Editoriali

Metal detector: il cedimento non è saggezza politica

Dal nostro inviato in Israele, Niram Ferretti

Non si vince capitolando e soprattutto cercando di fare credere che una capitolazione sia un atto di saggezza politica, di lungimiranza. La decisione del governo di Benjamin Netanyahu di rimuovere i metal detector dall’accesso della Porta dei Leoni al comprensorio del Monte del Tempio-Spianata delle Moschee a Gerusalemme dopo dieci giorni di proteste e violenze, culminate sabato scorso nel massacro della famiglia Solomon nell’insediamento di Halamish, è l’ultimo atto di una gestione politica della situazione che è stata, fin dal principio, approssimativa, irresoluta e confusa.

Subito dopo l’attentato del 14 luglio, costato la vita a due poliziotti israeliani, lo Shin Bet ed esponenti dell’apparato militare avevano sollevato le loro perplessità sull’opportunità di collocare i metal detectors come misura di sicurezza. Ritenevano che fossero poco efficaci, poco più che simboliche e che, soprattutto, avrebbero creato più problemi che altro, come si è puntualmente verificato. I fatti successivi, culminati nell’episodio di Amman, dove una guardia addetta alla sicurezza dell’ambasciata israeliana nella capitale giordana ha ucciso per legittima difesa due cittadini giordani, la montante pressione internazionale, quella americana in testa, hanno fatto il resto. Ieri i metal detectors sono stati rimossi.

Un recente sondaggio condotto dall’emittente israeliana Canale Due ha messo in luce che il 77% degli israeliani ritiene che la decisione di rimuovere i dispositivi elettronici sia un segno di bebolezza. Debolezza per altro subito percepita e incassata come una sorta di cambiale in bianco dal mondo arabo-musulmano. Ogni cedimento di Israele, ogni concessione data, per la mentalità araba viene interpretata non come un’azione distensiva o saggia, ma unicamente come una prova di vulnerabilità da sfruttare al massimo.

Sono di ieri le dichiarazioni del Comitato Islamico di Gerusalemme e del Waqf islamico che amministra il comprensorio dove sorgono la Moschea della Rocca e quella di Al Aqsa di essere intenzionati nel proseguimento del boicottaggio al sito. I fedeli verranno invitati a rientrarvi per la preghiera solo dopo che verranno esaminate nei dettagli le nuove misure di sicurezza che Israele intende adottare. In altre parole, valutiamo noi cosa ci sta bene e cosa no e nel secondo caso dovrete adeguarvi salvo non vogliate che si ripeta la situazione precedente.

Masaud Ganaim, esponente della Lista Araba Unita alla Knesset ha riassunto bene il sentimento diffuso da parte araba, “Si tratta di una vittoria da parte dei manifestanti e a vantaggio della lotta del popolo palestinese”. Come dargli torto? E come non vedere che, progressivamente, dal 1967, anno in cui Israele decise di interdire la preghiera ebraica al Monte del Tempio e di darne la custodia amministrativa alla Giordania sconfitta, ad oggi, il comprensorio è diventato sempre di più cosa musulmana? Le delibere dell’UNESCO in virtù delle quali esso è riconosciuto unicamente tramite la sua definizione in arabo, Haram al sharif (il Nobile Santuario) lo certifica.

C’era davvero bisogno di questa sceneggiata? Di questa esibizione cinematografica di forza apparente, plasticamente rappresentata da fotografie che hanno fatto il giro del mondo con poliziotti armati in piedi davanti ai metal detectors e la folla dei fedeli musulmani prostrati in preghiera davanti alle transenne di metallo, per poi smontare tutto l’apparato dopo solo dieci giorni?

Niente è più corroborante e incitante per l’orgoglio arabo-musulmano e per le teste calde pronte ad entrare in azione in ogni momento, del potere evidenziare che alla fine, Israele è più debole di quanto non si pensi.

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