Editoriali

Il jihad contro Israele

Con regolarità puntuale, da Gaza piovono razzi su Israele. Quello che sta accadendo oggi è solo l’ennesima tappa all’interno di una lunga parentesi di odio islamico antiebraico in Palestina che comincia già a Ottocento inoltrato e perdura fino alla fine degli anni ’30, assai prima del venire in essere di Israele.

“La verità è che dalla fine dell’800 in avanti gli arabi palestinesi hanno assassinato gli ebrei su base regolare per ragioni etniche o quasi nazionaliste. Nel 1920, 1921, 1929 e nel 1936-1939 folle arabe assalirono insediamenti e quartieri ebraici in una successione di pogrom sempre più grandi”, scrive Benny Morris in One State, Two States: Resolving the Israeli/Palestinian Conflict. 

La questione fondamentale, come ha illustrato Bat Ye’or in libri e interviste è che tutto ciò a cui assistiamo, oggi come ieri, i molteplici attacchi di matrice eliminazionista nei confronti di Israele, quello del 1948 e poi del 1967, di nuovo la guerra di Yom Kippur del 1973, e poi le due Intifade, soprattutto quella sanguinosissima dal 2000 al 2005, sono tutte parti di un unico nucleo fondamentale, quello del jihad. 

La lotta santa contro l’infedele, contro l’ebreo che da dhimmi come era stato per secoli sotto il dominio musulmano osava alzare improvvisamente la testa e con l’appoggio della Gran Bretagna (che avrebbe poi, appena fu opportuno, pugnalato gli ebrei alle spalle, prima con la Commissione Peel nel 1937 che trasgredendo il dettato del Mandato Britannico per la Palestina del 1922, offriva agli arabi una porzione di territorio del settanta per cento, e quindi con l’infame Libro Bianco del 1939) voleva addirittura edificare un proprio Stato su una terra considerata per sempre in dotazione all’Islam come esplicita in modo inequivocabile lo Statuto di Hamas del 1988.

“Bisogna rendersi conto di un fatto fondamentale: l’islamizzazione del conflitto arabo-israeliano è una componente decisiva del suo assetto, e lo è in modo sempre più marcato dagli anni ’80, dal momento cioè in cui Hamas e Hezbollah divengono attori di primo piano nella lotta contro Israele, anche se la componente jihadista, seppure non in forma egemone, è stata presente fin dagli albori in virù dell’alleanza di Hasan al Banna (fondatore dei Fratelli Musulmani)  e Amin al-Husseini il Mufti di Gerusalemme”, scrive Niram Ferretti in Il Sabba Intorno a Israele, fenomenologia di una demonizzazione.

Con questi presupposti diventa impossibile ipotizzare una soluzione politica, come hanno pensato e pensano le varie amministrazioni americane che si sono succedute dal 1948 ad oggi, nonchè non pochi tra i politici e i leader israeliani del passato e del presente e oggi l’Unione Europea. Non può esservi soluzione politica a un problema che ha una matrice culturale e religiosa. La quadratura del cerchio non è mai riuscita a nessuno e non riuscirà neanche in questo caso.

C’è da aggiungere che il jihad contro Israele gode di un esteso supporto occidentale. La matrice dell’odio antisemita musulmano che ha nel Corano e negli hadit la sua matrice si sovrappone all’antisemitismo di matrice tradizionale occidentale che ha trovato il proprio apice più recente nelle teorie cospirazioniste contenute ne I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e quindi nella virulenza antisionista, egemone a sinistra, oggi maggioritaria, che dipinge Israele come uno Stato razzista, colonialista e genocida.

Dunque cosa resta da fare? Quello che Israele fa e ha fatto fino ad oggi. Resistere. Dotarsi di sistemi di attacco e di difesa notevolmente superiori a quelli dei suoi avversari. Continuare a essere ciò che è da quando esiste, una guarnigione ebraica circondata da attori ostili, senza illudersi che i trattati stipulati, in primis quello con l’Egitto e poi quello con la Giordania, e i tanto osannati Accordi di Abramo, non siano altro che ciò che sono, chiffons de papier, come li considerava  con cinico realismo Georges Clemenceau.

“Credo che la realtà nel Medioriente, e ancora di più dopo il cosiddetto risveglio arabo, significa che Israele, per potere sopravvivere qui, e non sono sicuro che riuscirà a farlo, l’impero romano non è sopravvissuto, nessuno stato sopravvive per sempre, necessiti di essere una fortezza, necessiti di essere forte. Deve respingere gli attacchi arabi e l’antagonismo arabo e la malevolenza occidentale, che sta crescendo”, dichiarava nel 2016 Benny Morris a Niram Ferretti in una lunga intervista concessa a l’Informale.

La realtà si affronta adeguatamente solo riconoscendo la sua fisionomia.

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