Editoriali

Restano le idee (purtroppo). L’ultimo comunista

Se ne è andato. Piange già, probabilmente, il suo addetto stampa qui in Italia, Gianni Minà e insieme a lui il detronizzato reuccio del pensiero debole che fu, Gianni Vattimo. E non saranno solo dei due Gianni castristi le lacrime per la dipartita del Comandante Fidel Castro, ultimo monumento vivente della revolucion dalla quale sarebbe emerso attraverso una diligente opera di palingenesi sociale l’uomo nuovo finalmente affrancato dalle diseguaglianze ingenerate dal capitalismo. Castro è stato per quasi sessanta anni uno dei feticci dell’internazionale di sinistra, una vera e propria divinità, costituente insieme al natural born killer Ernesto Che Guevara e al martire Salvator Allende, la santissima trimurti sudamericana a cui inginocchiarsi con ardore. Naturalmente, Castro è stato l’edificatore del più sanguinario e occhiuto Grande Fratello tropicale nato sotto il sole (dell’avvenire), una realtà che non avrebbe certo meravigliato George Orwell né per questo Arthur Koestler, ma che qui da noi e altrove è sempre stata dipinta come un paradiso di eguaglianza e di magnifico progresso. Spartito vecchio, già suonato con Stalin, Tito e Mao, tutti alfieri buoni, aedi dell’umanità futura disalienata per la quale era necessario pagare un prezzo.

D’altronde, non era forse lo psicopatico argentino di buona famiglia trasformatosi in rivoluzionario a decretare, “La violenza è inevitabile! Per stabilire il socialismo devono scorrere fiumi di sangue! Se i missili nucleari fossero rimasti a Cuba li avremmo lanciati contro il cuore degli Stati Uniti, New York inclusa. La vittoria del socialismo vale bene la morte di milioni di vittime!”?

Le vittime di Castro non sono state milioni, ma decine di migliaia tra ammazzati, imprigionati ed esiliati, anche se qui in Italia non si poteva dire senza suscitare ostracismo e disprezzo. Lo ricorda bene Omero Ciai “In Italia la sinistra ha sempre girato la testa dall’altra parte. Più con il silenzio che con l’appoggio aperto. In nome dell’antiamericanismo hanno sempre perdonato tutto a Fidel Castro. Gli intellettuali e i politici della sinistra hanno sempre saputo bene qual era la situazione dei diritti umani a Cuba ma quando con altri dissidenti andavamo a chiedere una firma di condanna a Fidel Castro ci sbattevano la porta in faccia. Mi ricordo il 1971. Fidel Castro aveva fatto arrestare un poeta, Heberto Padilla, e Luigi Nono scrisse una lettera di protesta che l’Unità si rifiutò di pubblicare”.

Non si poteva certo scalfire l’immagine di chi lavorava indefessamente, giorno e notte, per il bene dell’umanità, innanzitutto del proprio pueblo,  finalmente liberato da giogo del corrotto Fulgencio Batista e dagli interessi americani, un po’ come sarebbe accaduto molti anni dopo con un altro liberatore salutato con entusiasmo dall’intellighenzia di sinistra, l’ayatollah Khomeyni, che avrebbe affrancato il suo popolo dallo Scià di Persia e, ancora una volta, dai brutali interessi yankee.

Il silenzio sul Leader Maximo era la cortina di ferro invalicabile per tutti coloro i quali, come Carlos Franqui, cercavano di raccontare la verità, “Cercai di raccontare quello che succedeva a Cuba, di mettere in guardia la sinistra. Di spiegare il settarismo con cui si governava il partito comunista cubano. I processi ai dissidenti, le fucilazioni. Sono trentacinque anni che combatto per far conoscere la mostruosità del sistema castrista. Ma in Italia non mi ascoltava nessuno. All’inizio ero un poveraccio che aveva perso il lavoro al quale bisognava pagare il pranzo. Così tanto per dimostrare un po’ di umana solidarietà. Poi diventavo una zanzara, un fastidio da scacciare”. Ma certamente. L’odio per gli Stati Uniti, il terzomondismo “stracciaculo” e quello salottiero chic della sinistra italiana non potevano permettere di scalfire l’immagine di chi, nella loro immaginazione, lottava per opporsi al Male occidentale. Se a Cuba l’economia non fioriva non era certo colpa delle magnifiche ricette stataliste di Castro ma dell’embargo ameriKano, così come oggi, per fare un balzo in Medioriente, è Israele il responsabile del conflitto arabo-israeliano e i palestinesi non sono altro che le vittime. La fabula per gonzi è sempre la medesima. Rivisitato canovaccio brechtiano in cui da una parte ci sono gli “oppressori” bianchi e occidentali e dall’altra le “vittime” (non più i proletari ma i puebli colonizzati, i “neri”) Cambiano solo gli attori sul proscenio, il testo è rimasto invariato nei decenni. Il lord of terror Yasser Arafat, grande ammiratore di Castro, lo aveva capito assai bene quando sposò, a fine anni ’60, la causa rivoluzionaria e travestitosi da guerrigliero cubano con la kefiah iniziò il suo tour in giro per il mondo, mietendo molti applausi ovunque.

Sì, se ne è andato il vecchio guerrigliero dittatore, ma come ha dichiarato nella sua ultima apparizione pubblica, “Restano le idee”. Il rancidume criogenizzato dell’opposizione al liberismo e all’economia di mercato in nome di un futuro migliore di eguaglianza nella povertà, come in Venezuela, ultimo esperimento sudamericano di felice e rigogliosa economia statalista da imitare.

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