Interviste

Il realista scettico: Intervista a Martin Sherman

Consigliere ministeriale di Yitzhak Shamir, docente di Scienze politiche, relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Tel Aviv, Martin Sherman è stato il primo direttore accademico della Conferenza di Herzliya. È il fondatore e direttore esecutivo  dell’Israel Institute for Strategic Studies il cui scopo esplicito è “Confrontare, contenere e contrastare la” resa intellettuale “ai dettami della correttezza politica post-sionista spesso riflessa nella condotta dei responsabili politici israeliani ufficiali e all’interno del processo decisionale ufficiale israeliano ”.

Già ospite de L’informale, lo abbiamo intervistato relativamente ai recenti sviluppi di politica estera israeliana.

La notizia che Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno concordato di sviluppare pieni rapporti diplomatici è stata reputata dalla maggior parte dei commentatori come un punto di svolta per il Medio Oriente e per il futuro di Israele. Non per lei. Può spiegarci perché?

Penso che l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti sia un passo positivo, ma non sono tra coloro che si uniscono all’euforia generale. Fondamentalmente ciò che Israele sta facendo è di formalizzare relazioni esistenti, quindi, in altre parole, sta formalizzando qualcosa che è già in corso. Può aiutare un po’, ma gli Emirati Arabi Uniti sono un paese di un milione di cittadini e nove milioni di espatriati e migranti, alcuni dei quali vivono in condizioni pessime. Il PIL pro capite in Israele è leggermente superiore a quello degli Emirati Arabi Uniti, quindi non vedo l’accordo come una grande miniera d’oro. Avrà effetti positivi ma abbiamo firmato accordi di pace che avrebbero dovuto avere un impatto molto maggiore, ad esempio quello con l’Egitto, che è il più grande paese arabo del mondo, e l’accordo non si è certo rivelato qualcosa di spettacolare. E’ molto più una tregua che un accordo di pace. Siamo stati molto fortunati che non si sia dissolto una volta che i Fratelli Musulmani hanno preso il potere. È stato un colpo di fortuna che Al Sisi abbia preso il potere in Egitto e che abbia impedito un deterioramento nonostante il trattato di pace. Penso che l’importanza principale dell’accordo con gli Emirati Uniti sia che potrebbe rappresentare un puntello alla coreografia di uno scenario più grande, e cioè se avrà un impatto sulle elezioni di novembre negli Stati Uniti, perché se questo accordo è percepito come un successo di politica estera che aiuta a portare Trump alla vittoria, si tratta di un incasso strategico per Israele. Se dovesse vincere Trump saremo in grado di sentirci sollevati, se dovesse vincere Biden penso che avremo molti problemi nei prossimi quattro anni o forse otto, perché il partito Democratico è diventato per molti versi un partito anti israeliano. Quindi, se questo accordo è percepito come un successo per Trump, questo sarà il suo principale vantaggio strategico per Israele. Potrebbero esserci diversi tipi di ricadute economiche per il turismo. Da paese agricolo povero Israele è riuscito a svilupparsi in una economia moderna postindustriale senza avere molte relazioni con i paesi arabi. Quindi sarò molto circospetto nello stappare le bottiglie di champagne.

Nel suo articolo sull’accordo pubblicato su Israel Hayom il 21 agosto, Caroline Glick ha scritto che il cuore della questione è il veto palestinese, in altre parole l’affermazione che il diritto di Israele di esistere è subordinato alla soddisfazione delle rivendicazioni palestinesi contro di esso. E’ d’accordo?

C’è una certa verità nell’affermare che questo accordo è stato concluso senza alcuna concessione da parte palestinese, ma si può dire la stessa cosa dell’accordo con la Giordania. Si potrebbe sostenere che l’accordo con la Giordania sia stato un derivato degli Accordi di Oslo. Se non fosse stato per gli Accordi di Oslo non ci sarebbe stato un accordo con la Giordania. Penso che sia innegabile che la questione palestinese abbia perso parte della sua centralità nell’agenda internazionale, ma il fatto che l’accordo con gli Emirati sia legato alla questione della sovranità sembra ridimensionarlo un po’ perché alcune concessioni sono state fatte al fronte palestinese nel rinunciarvi e questo è problematico poiché ci sono tutta una serie di fattori che militano a favore dell’intraprendere l’estensione della sovranità prima piuttosto che dopo. Uno di questi è che potrebbe esserci un cambiamento di amministrazione negli Stati Uniti a novembre, e se l’estensione della sovranità non viene eseguita prima delle elezioni e Joe Biden vince, possiamo dimenticarci di estendere la sovranità per il prossimo futuro. Il secondo fattore è che prima delle elezioni Trump ha bisogno di ottenere il voto evangelico, e gli evangelici sono molto favorevoli alla sovranità, quindi questo potrebbe essere il momento giusto per spingere la sovranità prima di novembre. Il terzo fattore è che se questo accordo è stato descritto come un accordo che soddisfa l’interesse nazionale degli Emirati, perché Israele dovrebbe dare qualcosa in cambio per aiutare gli Emirati a perseguire il loro interesse nazionale? Non dovrebbe pagare alcun prezzo. L’attrazione per Israele da parte dei cosiddetti Stati moderati sunniti è dovuta al fatto che si tratta di un partner forte, ma se Israele è costretto a fare concessioni ai palestinesi, lo renderà più vulnerabile e molto meno attraente come partner forte, perché dovrà dedicare gran parte delle sue risorse a occuparsi del fronte palestinese, piuttosto che a occuparsi del fronte comune contro l’Iran. Se Trump  dovesse vincere a novembre e si potranno avere sia i rapporti con gli Emirati che la sovranità, allora sì. Se si deve rinunciare alla sovranità per formalizzare relazioni che esistono già nonostante l’accordo, questo è un prezzo troppo alto da pagare. Per Israele è un interesse nazionale vitale impedire qualsiasi presa di potere ostile della Giudea e della Samaria, gli altopiani che si affacciano sulla pianura costiera e che rappresentano un baluardo contro ogni incursione da oriente. Estendere la sovranità a quelle aree sarebbe un passo importante per soddisfare questo interesse nazionale, fare marcia indietro potrebbe mettere in pericolo la sua eventuale attuazione. Sebbene considero gli accordi in generale come qualcosa di positivo, ho molte riserve sulla loro effettiva rilevanza.

Ha delle riserve sul fatto che gli Stati Uniti possano vendere agli aerei F-35 agli Emirati?

Al momento la questione non sembra essere direttamente legata all’accordo. C’è chi afferma che non sarà un pericolo per Israele perché la portata di quegli aerei non è abbastanza lunga per raggiungere Israele direttamente senza rifornimenti. Questa non è la mia principale preoccupazione perché ogni volta che un paese arabo ha firmato un accordo con Israele, per qualche motivo è sempre stato ricompensato con la modernizzazione del suo esercito. La stessa cosa è successa con gli egiziani e probabilmente era un pericolo maggiore. Tuttavia, ciò non può sospendere la disposizione americana secondo la quale la sicurezza di Israele e il suo vantaggio tecnologico devono essere presi in considerazione prima di concludere qualsiasi accordo. Non sono sicuro che questa sia una minaccia immediata. Rinunciare alla sovranità è un prezzo molto molto alto da pagare più della modernizzazione della tecnologia militare degli Emirati. Israele è riuscito a superare le minacce tecnologiche con successo, quindi a meno che non ci sia una rivoluzione negli Emirati, penso che questi aerei non costituiscano una grande minaccia per Israele.

Per la prima volta dal 1967 un presidente americano, Donald Trump, ha fatto la mossa senza precedenti di far dichiarare al Dipartimento di Stato che gli insediamenti in Giudea e Samaria non violano il diritto internazionale. Di conseguenza ha dato il via libera a Israele di estendere la sua sovranità sopra il 30% dei territori. È stato un cambiamento storico, ma ora il quadro è cambiato. Cosa ne pensa?

Mi consenta di dire almeno due cose. Senza alcun dubbio l’amministrazione Trump è stata sotto il profilo strategico lo sviluppo più positivo per Israele da molti decenni a oggi. C’è un’intera processione di mosse importanti realizzate che sono state molto positive per Israele, dal riconoscimento di Gerusalemme come sua capitale, al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, dal riconoscere la sovranità israeliana sul Golan, all’avere tolto i fondi all’UNRWA e all’Autorità Palestinese, e al ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano. Queste sono state tutte grandi vittorie strategiche per Israele. D’altra parte Israele è stato molto reticente nel promuovere i propri interessi. Trump è probabilmente più filo-israeliano dello stesso governo israeliano. Il riconoscimento di Gerusalemme e il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme penso sia stata molto più un’iniziativa americana che il risultato della pressione israeliana, e lo stesso vale per l’UNRWA. Tutti sapevano che farsa fosse l’UNRWA, e Israele non l’ha mai posta veramente in primo piano in ambito diplomatico. Israele avrebbe potuto essere molto più assertivo, premendo per la sovranità. La questione di fondo è che Israele non può permettere che quel territorio cada in mani ostili, quindi, alla fine, l’unica soluzione è che Israele estenda la propria sovranità su di esso, e questo non è stato chiarito abbastanza o presentato abbastanza energicamente dalle amministrazioni israeliane per un lungo periodo. Non ho visto Netanyahu essere davvero molto entusiasta dell’idea. In politica si segue la linea della minore resistenza e penso che quando gli americani hanno visto che non c’era grande entusiasmo da parte israeliana hanno optato per qualcos’altro, in fondo hanno coreografato un’alternativa, dicendo che la sovranità è stata ritardata dando in cambio un successo  politico a un importante paese arabo. Spero che questo sia solo un ritardo. Molto dipende dal risultato delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. La posizione strategica di Israele è migliorata enormemente dal 2014 e 2016 a causa di eventi che non sono il risultato della politica israeliana. Il primo è stato la presa di potere di Al Sisi ai Fratelli Musulmani in Egitto, e il secondo è stata la vittoria del tutto inaspettata di Trump alle elezioni americane. Come ho detto, entrambi questi eventi non sono stati il ​​risultato della politica israeliana, ma hanno migliorato immensamente la posizione strategica di Israele. Sarei stato molto più felice se il miglioramento della posizione strategica israeliana fosse stato il risultato di una politica mirata, ma fondamentalmente la politica estera israeliana sembra interessata a gestire al meglio lo status quo.

Questo ci conduce alla domanda successiva. Qual è la sua valutazione generale della politica di Benjamin Netanyahu in relazione agli insediamenti e a Gaza?

Me lo lasci dire fin da subito, non sono un apologeta acritico di Netanyahu, ma nel complesso Netanyahu è stato un Primo Ministro rivoluzionario per Israele. Ha ottenuto grandi successi praticamente in ogni campo, ha esteso la portata diplomatica di Israele in molti posti nel mondo, Sud America, Africa, India, è riuscito a tenere a bada l’amministrazione molto ostile di Obama, è riuscito a neutralizzare sostanzialmente gran parte dell’opposizione della UE nei confronti di Israele inserendo un cuneo nell’Unione tramite le alleanze con i paesi dell’Europa centro-orientale e riducendo la dipendenza economica di Israele da una Unione Europea ostile. Per quanto riguarda il terrorismo, ci sono state fiammate, ma ha ridotto il terrorismo nella maggior parte del paese. Detto questo, la mia principale critica nei suoi confronti, collegata alla sua domanda, è che non ha investito abbastanza nella diplomazia a favore di Israele. Penso che la diplomazia sia uno strumento strategico. Dico da anni che se Israele investisse l’1% del bilancio statale nella diplomazia, sarebbe oltre un miliardo di dollari. Con un miliardo di dollari puoi conquistare molti cuori e cambiare molte menti, e non l’abbiamo fatto, e questo ha certamente ridotto la libertà di movimento di Israele in molti altri campi. Non credo che Netanyahu sia stato abbastanza tenace nell’incrementare gli insediamenti. Ad esempio, mettere fuori scena la terra in cambio di pace, avrebbe avuto un effetto molto positivo sui prezzi delle case in Israele, perché avrebbe fornito una grande offerta di alloggi vicino al centro del paese, la Giudea e la Samaria sono molto vicine al principale centro abitato della piana costiera. Questa è una delle mie maggiori critiche a Netanyahu. Per quanto riguarda Gaza il problema non è operativo, è concettuale. Finché i palestinesi verrano concepiti come potenziali partner di pace piuttosto che come essi stessi dicono di essere, implacabili nemici, non si sarà mai in grado di formulare una politica efficace. Se provi a contenere la violenza a un livello di accettabilità, continuerà a crescere. Quando contrasti la violenza solo con una risposta ridotta, non la dissuadi, immunizzi semplicemente il nemico contro la paura, in modo che quando la violenza scoppierà di nuovo, aumenterà di grado. Se si guarda alla capacità militare che hanno a Gaza ora, è molto al di là di ciò che chiunque avrebbe potuto immaginare. Se qualcuno avesse predetto nel 2005 che il futuro di Gaza sarebbe stato quello che è adesso, sarebbe stato liquidato come uno allarmista irrealistico, ma è quello che si ha oggi. Credo che non ci sia una soluzione consensuale per Gaza. L’unica soluzione è riprenderla e condurre un’iniziativa per l’immigrazione su larga scala da Gaza ad altri paesi. Se si guardano i sondaggi e gli sforzi disperati di molti abitanti di Gaza che cercano di fuggire dal luogo, penso che incentivare l’immigrazione su larga scala sarà molto più facile di quello che la maggior parte delle persone immagina.

Quindi è favorevole a che Israele riprenda il controllo di Gaza. Pensa che questo possa essere fatto con il concorso dell’Egitto?

Non so cosa succederà in Egitto. Al Sisi non resterà al potere per sempre. I Fratelli Musulmani in questo momento, sono contenuti nel paese, ma sono sempre attivi. Se due mesi prima della cacciata di Mubarak qualcuno avesse detto che sarebbe accaduto, nessuno lo avrebbe preso sul serio. Alcuni degli esperti più informati dicevano il giorno prima che Mubark fosse estromesso, che non sarebbe successo. C’è una tremenda crisi economica in Egitto, non so cosa succederà alla diga etiope sul Nilo. Se dovesse ridurre il flusso del Nilo verso l’Egitto, l’Egitto sarà condannato. L’Egitto sta affrontando enormi problemi. Penso che il futuro dell’Egitto sia molto cupo. Tornando a quello che ha detto, no, non credo che l’Egitto dovrebbe essere un partner nella conquista di Gaza e Israele non può evitare che questo accada. Se continua così, gli ebrei inizieranno a lasciare il Negev e il sud. Perché qualcuno dovrebbe fare crescere i propri figli in quel tipo di atmosfera se il governo lo tollera? Senza una massiccia risposta militare ai palloni incendiari e ai razzi, si sta legittimando l’incendio dei campi agricoli israeliani. È solo una pura fortuna che le case non siano state incendiate. Si sta anche legittimando il lancio dei razzi. Perché ai palestinesi dovrebbe essere consentito di lanciare anche un solo razzo sugli insediamenti israeliani?

Tornando agli accordi UE-Israele, il Ministro degli Affari Esteri dell’UE ha sottolineato che il Paese che garantisce gli accordi sono gli USA. Jared Kushner ha detto la stessa cosa. Sembra che Israele sia legato a un obbligo americano.

L’America ha certamente una grande influenza sulla politica israeliana, ma questo non significa che ne abbia il controllo. Sotto questa amministrazione, come ho già detto, gli Stati Uniti sono più filo-israeliani del governo israeliano medesimo. Penso che nulla di ciò che Israele ha ottenuto con questa amministrazione sarebbe accaduto per iniziativa israeliana autonoma. Penso che Israele sia stato molto rilassato nel promuovere i propri interessi. La chiave è investire in molte più risorse e molta più determinazione nella sua diplomazia. Yigal Allon, il defunto ministro laburista per gli Affari Esteri, una volta disse che gli arabi possono perdere molte guerre e nonostante ciò sopravvivere, ma Israele non può perdere una sola guerra perché ciò significherebbe l’estinzione della maggior parte della sua popolazione e la distruzione dello Stato ebraico. Ritengo che i successi di Israele abbiano in qualche modo accecato le persone sulla realtà della sua vulnerabilità.

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