Israele e Medio Oriente

Il concetto di sicurezza israeliano: vagare attraverso un labirinto | di Gen. Mag. Gershon Hacohen

La recente tornata di combattimenti tra Israele e Hamas è stata apparentemente generata dall’esposizione di una squadra di forze speciali israeliane durante un’operazione sotto copertura a Khan Yunis. La dirigenza di Hamas, che a quanto pare non è interessata alla guerra, ha tuttavia deciso di rispondere incrementando la sua risposta fino al limite. Perché il governo israeliano si è astenuto (ancora una volta) dall’istruire l’IDF al fine di risolvere la minaccia rappresentata da Hamas?

Il discorso che tende ad avvolgersi a spirale sulla scia di eventi come l’acuta escalation di Gaza di questa settimana ruota attorno alla discussione ormai da clichè sulla “perdita della deterrenza”. Ma l’indicatore della deterrenza, come un termometro nella bocca di un paziente, misura solo un sintomo; non spiega la situazione. Qualcosa di più profondo della “perdita di deterrenza” ha guidato l’evento.

La leadership di Hamas conosce certamente la forza dell’IDF paragonata a quella a propria disposizione, ma basa le sue decisioni non su questo calcolo ma sulla sua valutazione dei vincoli che impediscono al governo israeliano di prendere la decisione di andare in guerra. Durante le frequenti rivolte che sin dalla primavera, Hamas ha guidato lungo il confine, il gruppo ha imparato a trovare la propria strada attraverso il labirinto strategico israeliano. Comprende come sfruttare la chance che gli è fornita dal disagio israeliano al fine di fare valere i propri interessi.

La soluzione dei due stati come fissazione concettuale

L’adesione di Israele alla “soluzione dei due stati” come l’unica soluzione necessaria è in gran parte responsabile del suo rifiuto di aggiornare la mappa strategica. Nello spiegare l’obbligo di Israele di separarsi dai palestinesi, l’ex ministro della giustizia Haim Ramon ha detto: “Il controllo sui territori è un cancro e non permetterò al mio nemico di decidere se sottoporci a un intervento chirurgico di rimozione del cancro o meno.”

I palestinesi sono ben consapevoli del loro potere di ricatto: più Israele si attiva per una separazione, più lo Stato ebraico dovrà pagare un prezzo. In armonia con questo modo di pensare, Hamas rifiuterà ogni accordo per attuare una separazione che vada nella direzione della pace e della stabilità. La necessità di preservare la separazione raggiunta a Gaza ha intrappolato Israele e reso un attacco a Gaza una cosa inutile. Cosa c’è da riconquistare se Israele vuole comunque essere fuori da Gaza? Una riconquista avrebbe messo fine una volta per tutte alla (supposta) panacea che “loro sono lì e noi siamo qui”.

Da qui la trappola su entrambi i lati della mappa politica israeliana. L’opposizione ha attaccato Benjamin Netanyahu per aver abbandonato la sicurezza limitando l’uso della forza militare contro Hamas. Eppure, mentre Israele è impantanato nelle devastanti conseguenze del disimpegno da Gaza, la sinistra continua a lottare per un altro ritiro in Cisgiordania – un ritiro che potrebbe peggiorare la situazione di sicurezza di Israele fino al punto di avere dei razzi che volino da Qalqiliya all’interno della regione metropolitana di Dan.

D’altra parte, Netanyahu, che apparentemente cerca rifugio dalla soluzione dei due stati alla quale si è ripetutamente votato, ha un interesse nella creazione di uno stato indipendente di Hamas a Gaza, mentre il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas rimane radicato nel suo rifiuto di uno Stato ebraico. E’ quindi auspicabile per Netanyahu mantenere in vita il regime di Hamas. È qui che il sistema israeliano si ritrova perso dentro i meandri di un labirinto. La dirigenza di Hamas ha colto il potenziale di questa situazione e la sta sfruttando al massimo.

Chi beneficia dalla separazione?

E’ arrivato il momento di mettere in discussione il presupposto che la separazione territoriale benefici Israele.

I sostenitori del ritiro dalla Cisgiordania, inclusi i membri più anziani dell’ex istituto di sicurezza, basano il loro pensiero sulla convinzione che i rischi connessi al ritiro e alla separazione territoriale possano essere mitigati dal fatto che la continua superiorità dell’IDF può rimuovere, in pochi giorni, qualsiasi minaccia alla sicurezza proveniente dai territori lasciati da Israele.

Ma dall’inizio del processo di Oslo, qualcosa di significativo è cambiato nelle relazioni tra Israele e palestinesi e negli ultimi decenni c’è stato un cambiamento globale nel fenomeno della guerra. I sostenitori del ritiro non hanno interiorizzato il significato di questi cambiamenti. La loro valutazione della forza relativa dell’IDF è quindi costantemente sovrastimata.

Qui giacciono i semi della fissazione ideologica di Israele: la riluttanza a esaminare in quale misura la separazione come direzione strategica aiuti principalmente il nemico.

Se esaminiamo la Striscia di Gaza prima del ritiro delle Forze di Difesa israeliana, vediamo che nonostante ci fosse una barriera che delineava la Striscia, la maggior parte delle forze dell’IDF operavano all’interno dell’area basata sullo spiegamento dei villaggi israeliani nel sud della Striscia. Questo ha creato un potenziale operativo flessibile per le forze dell’IDF, che potevano raggiungere le aree nemiche da una varietà di direzioni. Ad esempio, i campi profughi nella centrale striscia di Gaza potrebbero essere raggiunti da nord attraverso l’enclave di Netzarim, da est attraverso il confine della Striscia, e da sud passando per Kfar Darom e Gush Katif. La capacità di sorpresa, flessibilità, mobilità, controllo dell’area e libertà di azione erano fondamentalmente diverse da quelle lungo l’attuale confine del perimetro della Striscia.

Lo spiegamento dell’IDF prima della riduzione delle linee nell’estate del 2005 ha richiesto a Hamas di concentrarsi su sforzi di difesa frammentati. La ridistribuzione delle forze e la loro dipendenza da una barriera di sicurezza in matrici lineari hanno reso il recinto un punto focale per l’attrito e creato le condizioni perché Hamas organizzasse le sue forze in base a battaglioni, brigate, linee di tiro e sistemi di comando e controllo. A tale riguardo, la separazione territoriale ha aiutato i nemici di Israele e ha danneggiato la libertà di azione dell’IDF.

L’argomento standard tra i “tecnici della sicurezza” è che abbreviare le linee di coinvolgimento è vantaggioso per la sicurezza. Ma questa affermazione non è solo fondamentalmente sbagliata, ma l’inverso della verità. L’attrito in uno spazio interno multidimensionale, come esiste oggi nella West Bank attraverso lo spiegamento di quartieri israeliani, consente un utilizzo più efficiente e una più ampia libertà di azione strategica per tutte le componenti della potenza israeliana. Il labirinto strategico in cui si trova lo Stato di Israele nella Striscia di Gaza offre una preziosa lezione su come gli interessi di sicurezza dovrebbero aiutare a formulare il dispiegamento futuro dell’IDF in Cisgiordania.

Nel frattempo, l’entità del recente scontro a fuoco di Hamas richiede che l’establishment della difesa riesamini la prontezza dell’IDF a combattere su due o più fronti contemporaneamente. Un serio cambiamento nelle condizioni della minaccia palestinese da parte della Cisgiordania, che a sua volta intensificherà la minaccia da Gaza, rischia di distruggere l’agenda interministeriale al punto di minare le condizioni necessarie per concentrare gli sforzi sul fronte nord .

In queste circostanze, l’aspirazione recentemente espressa da ex funzionari dell’amministrazione della difesa, tra cui il Gen. Mag. Amos Yadlin, a intraprendere un’ulteriore separazione in Cisgiordania è preoccupante.

Al presente, la navigazione strategica di Israele assomiglia al vagare attraverso un labirinto senza una mappa. Con l’accelerazione del ritmo del cambiamento, avrebbe bisogno di una mappa completamente aggiornata.

Traduzione dall’inglese di Niram Ferretti

https://besacenter.org/perspectives-papers/israel-security-concept/

 

 

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