Israele e Medio Oriente

Israele e la gestione dell’acqua: parte prima

Una delle accuse più ricorrenti – e vergognosamente false – degli ultimi anni è quella, secondo la quale che Israele “ruberebbe” l’acqua degli arabi. Scopo di questa analisi è quello di fornire al lettore una serie di strumenti per comprendere come stanno davvero le cose. Verrà illustrato come Israele dalla sua fondazione, affronti il problema idrico – che è comune a tutti i paesi del Medio Oriente – e come abbia disciplinato negli accordi con la Giordania e l’ANP la distribuzione idrica delle poche fonti naturali disponibili.

In che modo Israele ha affrontato il problema idrico? Si è limitato allo sfruttamento delle poche risorse idriche disponibili, come sostiene una certa vulgata? Oppure ha messo in atto tutta una serie di misure razionali, di scoperte scientifiche e tecnologiche che hanno reso il Paese praticamente autosufficiente dai capricci delle precipitazioni?

In Israele, fin dalla sua fondazione, sono state decise diverse e importanti misure riguardo all’utilizzo dell’acqua per uso domestico, industriale e agricolo. La questione idrica è sempre stata considerata di importanza capitale, da parte di tutti i governi israeliani, al pari della questione della sicurezza. Questo ha permesso di assorbire tutte le ondate migratorie che si sono succedute nel corso dei decenni a partire dagli Ebrei che sono dovuti fuggire dai paesi arabi dal 1948 in avanti. L’aumento di popolazione e il conseguente aumento della capacità agricola e industriale è potuto avvenire solo grazie ad una puntuale e “scientifica” strategia di utilizzo delle risorse idriche esistenti da un lato, e ad una vera e propria “creazione” di nuove fonti d’acqua dall’altro. L’entrata in funzione dei desalinizzatori di propria invenzione è solo l’ultimo capitolo di una politica idrica molto articolata e rigorosa. La rete idrica israeliana ha una struttura a “spina di pesce” estesa in tutto il territorio nazionale, che convoglia da nord le acque delle fonti idriche attorno al lago di Tiberiade fino a sud con quelle fornite dagli impianti costieri di desalinizzazione.


Queste sono, molto brevemente, le principali misure utilizzate da Israele per combattere il problema idrico dal passato fino ai giorni nostri:

  1. assegnazione di vere e proprie quote d’acqua per i vari utilizzi (domestico, agricolo e industriale), che potevano variare di anno in anno a seconda del bilancio idrico nazionale.
  2. istituzione di una “scala mobile” per il prezzo dell’acqua: il consumatore privato, agricolo o industriale pagava cioè un prezzo più alto per il consumo d’acqua che eccedeva la quantità che gli era stata assegnata.
  3. utilizzo razionale dell’eccedenza delle precipitazioni invernali: quest’acqua viene, tutt’oggi, raccolta in laghi artificiali sparsi in molte parti del Paese ed è usata per l’irrigazione e, quando è possibile, per il rifornimento delle falde acquifere.
  4. Riciclaggio delle acque reflue domestiche e industriali sottoposte a trattamento per il riutilizzo. Grazie a questo procedimento di purificazione si può fare due volte uso delle stesse acque. L’acqua così trattata funge da ricarica per le falde acquifere. Infatti la filtrazione dell’acqua attraverso gli strati del terreno rappresenta un’ulteriore fase di purificazione dell’acqua stessa e, contemporaneamente, la falda funziona come riserva sotterranea di ricarica, evitando in tal modo le perdite dovute all’evaporazione. Oggi in Israele viene riciclata quasi il 90% dell’acqua, unico caso al mondo, basti pensare che il secondo paese virtuoso – la Spagna – ricicla meno del 20% dell’acqua utilizzata. Grazie all’alto grado di purificazione, quest’acqua può essere usata per qualsiasi tipo di coltura senza alcun rischio di utilizzare acqua inquinata. E’ da tener ben presente che, tuttavia, dal momento che gli scarichi domestici e industriali sono più salmastri dell’acqua dolce delle fonti naturali (ciò è dovuto alla presenza di detergenti e sale per lavastoviglie, come anche al sale e ai prodotti chimici di cui si fa uso nell’industria) si era riscontrato che la concentrazione di sali nell’acqua riciclata era circa il doppio rispetto a quelli presenti nell’acqua dolce e che l’irrigazione con acqua riciclata causava una graduale salinizzazione del suolo. Così si è provveduto dapprima a un monitoraggio della concentrazione salina e a un lavaggio dei sali accumulati e poi alla desalinizzazione preventiva delle acque reflue trattate. Questo procedimento è un altra eccellenza israeliana.
  5. sfruttamento delle acque salmastre delle falde del Negev e dell’Aravà, per l’irrigazione di colture che tollerano bene l’acqua salmastra. Gli agricoltori di numerosi kibbutz hanno scoperto che alcune colture, quali quelle del cotone, dei pomodori o dei meloni presentano una buona tollerabilità all’acqua salina (fino a 7-8 dS/mdi conduttività elettrica, che è equivalente ad una salinità tra lo 0,41 e lo 0,47% di NaCl). Tuttavia per ovviare ad un eccessivo accumulo di sali attorno alle radici delle piante e delle colture, e per facilitare la lisciviazione di quelli che si sono accumulati, è essenziale coltivare le piante in terreni di media o leggera consistenza (sabbiosi o ricchi di sabbia) e adoperare sistemi di irrigazione avanzata cosa che nel tempo è diventata una scoperta israeliana che dettaglieremo più avanti.
  6. Progetti di intensificazione delle piogge grazie alla “ricarica” delle nuvole con cristalli di ioduro d’argento: effettuata sopra il bacino del lago Kinneret dal 1976 ha incrementato le piogge annuali nell’area del 15-18%.
  7. Desalinizzazione dell’acqua marina: sono in funzione, attualmente, già 5 grossi impianti per la desalinizzazione, e altri in progetto nella zona di Eilat. I più ampi adoperano la tecnica israeliana dell’osmosi inversa per trattare – complessivamente – oltre 600 milioni di metri cubi al giorno di acqua salmastra, soddisfacendo così oltre il 70% del fabbisogno idrico domestico (vedi grafico 1).

Il sistema goccia a goccia

Uno dei principi fondamentali per una buona pratica agricola è quello di fornire alle colture in crescita un adeguato approvvigionamento di acqua: vale a dire evitare, da una parte, un eccessivo stagnamento e prevenire, dall’altra, un’esposizione a carenza. Quantità eccessive di acqua possono causare una mancanza di aerazione delle radici, portando di conseguenza a una inibizione dello sviluppo della pianta o ad una rovinosa filtrazione attraverso il suolo al di là del volume delle radici, o ambedue. Una carenza d’acqua mette, invece, la pianta in una condizione di stress e interferisce sul suo normale sviluppo. Pare dunque ovvio quanto sia importante, soprattutto nelle regioni aride o semiaride, dove l’alto grado di radiazioni solari e il basso livello di umidità aumentano l’evaporazione, evitare stress causati dalla mancanza d’acqua. Da queste ragioni nasce la tecnica, made in Israel, dell’irrigazione goccia a goccia, che dallo Stato ebraico si è diffusa in tutto il mondo. Tecnica che in 40 anni e oltre di utilizzo è stata migliorata e affinata grazie alla tecnologia e all’informatica applicata. Uno sviluppo che è ancora in corso e che permette, oltre al considerevole risparmio d’acqua, un abbattimento dell’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi a tutto vantaggio della qualità dell’agricoltura e della riduzione dell’inquinamento dei suoli. Inoltre questa tecnica si è dimostrata molto efficace sui terreni in forte pendenza, permettendo forti risparmi d’acqua in terreni collinari diventati così adatti a colture prima inimmaginabili.

Questa innovativa tecnica ha permesso di abbattere il consumo d’acqua per l’agricoltura in Israele, che nei primi anni settanta rappresentava l’80% del consumo totale a meno del 40% degli anni 2000 (Fonte: Yaacobi Committee Report, 1971; Ministry for National Infrastructures, 2003).

Oggi in Israele sono oltre 400 le aziende coinvolte nel settore idrico, tra le più famose si possono citare Mekorot che è la compagnia nazionale delle acque e Netafim che è l’azienda che ha inventato il sistema di irrigazione goccia a goccia. Molte di esse sono a capo di progetti in Cina, Africa e Asia per lo sviluppo di aree desertiche o semi desertiche per aumentare la produzione agricola, fino a ieri impossibile, con le tecniche appena descritte.

Un altro risultato importante, ottenuto in Israele, è il risparmio di consumo idrico domestico. Fino a pochi anni fa, il consumo medio procapite era di 102 metri cubi all’anno, ora è stato ridotto a 87 metri cubi l’anno, con un risparmio del 15%.

In conclusione, dopo aver illustrato, brevemente, tutte queste scoperte scientifiche e tecniche che richiedono ingenti investimenti sia in ricerca che in manutenzione oltre che un’attitudine allo studio e allo sviluppo, appare poco plausibile che lo Stato di Israele sia coinvolto in attività di “furto” d’acqua. Pratica ben più adatta a regimi corrotti, inefficienti e poco dediti allo sviluppo.

Nel prossimo articolo sul tema, verrà affrontata la questione dei rapporti tra Israele e i suoi vicini per la gestione delle fonti idriche.

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