mali in quella fase, era l’ingresso di Ra’am in un governo di destra piuttosto che l’opposto, in quanto la sinistra gli avrebbe fatto molte più concessioni.

Quanto la preoccupa l’intenzione espressa dall’amministrazione Biden di rientrare nel JCPOA? Ritiene che alla fine accadrà?

La risposta breve è che sono molto preoccupato e non importa nemmeno se ritornano a qualcosa di simile,  a un accordo che non sia esattamente lo stesso. Henry Kissinger e George Shultz, un paio di anni fa, hanno scritto un ottimo articolo sul Wall Street Journal in cui hanno specificato che l’accordo sul nucleare iraniano è fondamentalmente una licenza per gli iraniani di sviluppare le proprie capacità belliche. Non è solo il fatto che possano utilizzarle, ma che siano in grado di diffondere il loro ombrello nucleare sui loro delegati e consentire loro di operare impunemente perché avranno una protezione nucleare. Ciò significa enormi ondate di terrore in tutto il mondo per le quali si potrebbe fare ben poco. Biden mi preoccupa estremamente. Penso che ci sarà sicuramente un vento forte che spingerà tutto nella direzione del JCPOA o qualcosa di simile, forse leggermente migliore ma non proprio, perché come si potrà affronterae la tecnologia missilistica iraniana e la sua promozione del terrore in tutto il mondo?  Nel partito Democratico c’è stato un enorme malinteso riguardo all’Islam. Biden è una controfigura, è dove si trova solo per fare il lavoro di altre persone, persone come Kamala Harris. I moderati non possiedono una vera capacità di arginamento, il partito si sposterà ulteriormente a sinistra e diventerà più radicalizzato, il che renderà vantaggioso per loro l’accordo con gli iraniani. Non c’è molto spazio per l’ottimismo, possiamo solo confidare nell’inaspettato.

Mi sembra di capire che ha già nostalgia di Donald Trump.

Purtroppo gli elettori americani non sono riusciti a distinguere tra personalità e politica. Trump non aveva una personalità pubblica particolarmente accattivante, la sua personalità pubblica era molto abrasiva, ma le sue politiche erano buone. Questa incapacità di distinguere tra buone politiche e cattiva personalità, almeno per quanto concerne la sua personalità pubblica, ha condotto a questo disastro chiamato Biden.

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