Editoriali

La questione degli ostaggi

In una penetrante analisi della guerra in corso, pubblicata su The Australian, e disponibile sul sito del Middle East Forum,https://www.meforum.org/65153/clock-ticks-for-israel-on-hostages-hamas Jonathan Spyer mette in luce due possibili scenari relativi all’esisto del conflitto. Uno contempla il regime change all’interno della Striscia, l’altro un forte depotenziamento strutturale di Hamas, senza però riuscire a distruggerlo del tutto e, di conseguenza, in questo caso, il raggiungimento di un cessate il fuoco pasticciato. 

Il nodo principale è quello degli ostaggi detenuti da Hamas all’interno della Striscia e che, secondo Spyer hanno condizionato in modo sostanziale la strategia militare impostata da Israele, quella di un avanzamento lento e progressivo, al posto di una offensiva frontale.

È impensabile che Hamas non cerchi di lucrare sui 230 israeliani che tiene prigionieri. Non avrebbe alcun senso averli rapiti se non per ottenere un vantaggio che, in qualche modo, infici il successo completo dell’offensiva israeliana, rendendolo parziale, il che sarebbe per Hamas un risultato importante, nonostante le perdite subite, la distruzione di molti tunnel, la decapitazione dei suoi vertici.

Israele, parte svantaggiato rispetto all’organizzazione terrorista. Per Israele, come ha sempre dimostrato, la vita dei suoi cittadini rappresenta un valore intangibile, per Hamas vale esattamente l’opposto; uomini, donne e bambini sono solo pedine da giocare  cinicamente per ottenere dei vantaggi.

In guerra, la superiorità morale, rispetto a un nemico che ne disprezza tutti i codici, significa essere costretti, se si vuole ottemperarvi, a calibrare ogni propria mossa, a limitarne l’efficacia in un orizzonte circoscritto.

La totale amoralità di Hamas è, in questo senso, un punto di forza. Sacrificare la vita di 230 dei suoi concittadini per raggiungere l’obbiettivo di distruggere Hamas, rappresenta per Israele un dilemma morale non indifferente.

L’ombra degli ostaggi si proietta dunque in modo massiccio su tutta l’operazione israeliana a Gaza. Cosa può volere Hamas in cambio per consentire a Israele di riaverli sani e salvi, e Israele sarà disposto a pagarne il prezzo?

Più la guerra si allunga, più le pressioni internazionali su Israele si intensificheranno, soprattutto quella più significativa, l’unica di cui Israele tiene realmente conto, quella americana.

Nella sua analisi Spyer fa presente quello che fu l’esito della guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah:

“La storia recente ha mostrato che a Israele non verrà concesso un tempo illimitato per il raggiungimento dei suoi obiettivi militari. Nella guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah, ad esempio, gli Stati Uniti concessero a Israele il tempo di continuare la sua campagna, ma dopo un paio di settimane le pressioni per un cessate il fuoco cominciarono a crescere e la guerra terminò con l’inconcludente e insoddisfacente Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La risoluzione non è riuscita a risolvere il problema di fondo che aveva causato la guerra, vale a dire la capacità della milizia iraniana Hezbollah di continuare ad armarsi al confine di Israele e di mantenere il controllo del Libano”.

La posta in gioco, in questo caso, è assai più grande, Israele ha subito il più massiccio e traumatico attacco sul proprio territorio dalla sua fondazione ad oggi, e l’operazione militare che ha intrapreso ha una importanza enormemente superiore a quella del 2006; ne va della sua stessa ragione d’essere, tuttavia, la questione ostaggi, dovrà avere un esito. O Israele riuscirà a liberarli nel corso dell’operazione, esito estremamente arduo, o saranno liberati a seguito di un negoziato (con quali conseguenze per Israele e per Hamas?), oppure, nella peggiore delle ipotesi, non torneranno a casa.

La domanda da porsi è se Israele considera realmente questa terza estrema ipotesi in rapporto al suo obbiettivo dichiarato, eliminare definitivamente Hamas da Gaza.

 

 

 

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