Elementi di propaganda

Le radici sovietiche dell’antisionismo

Mentre Israele continua a rispondere all’eccidio di Hamas del 7 ottobre, l’antisemitismo aumenta in modo allarmante. Tuttavia, la particolare forma di antisemitismo che vediamo oggi, in base alla quale Israele e gli ebrei sono considerati oppressori che sottomettono le loro vittime palestinesi, è emersa molto prima dell’attacco di Hamas e ha radici in un tempo e in un luogo che molti non hanno più presente: l’Unione Sovietica. In effetti, l’idea stessa di una nazione palestinese distinta emerge da un progetto sovietico ideato sotto la stendardo della liberazione nazionale.

Vladimir Lenin si professava contrario all’antisemitismo e denunciava i pogrom zaristi, ma la sua impresa richiedeva l’assimilazione delle minoranze e la repressione della pratica religiosa. L’idea che gli ebrei dovessero avere un proprio Stato, quindi, non veniva nemmeno presa in considerazione.

Nei suoi scritti, Lenin descriveva il progetto sionista come un’espressione dell’imperialismo americano che mirava a promuovere gli interessi dei proprietari e a sfruttare i lavoratori. Queste idee, alla fine finirono per plasmare la politica ufficiale sovietica nei confronti di Israele.

Per un breve periodo dopo la Seconda guerra mondiale, Stalin adottò una linea diversa e sostenne Israele. Si trattò di una questione di strategia. “Venne fatto per due motivi”, dice alla National Review Yohanan Petrovsky-Shtern, professore di Storia e Studi ebraici alla Northwestern University:

Innanzitutto, Stalin sapeva che Israele aveva diversi organismi comunisti ed era convinto che Israele sarebbe diventato uno stato socialista. I primi tre primi ministri del paese rappresentavano il partito Mapai, basato sul marxismo sionista, quindi Stalin era fiducioso che Israele sarebbe diventato un paese marxista e un’enclave del socialismo per l’Unione Sovietica in Medio Oriente. In secondo luogo, Stalin voleva dare uno schiaffo a Winston Churchill perché il Medio Oriente sotto il Mandato britannico rappresentava una specie di fallimento per l’imperialismo britannico. Stalin voleva aggiungere la beffa a quella ferita.

Ma il sostegno sovietico a Israele non sarebbe durato a lungo. Né  sarebbe durata la breve pausa nella propaganda sovietica che accusava i sionisti di essere vassalli capitalisti che desideravano sfruttare il Terzo mondo e distruggere l’URSS. Il ritorno alla normalità avvenne in risposta a una realtà geopolitica: l’Unione Sovietica sviluppò legami con i paesi arabi, gli Stati Uniti si avvicinarono a Israele e divenne chiaro che lo Stato ebraico non si sarebbe schierato dalla parte sovietica nella Guerra Fredda.

Verso la fine della sua vita, Stalin cercò di screditare il sionismo promuovendo teorie cospirative antisemite, di cui il “complotto dei medici” è l’esempio più noto. Nel 1953 accusò pubblicamente un gruppo di medici ebrei di partecipare a un complotto per uccidere funzionari sovietici. Questo schema, si diceva, faceva parte di un più ampio piano sionista e occidentale per indebolire l’URSS – e per estensione il progetto globale di “liberazione” marxista. Un rapporto della Pravda su questo presunto tradimento accusava una “organizzazione borghese-nazionalista ebraica” – il filantropico American Jewish Joint Distribution Committee – di avere cercato di “raggiungere il dominio su altre nazioni” per volere del Regno Unito e degli Stati Uniti attraverso la creazione “ in URSS della propria ‘quinta colonna’ sovversiva”.

Questa diffamazione nei confronti di Israele funzionò bene con gli stati arabi che avevano rifiutato il piano delle Nazioni Unite per la spartizione dell’ex Mandato britannico nel 1947. L’influenza sovietica tra quegli stati continuò a crescere mentre l’URSS usò il proprio potere sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per condannare le azioni britanniche, francesi e israeliane nella crisi di Suez del 1956. Non molto tempo dopo, l’Unione Sovietica formò forti alleanze con i partiti socialisti al potere in Siria e con l’Egitto non allineato.

Brian Horowitz, professore di studi ebraici a Tulane, afferma che l’antisionismo arabo influenzato dal marxismo fu causato da “una confluenza di movimenti”:

Gli arabi volevano acquisire potere sull’Occidente in modo da affermare la propria indipendenza ed essere in grado di ottenere condizioni migliori sia in merito agli aiuti esteri che sulla vendita del petrolio. Erano contenti di avere un’ideologia che forniva loro legittimità – quella di resistere all’imperialismo – in opposizione a Israele. L’Unione Sovietica, sfruttando l’idea di essere anticapitalista e antimperialista, fu in grado di fare appello al Terzo Mondo nella propria ricerca di potere.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni – in cui l’URSS fu il principale fornitore di armi dell’Egitto – l’Unione Sovietica iniziò ad esportare la sua versione dell’antisionismo con nuovo vigore. Il campo della “sionologia” – essenzialmente l’antisemitismo sotto una patina di linguaggio pseudo-accademico – fu il principale incubatore di questa propaganda.

Nel 1972, il Comitato Centrale del Partito Comunista emanò una direttiva “su ulteriori misure per combattere le attività antisovietiche e anticomuniste del sionismo internazionale”. Subito dopo, l’Accademia sovietica delle scienze iniziò a studiare l’antisionismo nel classico stile marxista del confezionare i progetti ideologici in una veste accademica.

Un comune denominatore nella produzione dei siniologi era l’idea che il sionismo fosse intrinsecamente malvagio; la Grande Enciclopedia Sovietica elencava lo “sciovinismo militante, il razzismo, l’anticomunismo e l’antisovietismo” come suoi pilastri e accusava il “sionismo internazionale” di “fungere da prima squadra del colonialismo e del neocolonialismo”.

Vale la pena fare una distinzione tra questo tipo di antisemitismo e le varietà che lo avevano preceduto. L’odio medievale cristiano nei confronti degli ebrei in quanto “assassini di Cristo” non ebbe molta presa nella Russia comunista con il suo ateismo imposto dallo Stato. Ma c’è anche un contrasto tra l’URSS e la Germania nazista. Izabella Tabarovsky, studiosa al Kennan Institute del Wilson Center, ha scritto in un saggio su Tablet del 2019 che i leader sovietici adattarono i vecchi cliché antisemiti “al quadro marxista sostituendo l’idea di una cospirazione sionista antisovietica globale con una cospirazione specificamente ebraica. Il potere ebraico divenne potere sionista. I ricchi e conniventi banchieri ebrei che controllavano il denaro, i politici e i media divennero i ricchi e conniventi sionisti. L’ebreo come Anticristo divenne l’ebreo antisovietico”.

Questa caratterizzazione del sionismo si inserisce perfettamente in un più ampio progetto antioccidentale volto a ritrarre l’ordine guidato dagli Stati Uniti come oppressivo e colonialista, una nozione che a sua volta fece da levatrice all’idea di una distinta identità nazionale palestinese.

Petrovsky-Shtern spiega: “Prima del 1967 non esisteva il concetto di un’identità nazionale palestinese. Si tratta del prodotto della propaganda sovietica successiva al 1967. Nel discorso politico dalla fine del XIX secolo fino ad allora, la parola ‘palestinese’ veniva usata per descrivere un gruppo: gli ebrei nella terra d’Israele. Se si parlava di ‘palestinesi’, si stava parlando dei kibbutznik ebrei”.

Petrovsky-Shtern afferma anche che l’Unione Sovietica promosse l’idea della nazionalità palestinese istituendo accademie educative specifiche. Ad esempio, “creò l’Università Patrice Lumumba, dove furono formati i rappresentanti delle future élites africane, latinoamericane e mediorientali. . . sulla falsariga dell’ideologia sovietica: antiamericana, anticapitalista e ovviamente antiborghese”. Tutto questo venne fatto “sotto lo stendardo della liberazione nazionale”. Rivolta a Israele, questa ideologia, negava il diritto stesso di esistere dello Stato ebraico.

Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese dal 2005, completò i suoi studi universitari presso l’Università Patrice Lumumba nel 1982. La sua tesi, successivamente pubblicata in forma di libro The Other Side: The Secret Relationship between Nazism and Zionism, venne seguita da Yevgeny Primakov, un maestro della guerra politica sovietica.

Il nucleo della tesi è che i sionisti collaborarono con i nazisti per perpetrare l’Olocausto – che, secondo Abbas, uccise molto meno di 6 milioni di ebrei europei – al fine di ottenere il sostegno pubblico per uno Stato ebraico. Questa presunta storia, scriveva Abbas, spiega “le origini” della “politica aggressiva e razzista di Israele nei confronti dei palestinesi e degli arabi di altri paesi”. Invocando la Germania nazista, Abbas descriveva i sionisti come “le truppe d’assalto della reazione imperialista mondiale” e affermava che “l’essenza aggressiva del sionismo internazionale e, prima di tutto, la sua componente cruciale – il regime sionista al potere in Israele – appaiono oggi nella sua forma più brutale, espansionistica e razzista”.

Non fu solo Abbas ad essere influenzato dai tentativi sovietici di collegare sionismo e nazismo. Tabarovsky scrive che “la propaganda antisionista sovietica diretta dagli stranieri sviluppò gradualmente nel proprio pubblico associazioni tra Israele e termini specifici legati alla Germania nazista come ‘genocidio’, ‘campi di concentramento’, ‘deportazioni’ e ‘Lebensraum’”.

I paragoni sovietici del sionismo col nazismo raggiunsero il culmine nel 1975, con la Risoluzione 3379 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – la Risoluzione “Il sionismo è razzismo” promossa dall’URSS. (Sarebbe stata revocata nel 1991 sotto la pressione degli Stati Uniti). La Risoluzione collegava il sionismo al “colonialismo e al neocolonialismo, all’occupazione straniera,… l’apartheid e la discriminazione razziale”.

Petrovsky-Shtern ha dichiarato alla NR che questa era ancora una volta una mossa strategica dei sovietici, “interessati a prendere due piccioni con una fava”. In primo luogo, volevano scoraggiare l’emigrazione degli ebrei sovietici in Israele. In secondo luogo, desideravano ingraziarsi maggiormente gli stati arabi e degradare ulteriormente l’influenza occidentale nel Terzo mondo: se l’avamposto dell’Occidente in Medio Oriente era razzista e oppressivo, allora l’Occidente stesso doveva essere illegittimo.

Attraverso pubblicazioni come Sputnik, un mensile disponibile in inglese, l’URSS diffuse la sua propaganda anche direttamente tra gli occidentali che erano in sintonia con la narrazione antimperialista.

Petrovsky-Shtern sostiene che la veste dell’URSS come paladina degli oppressi fu cucita su misura per le orecchie americane di sinistra: “Il messaggio dell’Unione Sovietica amante della pace venne inviato all’Occidente, e la gente lo inghiotti con esca, corda e  piombino perché era contagioso. Questi uomini di sinistra avevano udito che l’Unione Sovietica sosteneva gli umiliati e gli oppressi, il che, per loro, fu meraviglioso, perché quella era la loro posizione ideologica”.

Oggi, l’idea che il sionismo sia uguale al nazismo è comune nel mondo accademico e nella cultura occidentale. La narrazione della decolonizzazione, della liberazione nazionale e di Israele come aggressore imperialista è ben rappresentata nei programmi dei corsi. Il Bard College offre un corso sull’apartheid israeliano. Princeton offre un corso intitolato “The Healing Humanities: Decolonizing Trauma Studies from the Global South”. Tra le letture è incluso un libro che sostiene che gli israeliani prelevano organi palestinesi. Molteplici  dipartimenti di studi etnici – e non solo quelli che hanno a che fare con gli arabi – hanno rilasciato dichiarazioni a sostegno dell’attacco di Hamas del 7 ottobre rifiutando la caratterizzazione di Hamas come organizzazione terroristica. E gruppi di attivisti di sinistra come Black Lives Matter sostengono che la causa palestinese è simile alla loro.

Può darsi che nessuno di questi gruppi o individui abbia letto la tesi di Mahmoud Abbas scritta per l’Università Patrice Lumumba ma dimostrano che la propaganda antisemita dell’Unione Sovietica è sopravvissuta allo Stato sovietico, con effetti nefasti.

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.nationalreview.com/magazine/2024/01/anti-zionisms-soviet-roots/?utm_source=onesignal&utm_medium=push&utm_campaign=article

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