Israele e Medio Oriente

La perenne attualità del Lupo

Vladimir, Ze’ev Jabotinsky morì improvvisamente nel 1940, a causa di un infarto. Non fece in tempo a vedere la nascita di Israele. Così come Mosè non riuscì entrare nella terra promessa vedendola solo da lontano, Jabotinsky non riuscì entrare nello Stato ebraico quando venne proclamato. Ci sarebbe entrato da morto solo nel 1964 grazie all’allora Primo Ministro di Israele, Levi Eshkol, che permise quello che David Ben Gurion non aveva mai permesso.

La storia non si fa con i se. Ma Jabotinsky non avrebbe sicuramente accettato il piano di partizione del 1947 approvato dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 181 che defraudava ulteriormente il popolo ebraico concedendo agli arabi Giudea e Samaria.

Come avrebbe potuto Jabotinsky accettare un simile obbrobrio in flagrante violazione dell’Articolo 80 dello Statuto della allora Società delle Nazioni che legittimava il Mandato Britannico per Palestina del 1922 il quale stabiliva inequivocabilmente il diritto degli ebrei di risiedere in tutti i territori a occidente del Giordano, e smembrava ulteriormente queste terre?

La Risoluzione 181, nonostante questo ulteriore impoverimento del territorio concesso agli ebrei, venne accettata dall’Agenzia ebraica e respinta dagli arabi.

Terra in cambio di pace. Una pace che non è mai arrivata e che Jabotinsky, con l’estrema lucidità che lo connotava, sapeva che non sarebbe mai arrivata se gli arabi non fossero stati costretti ad ammettere che Israele non poteva essere annientato.

In uno dei suoi articoli più famosi, Il Muro di Ferro, pubblicato il 4 novembre del 1923 scriveva:

“E inutile sperare, in alcun modo, in un accordo tra noi e gli arabi accettato volentieri, né  adesso né  in un futuro prevedibile…Messi da parte i ciechi dalla nascita, tutti i sionisti moderati hanno capito che non c’è la minima speranza di ottenere l’accordo degli arabi di Palestina per trasformare questa ‘Palestina’ in uno Stato in cui gli ebrei sarebbero maggioranza…La mia intenzione non è quella di affermare che un qualsiasi accordo con gli arabi palestinesi sia assolutamente fuori questione. Fino a quando  sussiste, nello spirito degli arabi, la minima scintilla di speranza di potersi un giorno disfarsi di noi, nessuna buona parola, nessuna promessa attraente indurrà gli arabi a rinunciare a questo spirito”.

Quello che è accaduto il 7 ottobre è il pegno più  alto pagato da Israele per avere negato questa verità.  Da ex militare e da realista senza cedimenti, Jabotinsky sapeva che solo la determinazione risoluta della forza poteva e può indurre un nemico intenzionato a distruggerti, a negarti il diritto all’esistenza, a recedere dai suoi propositi.

Hamas non ha mai fatto alcun mistero della sua volontà di distruggere Israele, è tutto scritto nero su bianco nel suo Statuto del 1988, un manifesto intriso di antisemitismo e la cui volontà programmatica eliminazionista, fa apparire le pagine del Mein Kampf, carezzevoli.

Ciò nonostante, con Hamas si è voluto “negoziare”, gli si è permesso di consolidarsi nella Striscia, di affinare le sue tecniche, di prepararsi allo sterminio di ebrei. Si è applicato il metodo fallimentare del “teniamoli buoni”.

È il metodo delle concessioni, quello che Israele ha sempre applicato, quello che gli Stati Uniti lo hanno fortemente spinto ad accettare per non inimicarsi il mondo arabo. È il metodo della rinuncia alla determinazione, l’esatto contrario di quello che Jabotinsky, esattamente cento anni fa, con lucidità presciente, chiedeva di applicare.

Ora, dopo l’eccidio, ci si accinge a fare quello che andava fatto molto tempo fa, e che va fatto sempre ogniqualvolta il nemico non cede e non concede, metterlo nella condizione di dovere rinunciare definitivamente ai suoi propositi distruttivi.

Un nemico come Hamas si elimina, in modo che anche Fatah, e il suo “moderato” capobastone di Ramallah, capisca che non andrà mai da nessuna parte strizzando l’occhio agli estremisti, e fingendo che sia Israele a non volere trovare un accordo pacificatore.

La necessità di Israele di  vincere questa guerra, a stabilire il primato della forza, prerequisito indispensabile a ogni possibile accordo col nemico, è una vittoria postuma di Jabotinsky, di chi aveva capito tutto prima degli altri, e che mai una sola volta, i fatti hanno smentito.

 

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