Editoriali

Human Rights Watch megafono anti-israeliano

Human Rights Watch licenzia il suo nuovo rapporto su Israele, e come ci si aspetterebbe da una organizzazione umanitaria seria, informata, e soprattutto neutrale, lo dipinge come uno Stato criminale.

Si tratta del solito canovaccio nero, nerissimo, dal quale emerge un paese dedito al razzismo, che opprime gli arabi-palestinesi e pratica, ovviamente, l’apartheid.

Da Beirut, su La Stampa, Giordano Stabile non risparmia i dettagli di questo scempio in cui primeggiano i “crimini contro l’umanità”, l’apartheid appunto e la persecuzione. No, non è il Terzo Reich, ma gli si avvicina. Manca l’accusa di genocidio. Però, a compensare, ci sono perle che scintillano levigate.

Tra di esse, “le restrizioni di movimento a Gaza”. Gli abitanti di Gaza, enclave islamista governata da Hamas con polso di ferro dal 2007, e da cui, negli anni, sono partiti migliaia di razzi contro Israele, non sono liberi di andare oltre la linea di confine…

Vi sarebbe anche “la confisca di oltre un terzo del territorio della West Bank”, come se gli Accordi di Oslo del 1993-1995 non avessero stabilito chiaramente le ripartizioni, lasciando a Israele il controllo completo sull’Area C, destinando l’Area A interamente all’Autorità Palestinese e l’Area B a una ripartizione mista.

Naturalmente, “i diritti civili di base”, verrebbero negati da Israele a “milioni di palestinesi, specialmente nei Territori”, così ci informa l’amanuense Stabile. Peccato che la maggioranza dei palestinesi (2,747,000) a cui sarebbero sarebbero sottratti “i diritti civili di base”, vivano sotto tutela dell’Autorità Palestinese, essendo circa 300,000 (stima massima) quelli sotto diretta tutela israeliana nell’Area C, insieme ai residenti ebrei. Il loro status giuridico è evidentemente diverso da quello dei residenti ebrei, in un’Area, quella C, che l’unico documento di qualche cogenza sul piano del diritto internazionale, il Mandato Britannico per la Palestina del 1923, assegnava, insieme al resto della Cisgiordania, agli ebrei. I residenti ebrei godono di cittadinanza israeliana mentre, sulla base degli Accordi di Oslo, i residenti palestinesi che dovrebbero essere inglobati in un futuro Stato palestinese secondo le disposizioni di Oslo, non la possiedono. Tutto questo è terribilmente scandaloso, ma bisognerebbe chiedere ad Abu Mazen, essendo Arafat indisponibile, come mai dalla morte del suo mentore egli ha fatto tutto quanto era in suo potere per evitare di fare della sua gente dei cittadini di uno Stato autonomo.

A raffozare gli obbrobri descritti non può mancare, “il trasferimento forzato di migliaia di palestinesi dalle loro case”, una affermazione che evoca il trattamento riservato dai nazisti agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale, senza specificare che laddove i palestinesi sono stati costretti ad abbandonare specifici edifici nel corso degli anni, si trattava di edifici abusivi, dopo sentenze emesse dalla Corte Suprema. Lo stesso è accaduto, con minore frequenza, ma solo perchè il ritmo dell’abusivismo è inferiore, con gli outposts ebraici.

Al di là di tutto ciò, delle palesi e grottesche falsità riportate, c’è una domanda fondamentale da porsi, chi è che ha redatto questo documento di 213 pagine, un’appendice al grande romanzo criminale su Israele? Si tratta di Omar Shakir, il quale, come ricorda Ben-Dror Yemini in un suo articolo di oggi, ha passato “più di un decennio a fare campagna contro il diritto all’esistenza di Israele”. Sostenitore del BDS, Shakir ha dovuto lasciare il paese nel 2019 dopo una sentenza della Suprema Corte, a causa della sua intensa attività a favore del BDS. Ma questo, Stabile non ce lo dice, preferisce citare lo storico arabo israeliano Sami Abou Shahadeh secondo cui ciò di cui bisogna veramente preoccuparsi sono “i fanatci  kahanisti, aizzati dai parlamentari Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, alleati di Netanyahu e di giovani estremisti che gridano ‘morte agli arabi'”.  C’è da augurarsi che a Stabile, dopo questo pezzo, venga assegnato un ruolo all’interno di HRW.

Che Omar Shakir sia stato scelto da HRW per stilare il rapporto su Israele non deve meravigliare. Sarah Whitson, responsabile della divisione mediorientale della ONG è arrivata ad occupare la sua posizione dopo avere fatto parte dell‘Arab American AntiDiscrimination Commitee, tra i principali gruppi di patrocinio arabo negli Stati Uniti. Grande ammiratrice di Norman Finkelstein, uno dei più ossessivi e screditati odiatori di Israele, la Whitson lo portò, anni fa alla ONG per tenervi un discorso.

Uno dei suoi più stretti collaboratori è Joe Stork, editore per venticinque anni del Middle East Report, pubblicazione di estrema sinistra che, nel 1972, espresse il proprio sostegno ai massacri di Monaco. Nel 1976, Stork fu tra gli spettatori di una conferenza antisionista tenutasi in Iraq sotto il patrocinio di Saddam Hussein. Un altro membro dello staff della Whitson, Lucy Mair, è stata collaboratrice di Electronic Intifada. Può bastare?

Questa deriva ideologica, patologicamente anti-israeliana, è assai lontana dalle origini della ONG fondata da Robert L. Bernstein. D’altronde, fu lui stesso, nel 2009, a seguito della Seconda guerra del Libano, a scrivere che HRW aveva perso la sua giusta prospettiva nei confronti di Israele.

In realtà, e questo ennesimo documento, ne è la dimostrazione, non si tratta di avere perso la propria giusta prospettiva, si tratta di essere diventata il megafano della più agguerrita e consunta propaganda contro lo Stato ebraico.

 

Torna Su