Israele e Medio Oriente

La vita dei cristiani in Israele: prosperità, posti dirigenziali e arruolamenti nell’Idf | di Shadi Khalloul

Riportiamo la versione italiana dell’articolo di Shadi Khalloul che fa il punto sulla situazione dei cristiani in Israele, scritto per il Gatestone Institute. La traduzione è di Angelita La Spada. Sono sempre di più i cristiani di Israele che decidono di prestare servizio nell’Idf, ma soprattutto sono in crescita e, come tutte le minoranze in Israele, occupano anche posti dirigenziali di rilievo. Il giudice della Corte suprema Salim Jubran, di etnia araba, è di religione cristiano-maronita. Con buona pace di chi ancora parla di apartheid in Israele. 

L’anno scorso, Israele ha riconosciuto l’esistenza di un gruppo di cristiani “aramei” all’interno dei suoi confini. Una decisione che nessun paese arabo o musulmano del Medio Oriente ha mai preso né avrebbe mai pensato di farlo. Israele ha riconosciuto un distinto gruppo etnico e religioso: la popolazione autoctona dell’antica Mezzaluna Fertile.

La loro lingua, l’aramaico, era la lingua parlata da Gesù secoli prima che l’Islam arrivasse nella regione.

Israele non solo sostiene e garantisce ai cristiani e alle altre minoranze – drusi, musulmani, baha’i – pieni diritti civili, libertà di culto e diritto alla convivenza pacifica, ma consente loro anche di svilupparsi come minoranze con tutte le implicazioni che comportano le differenze di cultura. Gli arabi, ad esempio, sono ben accolti nelle Forze di difesa israeliane (IDF), ma al contrario degli ebrei non sono tenuti a fare il servizio militare. David Ben Gurion, fondatore e primo premier dello Stato ebraico, non voleva che gli arabi si sentissero obbligati a combattere i loro “fratelli”.

In Israele, i membri delle minoranza cristiana e di quella musulmana occupano posti dirigenziali di ogni tipo – proprio come ogni ebreo israeliano che desidera avere una carriera di successo. Si pensi ad esempio al giudice della Corte suprema Salim Jubran, di etnia araba e religione cristiano-maronita.

Contrariamente alla propaganda, non c’è “apartheid” di alcun tipo in Israele né ci sono strade che possono essere percorse solo dagli ebrei. Cosa che invece accade in Arabia Saudita, dove ci sono vere e proprie strade dell’apartheid, dal momento che solo i musulmani possono recarsi alla Mecca.

Israele fa questo, in un contesto dove i paesi vicini – che sono spesso i nemici più brutali dell’umanità – desiderano che esso sia eliminato, facendo di frequente anche del loro meglio perché ciò accada. Purtroppo, molti europei si uniscono al coro. Tutti hanno visto i recenti tentativi malevoli da parte dell’Unione Europea di annientare economicamente Israele etichettando le merci prodotte nei territori contesi. Questa condizione, che non è stata imposta in nessun altro paese che ha un confine conteso, di fatto ostacola qualsiasi tentativo di pace.

Questi europei non ingannano nessuno. Le loro “punizioni” sornionamente sadiche e presuntuose destinate a Israele non faranno che nuocere economicamente a migliaia di palestinesi per i quali il lavoro è di vitale importanza, perché questi diktat indurranno altresì i palestinesi disoccupati a dover rivolgersi all’ufficio collocamento che rappresenta la loro ultima risorsa: l’estremismo e il terrorismo islamico. Paradossalmente, questi europei, per soddisfare il loro desiderio di danneggiare gli ebrei facendo finta di aiutare i palestinesi, in realtà seminano un nuovo raccolto di terroristi che poi andranno in Europa a mostrare cosa pensano di ipocriti del genere.

Nella regione si parla molto del fatto che gli europei aspirano segretamente a cancellare Israele dalla carta geografica, auspicando che le loro nuove leggi, unitamente alla vecchia violenza araba, servano allo scopo. In questo modo, gli europei possono far credere a se stessi di non aver “nulla a che fare con ciò”. Questi europei devono sapere che non ingannano nessuno.

Israele, dal canto suo, pur avendo a che fare con i fronti americani ed europei, e spesso con le minacce musulmane genocide, continua attivamente a rafforzare le sue minoranze attraverso una vasta gamma di programmi finanziati dallo Stato. Il 30 dicembre 2015, il governo israeliano ha adottato un piano quinquennale da 15 miliardi di shekhel (circa 4 miliardi di dollari) per lo sviluppo delle minoranze, soprattutto arabe. Gila Gamliel, ministro per l’Uguaglianza sociale, membro del Likud, ha il compito di attuare il piano. Il premier Netanyahu, che è ingiustamente demonizzato, negli ultimi anni ha creato “l’Agenzia per lo sviluppo economico dei settori arabo, druso e circasso”. Questo organismo è diretto da un arabo musulmano, Aiman Saif, che controlla un bilancio di 7 miliardi di shekhel (circa 1,8 miliardi di dollari), con stanziamenti erogati per lo più a diversi città e villaggi arabi per sviluppare infrastrutture moderne, aree industriali, opportunità di lavoro, l’istruzione e altri elementi. Il resto del bilancio è destinato ad aiutare i villaggi cristiani in Galilea.

Gli arabi hanno un loro dipartimento in seno al ministero dell’Istruzione, guidato da un arabo musulmano, Abdalla Khateeb, che è anche responsabile di un cospicuo bilancio di 900 milioni di shekhel (230 milioni di dollari).

I cristiani, così come tutte le altre minoranze, oggi si rendono conto che prestare servizio militare nell’esercito israeliano è essenziale per la loro integrazione nello Stato ebraico. In Israele, molti cristiani e altre minoranze condividono le stesse paure: sanno che in questa regione, lo Stato ebraico è l’unica isola che garantisce loro libertà e diritti democratici. La comunità araba musulmana, quella cristiana e le altre comunità arabofone vedono il tragico destino dei loro fratelli in Siria, Iraq, Libano e in altri paesi arabi. Musulmani che uccidono musulmani; fanatici gruppi musulmani che uccidono i cristiani, li sradicano, li sgozzano, li bruciano vivi, li annegano in gabbie e naturalmente li crocifiggono, anche i bambini piccoli. Le minoranze d’Israele sono consapevoli di questo. Esse, inoltre, non riescono a capire perché nessuno demonizza questi farabutti. Temono che questa rovina si diffonderà innanzitutto in Terra Santa e poi in Europa.

Questa paura è uno dei motivi per cui sempre più cristiani chiedono di servire nelle IDF: il 30 per cento di reclutamento avviene su base volontaria; mentre nella società ebraica si registra il 57 per cento delle presenze su base obbligatoria. Oggi, più di un migliaio di arabi musulmani fanno parte delle Forze di difesa israeliane.

Noi tutti conosciamo il pericolo rappresentato da quei gruppi jihadisti fanatici come Hamas e vogliamo dedicare un maggiore impegno alla difesa di questo stato pluralista e solitario.

La comunità a cui appartiene il sottoscritto, i cristiani aramei, affonda le sue radici etnico-linguistiche nella comunità aramaico-fenicia stanziatasi in origine in Siria, Libano e Iraq. Nei 1400 anni successivi alla conquista islamica, i cristiani aramei sono stati costretti ad abbandonare la loro lingua per parlare l’arabo e più di recente a lasciare le loro case in Siria e Iraq. Essi non hanno alcuno status nei paesi arabi e islamici, molti dei quali governati dalla legge islamica della sharia. I cristiani aramei non godono di alcuno status anche nell’Autorità palestinese, che ora controlla la Giudea e la Samaria.

Sappiamo che alcuni gruppi cristiani, come Sabeel, Kairos Palestine e altri che sono controllati dall’Autorità palestinese, sentono ancora il bisogno di parlare positivamente dei signori arabi musulmani che li tengono assoggettati.

Gerusalemme è aperta a tutti. Ma non è sempre stato così, soprattutto sotto la giurisdizione giordana, fino al 1967. Non solo allora non fu consentito l’accesso agli ebrei, ma 38.000 pietre tombali ebraiche furono asportate dal Monte degli Ulivi e utilizzate come materiale di costruzione e per pavimentare le latrine della Giordania.

I membri arabi musulmani della Knesset israeliana (il parlamento) non accettano il diritto dei cristiani a preservare il loro patrimonio unico. Il 5 febbraio 2014, il deputato della Knesset Haneen Zoabi della Lista araba unita ha minacciato i parlamentari cristiani israeliani che facevano pressioni perché la commissione Lavoro della Knesset si pronunciasse a favore di una legge volta ad aumentare il numero dei rappresentanti cristiani nel comitato per le pari opportunità nell’occupazione in seno al ministero dell’Economia. La Zoabi non ha accettato l’idea che noi apparteniamo a un’etnia cristiana aramea separata e ha insistito a dire che siamo arabi e palestinesi. Il che è ovviamente falso come se noi cristiani insistessimo a chiamare gli arabi musulmani “nativi americani”. La legge è stata approvata – nonostante i tentativi di evitarlo compiuti dalla Zoabi e dai suoi colleghi – grazie a una coalizione di membri della Knesset, con la stragrande maggioranza di voti a favore da parte dei parlamentari ebrei.

Questo episodio mostra come alcuni arabi musulmani di Israele, pur chiedendo ai loro vicini ebrei di aiutarli a preservare il loro patrimonio arabo-musulmano, non riconoscono questi stessi diritti alle altre minoranze etniche.

Piuttosto, essi cercano di imporre l’arabizzazione e la palestinizzazione con minacce e ricorrendo all’uso della forza. Nel settembre 2014, ad esempio, una donna cristiana aramea, il capitano delle IDF Areen Shaabi, è stata vittima di stalking da parte di alcuni attivisti arabi musulmani, a Nazareth. Ella è stata minacciata al grido di “Allahu Akbar” [“Allah è il più grande!”] e di notte le hanno tagliato le gomme dell’auto.

Il maggiore delle IDF Ehab Shlayan, un cristiano arameo di Nazareth e fondatore del Christian Recruitment Forum, si è svegliato una mattina dell’agosto 2015 e ha trovato una bandiera palestinese fuori dalla sua porta di casa. La vigilia di Natale del 24 dicembre 2014, una trentina musulmani ha lanciato pietre e bottiglie di vetro contro Majd Rawashdi, un soldato cristiano di 19 anni, e la sua abitazione.

Tutto questo è ipocrisia ai massimi livelli, misto a razzismo.

In un messaggio di auguri di Natale rivolto ai cristiani d’Israele, il 24 dicembre 2012, il premier Netanyahu ha detto:

“Le minoranze che vivono in Israele, tra cui oltre un milione di cittadini che sono arabi, godono di pieni diritti civili. Il governo di Israele non tollererà mai le discriminazioni contro le donne. La popolazione cristiana di Israele sarà sempre libera di professare la propria fede. Questo è l’unico posto in Medio Oriente dove i cristiani sono completamente liberi di praticare la loro fede. Non devono aver paura; non devono fuggire. In un momento in cui i cristiani sono sotto assedio in tanti luoghi, in molti paesi del Medio Oriente, sono orgoglioso che i cristiani d’Israele siano liberi di praticare la loro fede e che in Israele ci sia una fiorente comunità cristiana”.

In Israele, i cristiani e altre minoranze crescono e prosperano, mentre in altri paesi del Medio Oriente, tra cui l’Autorità palestinese, vengono duramente oppressi e perseguitati dall’islamismo, fino a scomparire.

L’autore di questo articolo, Shadi Khalloul, è il fondatore del Movimento aramaico israeliano. Prima della laurea conseguita presso l’University of Nevada, a Las Vegas, è stato luogotenente paracadutista nelle IDF. È anche un imprenditore, leader della sua comune

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