Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il suicidio palestinese e l’Italia che torna a votare contro Israele

Era già tutto scritto e prevedibile? Forse, anche se alcune analisi erano ottimiste. Chi lo pensava ed affermava poteva anche sbagliarsi, secondo quelle analisi.  Ma non è così, ed hanno avuto ragione i pessimisti. Oramai è al di là di ogni ragionevole dubbio, come si direbbe in un’aula di tribunale, che i palestinesi riescano a farsi più male da soli di quanto gliene possa fare un loro nemico e che l’ONU sia un organismo animato da un incontrollabile ed inconciliabile odio nei confronti di Israele.
Cominciamo dai palestinesi. Lo scorso 12 ottobre Fatah e Hamas avevano concordato di doversi riconciliare, per superare insieme la crisi politica, economica ed umanitaria che strangolava gli abitanti della striscia di Gaza e risolvere il problema delicato dei rapporti con Israele.
Meno di due mesi dopo, il disaccordo sulle questioni essenziali ha sepolto quella ipotesi. Fin dalla conferenza del Cairo del 21 novembre scorso l’inconciliabilità delle aspettative di Fatah e Hamas è emersa ed ha dominato la scena. Le varie fazioni palestinesi non avrebbero ceduto a Fatah né le loro armi, né il loro potere, né il controllo sulla politica, e la transizione che avrebbe dovuto dar vita ad un unico organismo politico guidato dal primo ministro dell’Autorità Palestinese Rami Hamdallah, che avrebbe esteso la sua autorità anche su Gaza naufragò fin dall’inizio. Sull’altro versante della disputa, l’Autorità Palestinese rifiutava di far cessare il coordinamento della sicurezza con Israele, come avrebbe voluto Hamas, mentre si mostrava meno ostile nei confronti della richiesta di evitare ulteriori arresti di esponenti di Hamas in Cisgiordania, ma in realtà non erano questi i problemi da risolvere, bensì quelli di fondo, ossia i rapporti con Israele e la cessione del potere a Fatah.
Alcune citazioni potranno chiarire meglio i punti controversi. Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Mousse Abu Marzouq, ha affermato in una sua intervista con l’agenzia giornalistica turca Andolu che Hamas in nessuna circostanza avrebbe accettato di cedere le sue armi ad un governo unitario, in quanto le armi della resistenza hanno lo scopo di difendere il popolo palestinese e liberarlo dall’occupazione. L’ex ministro di Fatah Ahmad Ghneim, dal canto suo, ha espresso il parere che le armi della resistenza (leggi:Hamas) costituiscono un patrimonio del popolo palestinese nella sua lotta contro l’occupazione e non appartengono ad alcuna fazione.  Infine, il rappresentante di Fatah a Betlemme Awni Al-Mashni ha detto che le armi del governo (ossia dell’Autorità Palestinese) non sono armi di liberazione, ma di protezione della società, mentre le armi delle fazioni sono armi di liberazione nazionale.
Come hanno testimoniato il ministro degli affari civili dell’Autorità Palestinese Hussein Al-Sheikh  ed il vicepresidente del Consiglio Legislativo Palestinese Ahmad Bahar di Hamas, e come ha scritto il quotidiano dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida, lo scopo di Hamas era unicamente di uscire, grazie all’intervento dell’Autorità Palestinese, dalla crisi economica e sociale, senza cedere neppure in parte il suo potere su Gaza, ed aveva posto condizioni inaccettabili quali la cessazione della collaborazione dell’Autorità Palestinese con Israele in materia di sicurezza.

Le Nazioni Unite non si avvalgono, ovviamente, di armi, ma ugualmente usano quelle di cui dispongono – la retorica, le deliberazioni, le mozioni – contro Israele e contro ogni logica di pace.
Il 30 novembre scorso l’Assemblea Generale ha condannato Israele in sei diverse risoluzioni sostenute dal mondo arabo. Con una maggioranza di 151 voti favorevoli, 6 contrari e 9 astensioni ha adottato un testo su Gerusalemme che usa il solo nome arabo del Monte del Tempio e con una maggioranza di 105 voti favorevoli, 6 voti contrari e 58 astensioni ha condannato la presenza di Israele sulle alture del Golan. Per la prima volta, e questo va debitamente sottolineato, il Regno Unito si è dissociata dal resto dell’Europa ed ha votato insieme a Stati Uniti e Canada contro questa mozione sponsorizzata dalla Siria (dalla Siria!). Il delegato britannico ha spiegato che “risoluzioni che minano la credibilità dell’ONU rischiano di radicalizzare le posizioni di entrambe le parti e non fanno nulla a favore della pace e della mutua comprensione…il regime siriano usa questa risoluzione per distogliere l’attenzione dalle proprie azioni criminali e dall’indiscriminata strage dei propri cittadini…”. Ma sulla risoluzione relativa al Golan l’Europa, Italia inclusa, si è solo astenuta, mentre sulla risoluzione che aveva per oggetto Gerusalemme ed il Monte del Tempio, smentendo le assicurazioni fornite dai vari Alfano, Renzi e Gentiloni, l’Italia e l’Europa hanno votato scandalosamente a favore. Contrari si sono espressi, oltre che Stati Uniti, Canada ed Israele, la Micronesia e le Isole Marshall.


Il rappresentante all’ONU dell’ONG UN Watch, Hillel Neuer, ha specificato che anche se alcune di queste risoluzioni accusano “entrambe le parti” di provocazioni ed istigazione alla violenza, è solo Israele che viene esplicitamente nominato. A fronte delle 6 risoluzioni che condannano Israele, ve ne sono solamente altre sei per tutto il resto del mondo, con una ciascuna per la Siria, la Corea del Nord, l’Iran, la Crimea, Myanmar e l’embargo americano per Cuba. Proprio ora che l’UNESCO ha smesso di tollerare che il Monte del Tempio non venga nominato anche con il suo antico nome ebraico, l’Assemblea Generale ristabilisce questo abuso.
In questo quadro desolante emerge la posizione dell’Arabia Saudita, che in omaggio al principio che alludendo all’Iran  recita “i nemici dei miei nemici sono miei amici” si avvicina sempre più palesemente ad Israele e spende la propria enorme autorevolezza senza infingimenti.

Alla fine di questa carrellata, poche righe sul rispuntare del nazismo nelle sue varie forme. Sono argomento politico i successi elettorali in Germania ed Austria e le dimostrazioni in Polonia, e sono argomento di giustizia penale alcuni episodi nostrani. Da questo punto di vista è esemplare la storia della “Nazi-Grossmutter” (la “nonna nazi”) tedesca Ursula Haverbeck, che ha speso la sua vita a negare la Shoah  e ad affermare che nessun ebreo è mai stato ucciso ad Auschwitz. Per questo è già stata condannata in diverse occasioni a molti anni di carcere, e la sentenza più recente risale a pochi giorni fa, quando il tribunale di Detmold l’ha condannata a 14 mesi di carcere. Ursula, va detto, ha 89 anni.

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