Islam e Islamismo

La reazione francese e le ambiguità del resto del mondo

Come prevedibile la Francia ha reagito agli attacchi di venerdì. Il presidente Hollande era stato chiaro: “la Francia è in guerra”. Già domenica i caccia francesi hanno bombardato Raqqa, capitale del Califfato, partendo da basi negli EAU ed in Giordania.
La reazione è più che plausibile sia per dare un segnale agli jihadisti che ai francesi. Al Califfato bisognava dimostrare che non può pensare di colpire impunemente la Francia senza pagarne le conseguenze e i francesi andavano, per così dire, “rassicurati” sulla volontà di combattere del governo. È un po’ quello che fece Bush attaccando l’Afghanistan dopo gli attentati di  Al Qaeda e che ha fatto Hussein di Giordania dopo che un loro pilota era stato bruciato vivo.
Il presidente Hollande ha espressamente citato la clausola di solidarietà dell’articolo 42.7 del Trattato di Lisbona, che prevede sostegno per uno Stato membro vittima di un’aggressione, ma la sua posizione sembra essere solo una delle tante tra quelle prese dal mondo occidentale.

Per cominciare l’ineffabile Federica Mogherini ha precisato che l’appoggio sarà accordato su basi bilaterali, e che non sarà creata un’apposita missione comunitaria.
Venerdì scorso, la mattina delle stragi parigine, Barack Obama ha rilasciato una intervista alla ABC affermando che “fin dall’inizio il nostro obiettivo è stato contenere l’Isis e lo abbiamo contenuto” e questa è la plastica dimostrazione di una amministrazione USA che non vuole essere coinvolta più di tanto nel caos del Medio Oriente. Dopo aver abbandonato al suo destino l’Iraq prima del tempo, Obama è assolutamente determinato a non mandare truppe di terra, se non qualche reparto speciale, ed è convinto che la guerra “pulita” dei bombardamenti fatti con i droni possa fiaccare il Califfato, così convinto che il Wall Street Journal ha scritto: “Alcuni accusano Obama di scarso tempismo, ma la verità è più grave: la frase di Obama è esattamente quello che egli crede, o almeno ciò che vorrebbe gli americani credessero”.
Il ministro degli Esteri Gentiloni ha detto che “l’importante è reagire a queste azioni di guerra senza sentirsi in guerra anche noi. Sarebbe il regalo più grande che possiamo fare ai terroristi”, frase che ricorda un po’ le “convergenze parallele” di democristiana memoria. Perché o si considerano gli attentati di Parigi un atto di guerra portato dal Califfato che, spiace dirlo ma è oramai è uno Stato de facto, o si derubricano a semplici atti di terrorismo, come erano quelli delle BR, ed allora non c’è bisogno di parlare di guerra.
Posizione ancora più ambigua è quella della Turchia. Erdogan è stato accusato per mesi di non fermare, se non addirittura di favorire, il passaggio di Foreign Fighters e rifornimenti che sono andati a rinforzare il Califfato, visto come male minore rispetto ad Assad ed alle milizie curde. Per mesi ha negato l’uso della base aerea di Incirlik agli aerei americani, anche quando si cercava disperatamente di rompere l’assedio di Kobane, e quando alla fine l’aviazione turca ha cominciato a bombardare in Siria si è concentrata principalmente contro i Curdi piuttosto che colpire le milizie dell’ISIS.
Il politico che in queste ore sembra essere corso più in appoggio della Francia è il presidente Putin. Non perché, come ritengono alcuni, si sia trasformato in un novello difensore della cristianità ma, ovviamente, per difendere gli interessi della Russia, cosa peraltro sacrosanta visto che per prima cosa un governante dovrebbe occuparsi degli interessi dei propri concittadini e, solo in seconda battuta, di curare i mali del mondo.
Alleato storico di Assad, preoccupato di difendere l’unica base navale che gli è rimasta nel mediterraneo, all’inizio ha concentrato principalmente gli attacchi della propria aviazione e dei missili cruise lanciati dalle navi contro i ribelli del “esercito della conquista”, guidato da Jabhat al-Nusra, e contro le altre forze che più minacciano da vicino le roccaforti del regime di Assad, milizie ormai del tutto radicalizzate e che per questo hanno perso l’appoggio logistico degli USA dal mese di ottobre ma non delle monarchie del golfo e della Turchia.
Gli attacchi contro l’ISIS sono stati inizialmente marginali ma l’attentato che ha distrutto l’aereo russo in volo sul Sinai e gli attentati di Parigi hanno cambiato le priorità del governo russo. È di ieri la notizia che Putin ha dato ordine al proprio corpo di spedizione in Siria di coordinarsi con i francesi per colpire il califfato e sempre ieri sono stati usati per la prima volta bombardieri strategici a lungo raggio, decollati dalla base russa di Mozdok, per colpire gli obbiettivi dei ribelli. Oltre a questo bisogna rilevare che la Duma russa ha chiesto ai Paesi europei, del Nord America e del Medio Oriente di formare una coalizione anti-terrorismo come quella che si formò per combattere Hitler.

Per vincere una qualsiasi guerra è fondamentale riconoscere chi è il nemico e quali obbiettivi si vogliono raggiungere, senza queste premesse è del tutto inutile cominciarla. Se queste sono solo una parte delle posizioni e dei distinguo di quella che dovrebbe essere la coalizione messa in campo da UE e NATO, risulta difficile dare torto a Putin quando al G-20 dice che è impossibile fare un patto comune contro Isis perché l’Occidente è troppo diviso.

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