Israele e Medio Oriente

Il corpo di Gerusalemme

La recente dichiarazione di Donald Trump circa il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele e il conseguente (e previsto) trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti d’America (ottemperando a una legge del Congresso votata e approvata nel 1995, ma mai attuata da Bill Clinton e dai suoi successori) hanno suscitato numerose polemiche, alla base delle quali vi è la tesi che, per risolvere il conflitto mediorientale, bisogna operare una “equa” spartizione delle risorse: religiose, economiche, territoriali, ecc. Solo un “equo” negoziato porrà fine al conflitto che da oltre settant’anni insanguina la Terra Santa.

L’espressione Terra Santa, anche se potrà apparire inopportuno (“cattolico”, per la precisione), è utilizzata non a caso. Non sarebbe meglio parlare di Israele o di Palestina? No, specie se intendiamo proporre una “giusta” soluzione di un conflitto che non sembra avere vie di uscita.

Corpus separatum (corpo separato) è l’espressione giuridica utilizzata nel piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 per definire l’area di Gerusalemme. Il termine latino indicava l’intenzione e l’auspicio da parte delle Nazioni Unite di conferire uno statuto importante alla città (separato, per l’appunto) in ragione della sua importanza religiosa, spirituale e culturale. L’espressione è utilizzata sia nella risoluzione 181 del 29 novembre 1947, sia nella risoluzione 194 dell’11 dicembre 1948 (che stabilì la creazione di una Commissione di conciliazione incaricata di realizzare il regime internazionale previsto dall’area di Gerusalemme).

Figura 1.Il “corpus separatum” di Gerusalemme secondo il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947

Come sappiamo, l’idea di “internazionalizzare” Gerusalemme e, così facendo, di “separarla” dai conflitti dei contendenti in campo è la posizione ancora oggi sostenuta da attori morali come lo Stato del Vaticano e, de jure, dalla stessa Unione Europea (che lega le risoluzioni del 1947-48 alla nota risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite successiva alla guerra dei Sei Giorni del 1967). Alla base di questa “separazione” vi è la tesi che, così facendo, sarebbero salvaguardati al meglio i diritti e le sensibilità dei fedeli delle tre grandi religioni e, politicamente, la mancata assegnazione della città a uno dei contendenti costituirebbe una sorta di “mezzo gaudio”: tutti scontenti, tutti contenti. Le affermazioni che una città spiritualmente così importante sia meglio amministrabile da un’entità sovrastatale e che Gerusalemme rappresenti un territorio giuridicamente “assegnato” sono, come vedremo, molto discutibili alla prova dei fatti.




Partiamo dalla prima affermazione: Gerusalemme va amministrata dalle Nazioni Unite perché è un “corpo separato”. Come sappiamo, l’affermazione è stata de facto smentita dai fiduciari delle Nazioni Unite (eredi della Società delle Nazioni, che aveva assegnato il mandato sulla Palestina e sulla città di Gerusalemme alla Gran Bretagna dal 1922 in poi). Com’è noto, l’amministrazione britannica lasciò Gerusalemme il 14 maggio 1948 mentre imperversava da mesi la “battaglia di Gerusalemme” (già scoppiata nel dicembre precedente e durata sino al luglio 1948), facendo ben poco per garantire la “inviolabilità” del “corpo separato” (e sacro). Il “corpo separato” fu dunque prima isolato dal resto dei territori assegnati agli ebrei a opera della Legione Araba che, a seguito dell’intervento diretto di Re Abdallah di Transgiordania, occupò dapprima la parte orientale della città, poi la Città Vecchia, espellendo gli ebrei dal loro storico insediamento nell’omonimo quartiere.

Il mancato intervento delle Nazioni Unite (dapprima per mezzo del fiduciario-mandatario britannico e poi con l’ausilio di proprie forze d’interposizione) ha de facto posto fine alla validità giuridica del “corpo separato” per entrambe le parti in causa. I lavori della Commissione fiduciaria, conclusisi nell’aprile 1950, non fecero altro che ribadire le linee guida della risoluzione 181. Gli israeliani, occupando Gerusalemme Ovest, hanno ritenuto giuridicamente “nullo” il piano di spartizione del 1947 per via della rinuncia da parte internazionale ad assumersi una “responsabilità attiva” nel momento critico (cioè durante l’occupazione transgiordana e la “pulizia etnica” del quartiere ebraico). La posizione araba era, formalmente, ben più netta: occupando Gerusalemme Est e la Città Vecchia, la Transgiordania (poi Giordania) annullò qualsiasi riferimento alla risoluzione 181 e alla stessa ipotesi di Stato palestinese (affossata direttamente dai paesi arabi aggressori e belligeranti), tentando vanamente di vedersi riconosciuta l’annessione della Cisgiordania da parte della comunità internazionale.

Gerusalemme Ovest è stata proclamata da Ben Gurion quale capitale dello Stato di Israele nel dicembre 1949. Il 30 luglio 1980 una legge fondamentale votata dalla Knesset ha stabilito che Gerusalemme è la capitale “completa e unita” dello Stato di Israele. La reazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fu la risoluzione 478 del 20 agosto 1980, che condannava tale provvedimento e intimava i paesi membri a non trasferire la propria ambasciata a Gerusalemme. I problemi centrali per le Nazioni Unite sono rappresentati sia dallo statuto della Città Vecchia, sia da quello della parte orientale, reclamata dall’Autorità Nazionale Palestinese quale futura capitale del futuro Stato di Palestina. Bisogna anche segnalare che gli attuali confini municipali di Gerusalemme non corrispondono a quelli del “corpo separato” del 1947, non includendo né Betlemme, né Motza, né Abu Dis.

Le reazioni negative successive alla dichiarazione di Trump sono sfociate nella posizione turca di riconoscere Gerusalemme Est quale capitale dello Stato di Palestina (e di trasferirvi l’ambasciata). L’Organizzazione della cooperazione islamica, riunitasi pochi giorni fa a Istanbul, non ha fatto altro che ribadire le tesi già sostenute dagli organismi internazionali: due Stati con capitale Gerusalemme. Israele è stato definito uno Stato “occupante” e “terrorista”. Tralasciando da parte le motivazioni del presidente americano (secondo alcuni analisti legate soprattutto alla base elettorale cristiana conservatrice), è opportuno valutare correttamente l’evoluzione del “corpo” di Gerusalemme negli ultimi settant’anni e trarne le dovute conseguenze politiche.

La tesi che Gerusalemme sia meglio amministrabile da un organismo internazionale “super partes” (ammesso e non concesso che esista) è insostenibile de jure per via delle manchevolezze dimostrate dalle Nazioni Unite nella gestione della questione arabo-israeliana e de facto per via delle decisioni di volta in volta prese dagli attori coinvolti: il governo israeliano e quello giordano (inizialmente). Se dovessimo individuare una scala delle responsabilità politiche (evitiamo qui e ora di parlare di aspetti “trascendenti”), in cima sarebbero da collocare le Nazioni Unite e il governo inglese, seguiti a stretto giro dai paesi arabi (Transgiordania in primis) e, in fondo (ma solo molto in fondo), dal governo israeliano. Questo ci dicono i fatti del 1947-48. E non solo.




Se compiamo un passo ulteriore e passiamo al fatidico 1967 (alla prima grande aggressione operata dai paesi arabi verso lo Stato di Israele), la situazione non è molto differente. Anzi. Ma chiediamoci: l’occupazione israeliana di Gerusalemme Est e della Città Vecchia (strappata al controllo giordano, tutt’altro che rispettoso delle sensibilità religiose non musulmane) può considerarsi un atto illegale? Lasciando da parte il legame emotivo, religioso, culturale e storico che lega da tremila anni la città di Gerusalemme al popolo ebraico, i documenti non forniscono una chiara interpretazione dello statuto dei territori “occupati”. Sappiamo che la versione inglese e quella francese della risoluzione 242 non collidono del tutto, specie se il ritiro oltre i territori della cosiddetta “linea verde” non sarebbe in grado di garantire confini sicuri e riconosciuti.

Ma l’aspetto forse più importante di tutta questa vicenda consiste nell’ammissione di Gerusalemme quale “terra nullius” (cioè terra di nessuno). Il termine, usato nel diritto internazionale per definire spazi geografici mai soggetti alla sovranità o privati (espressamente o implicitamente) di essa, è comunemente utilizzato per definire regioni disabitate o inospitali. La flagrante violazione della risoluzione delle Nazioni Unite da parte paesi arabi nel 1947 ha de jure e de facto trasformato il “corpus separatum” di Gerusalemme in un territorio che può essere annesso per via dell’occupazione. Così fece la Giordania sino al 1967 e così ha il diritto di fare Israele oggi. Ma tutto ciò è “legale”, cioè “morale”? In altre parole, è “giusto” occupare territori “sacri”? La vera domanda che dobbiamo porci, invece che inseguire le minacce più o meno velate rivolte dal mondo islamico e c.d. neutralista (più attento agli equilibri diplomatici che alla soluzione effettiva dei problemi geopolitici), è la seguente: Gerusalemme occupata e unificata sotto il controllo israeliano sarà un’entità politica capace di garantire a tutti i fedeli l’accesso ai luoghi santi?

Se la risposta è (come crediamo in base alla solida e solitaria realtà democratica israeliana e al poco positivo precedente giordano) positiva, che ne sarebbe della parte orientale di Gerusalemme? Siamo veramente così sicuri che Gerusalemme non potrà mai essere la capitale “completa e unita” di due Stati? In altre parole, la ricerca dell’accordo (sempre che sia possibile trovarlo) va considerata preliminare o successiva allo stabilimento di uno statuto chiaro di Gerusalemme? La maggior parte degli attori coinvolti persegue la prima strada che, però, come l’esperienza insegna, non ha portato finora ad alcun risultato tangibile. Le colombe, com’è noto, non fanno la pace. Non è che forse la tanto paventata linea “dura” di Trump e Netanyahu riuscirà laddove le tante “colombe” hanno fallito? A restituire dignità e centralità al “corpo” di Gerusalemme, rendendola finalmente quel luogo così importante e rilevante per la storia dell’umanità che merita di essere?

Clicca per commentare

Devi accedere per inserire un commento. Login

Rispondi

Torna Su