Editoriali

L’Equidistanza di Israele

Sulla posizione equidistante di Israele nei confronti dell’aggressione russa all’Ucraina pesa un fattore decisivo, la disponibilità russa nel consenirgli di colpire in Siria obbiettivi strategici.

Dal 2011, anno di inizio della guerra civile siriana, le incursioni israeliane in Siria finalizzate a colpire Hezbollah e postazioni iraniane, sono state nell’ordine delle centinaia.

Nel 2015, a seguito dell’ingresso russo nel conflitto, Israele si è progressivamente coordinato con la Russia per potere proseguire le proprie operazioni di neutralizzazione senza intralci. Solo nel 2020, secondo il rapporto annuale rilasciato dal Comando militare israeliano, Israele ha colpito 50 obbiettivi riconducibili all’Iran.

Negli anni, gli incontri tra Putin e Netanyahu sono stati numerosi e sostanzialmente improntati al dossier siriano-iraniano, tenendo, naturalmente conto, che in Israele risiedono un milione e cinquecentomila russi, la più ampia comunità russofona presente in Medioriente, pari al 15% della popolazione israeliana, e della quale Putin si sente una sorta di protettore.

La disponibilità russa di non intralciare Israele nelle operazioni militari in Siria, non è dovuta, ovviamente, a una particolare e disinteressata benevolenza, ma al fatto che, nonostante la Russia sia alleata con l’Iran regionalmente per combattere le diverse milizie anti Assad, una diminuzione sul territorio della presenza iraniana le giova molto, aumentandone l’egemonia. Se è Israele a fare per procura il lavoro sporco, incassandone i vantaggi, anche il “socio” russo gode i suoi indubbi dividendi.

Si tratta di un chiaro e rodato meccanismo di reciproco vantaggio, maggiore per Israele, ma proficuo anche per la Russia. In questo senso, l’atteggiamento estremamente cauto nei confronti di quest’ultima, rasenta la sottomissione. Tutto ciò non solo è chiaro agli Stati Uniti, il principale alleato storico dello Stato ebraico, ma anche, inevitabilmente, all’Ucraina.

Una eventuale astensione di Israele all’ONU durante il voto espresso dall’Assemblea Generale il 2 marzo scorso in merito all’aggressione russa dell’Ucraina, lo avrebbe messo nella stessa posizione della Cina, il maggiore e il più ambiguo alleato russo, e avrebbe creato una frattura di proporzioni inusitate con gli Stati Uniti. Impensabile, ma, allo stesso tempo, a seguito di quello che è stato un rito prettamente formale, privo di ogni conseguenza pratica, Israele, diversamente dall’intero comparto occidentale, di cui fa parte a pieno titolo, ha privilegiato, in merito alla più grave crisi europea dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, l’acquiescenza.

Tutto ciò non poteva passare inosservato da parte dell’Ucraina a cui Israele ha sì fornito un aiuto umanitario inviando cento tonnellate di materiale, ma ha evitato di fare un passo più impegnativo, offrire un aiuto militare, per esempio dando semaforo verde a quei paesi che hanno acquistato il sistema missilistico israeliano SPIKE che avrrebbe potuto e potrebbe fornire all’Ucraina un vantaggio nei combattimenti.

E’ quindi del tutto comprensibile la reazione graffiante del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ieri in collegamento Zoom con la Knesset, il quale ha lamentato da parte di Israele la mancanza di un concreto appoggio militare, facendo presente che la volontà russa è quella di applicare all’Ucraina, come esplicitato su alcuni media della Federazione, una “soluzione finale”.

La questione qui non è, se le associazioni fatte da Zelensky con la Shoah nel suo intervento in merito al martirio dell’Ucraina, siano adeguate (non lo sono, ma è del tutto vile e insostanziale rimproverarlo per questo), ma se il suo disappunto nei confronti di Israele, sia giustificato, e i fatti non possono che dargli ragione.

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