Israele e Medio Oriente

Storia della comunità ebraica di Ferrara

La presenza degli ebrei a Ferrara, narrata nel suo momento più tragico da Giorgio Bassani nel celebre romanzo Il giardino dei Finzi-Contini e nel racconto breve Una lapide in via Mazzini, ha origini antichissime che risalgono al Medioevo; ma lo straordinario sviluppo di tale comunità, sia dal punto di vista demografico che economico e culturale, è strettamente connesso alla storia di una grande dinastia ducale: gli Estensi. Non è un caso che la crisi, in tutti i sensi, della popolazione ebraica ferrarese sia iniziata nel 1597 con l’ estinguersi della dinastia e la devoluzione della città allo Stato Pontificio, che cambiò radicalmente la rotta della politica che oggi chiameremmo di “integrazione” praticata dagli Estensi (anche se per motivi non certo umanitari, ma comunque di sana e pragmatica convenienza economica). Una lunga crisi che vide la fine solo con l’arrivo dei francesi alla fine del XVIII secolo e l’adesione di Ferrara alla Repubblica Cispadana; a cui fece seguito la convinta partecipazione degli ebrei alle guerre d’ Indipendenza e alla nascita del Regno d’Italia, nel quale trovarono il tanto atteso riconoscimento dei loro diritti. Con lo stesso spirito, combatterono coraggiosamente nell’esercito italiano durante la Grande Guerra e persino nelle guerre coloniali volute dal fascismo.
Proprio per questo essere e sentirsi pienamente italiani, patrioti nel senso migliore del termine, la persecuzione decretata con le Leggi razziali di cui gli ebrei furono oggetto a partire dal 1937 risulta ancora più odiosa e incomprensibile.

Gli ebrei e gli Estensi

Le prime testimonianze della presenza ebraica a Ferrara si trovano in un documento del 1226-27, in cui un tale Donfullino o Dombellino, ebreo e mercante di olio a Ferrara, risulta vincitore di una causa contro il comune di Ravenna. Abbiamo poi numerose testimonianze di affari bancari e commerciali, acquisti di terreni nel ferrarese da parte di ebrei avvenuti nella seconda metà del XIII secolo, che fanno pensare alla presenza di un gruppo già consistente, contro il quale il tribunale dell’ Inquisizione iniziò presto ad emettere sanzioni di carattere pecuniario. Ma è nel XV secolo che la comunità israelitica iniziò a crescere stabilmente, perché i Signori della Casa d’ Este decisero di concedere agli ebrei non solo l’ esercizio dell’ attività feneratizia, ma anche l’ esercizio del culto ed una certa autonomia legislativa. Fu con Borso d’ Este, prima, e successivamente con Ercole I che la presenza dei banchieri ebrei fu ufficializzata, fino a stabilire con loro dei rapporti di tipo personale, come lascerebbe supporre l’ episodio di Ercole I che nel 1479 perdette in una partita a carte con un ebreo la considerevole somma di 3.000 ducati.

La comunità ferrarese iniziò, a partire dal 1492, ad allargarsi con l’ arrivo di ebrei fuggiti dalla Spagna, ai quali Ercole I offrì agevolazioni ben dettagliate, come quella di esercitare l’arte medica anche nei confronti di pazienti cristiani, il diritto di gestire farmacie, agevolazioni fiscali per chi portasse nello Stato estense i suoi averi e vi si stabilisse con le famiglie. All’ apertura da parte dei Signori estensi fece, però, seguito un inasprirsi dell’opposizione clericale, che ottenne l’ emanazione di un decreto rivolto a tutti gli israeliti del ducato con l’ obbligo di portare il cappello giallo, pena quattro colpi di frusta e 200 ducati di multa. Inoltre, per opera del frate Jacopo Ungarelli, nel 1507 nacque la fondazione del Monte di Pietà, con lo scopo preciso di opporsi all’ attività bancaria degli ebrei.

Nel 1532 Ercole II favorì l’arrivo a Ferrara di ebrei di provenienza boema e centro-europea; dal 1534 al 1538 altri immigrati iberici ebbero il permesso di stabilirsi nella città. Anche agli ebrei cacciati dal regno di Napoli nel 1541 gli Estensi aprirono le porte di Ferrara. E nel febbraio 1550, furono accolti i “conversos” di origine portoghese, espulsi da Venezia perché accusati di aver diffuso la peste.

La parabola degli Estensi iniziò a discendere con il duca Alfonso II che non ebbe la forza di resistere alle pressioni della Chiesa e dell’ Inquisizione, e nel 1581 fece arrestare un gran numero di “conversos” portoghesi, alcuni dei quali finirono sul rogo a Roma. Nel 1597, Ferrara tornò dominio dello Stato Pontificio, mentre il duca lasciava la città, seguito da molti ebrei.

Secondo l’ ultimo censimento, fatto durante la carestia del 1590, in città erano presenti 2.000 ebrei, con 200 “conversos” tra spagnoli e portoghesi. Con l’ arrivo nel gennaio 1598 del cardinale Aldobrandini, nominato vicario del papa, fu loro concesso di restare in città e di continuare le loro attività, ma non di acquistare immobili, gestire dazi e gabelle, riscuotere affitti. Secondo le nuove norme venne stabilito che gli ebrei fossero tollerati nel ducato di Ferrara “a condizione che gli uomini portassero intorno il berretto o cappello un velo giallo o ranciato di conveniente grandezza, e che anche le donne portassero lo stesso segno”. Nel 1624, per sancire anche urbanisticamente la mutata condizione, venne progettato il ghetto, realizzato poi nel 1626-27; a partire dal 1629, infine, con un editto del vescovo si obbligavano gli ebrei ad assistere, tutte le domeniche, alle prediche nella Cappella ducale con il preciso intento di diffondere il culto cattolico.

Da Napoleone al Regno d’Italia

Il 16 Fruttidoro dell’anno 4° della Rivoluzione francese, corrispondente all’8 settembre 1796, il Commissario del direttorio presso l’armata d’ Italia decretava: “Che gli Ebrei in Ferrara ci goderanno li medesimi diritti che gli altri cittadini di questa legazione”. Era evidentemente l’inizio di una nuova fase storica per la comunità israelitica ferrarese, che venne inaugurata formalmente con la visita del Comandante Salicetti e del Generale di Brigata Robert ai quattro Oratori cittadini, illuminati per la festa del capo d’anno ebraico. Il 21 novembre 1796 vennero chiamate alle urne le guardie civiche per nominare i loro superiori, e alla votazione parteciparono anche gli ebrei in quanto regolari cittadini, che riuscirono ad eleggere un capitano (Abramo Bianchini) ed un sergente (Leon Massarani). Il 5 dicembre dello stesso anno si convocarono i comizi per proclamare l’ unione di Ferrara alla Repubblica Cispadana; tra gli ebrei presenti molti erano repubblicani convinti, altri temevano l’ arrivo di nuove e più pesanti tasse. Nel gennaio 1798, gli ebrei, regolarmente iscritti nel registro dei cittadini attivi, parteciparono alla proclamazione della città di Ferrara nella Repubblica Cisalpina. Il 26 gennaio 1802 la Repubblica Cisalpina diventò Repubblica Italiana ; anche a quell’ atto ufficiale erano presenti i rappresentanti della comunità ferrarese.

Diventato imperatore e re d’Italia, il 30 maggio 1806 Napoleone convocò a Parigi un’assemblea di israeliti per rinvigorire i “sentimenti della civil morale”, e questo valeva non solo per gli ebrei francesi ma anche per quelli italiani. Così, all’importante congresso parigino, il dipartimento del Basso Po (Ferrara e il ferrarese) era rappresentato da Buondì Zamorani e da Graziaddio Neppi, entrambi medici e rabbini.

Sconfitto definitivamente ed esiliato Napoleone, la ventata riformatrice non si fermò: il 10 febbraio 1831 venne ordinato l’abbattimento dei portoni del ghetto e vennero estese al Regno Italico le leggi che sancivano la piena uguaglianza degli ebrei, votate a gennaio dalla Camera francese e promulgate dal re Luigi Filippo l’8 febbraio. Purtroppo, dopo solo una settimana, il diritto all’uguaglianza veniva nuovamente negato agli ebrei ferraresi, perché la città fu occupata dagli Austriaci che la restituirono allo Stato pontificio e di conseguenza ad una politica intollerante.

Soltanto nel 1846, con l’elezione al soglio di Pio IX, gli ebrei di Ferrara cominciarono a sperare che fosse giunto il momento di chiedere l’ emancipazione in tutti i territori dello Stato della Chiesa. Qui bisogna ricordare che queste idee trovavano piena ospitalità sulla rivista liberale “La patria”, pubblicata a Firenze e diretta da Lambruschini, Salvagnoli e Ricasoli. Ma fu soltanto nel 1848 che, mentre Carlo Alberto a Torino dava inizio al Risorgimento, a Ferrara gli ebrei iniziarono a vedere una possibilità concreta di cambiamento della loro condizione.

Il 12 aprile partirono per la guerra d’Indipendenza, indossando la divisa dei bersaglieri del Po, quattro ebrei ferraresi; il 20 aprile altri sette giovani israeliti si univano alla legione romana e nove andavano a combattere per difendere Venezia.

Quando poi, il 21 giugno 1859, l’Austria venne sconfitta a Magenta dall’esercito di Vittorio Emanuele II, i soldati austriaci lasciarono la fortezza di Ferrara dove si formò un Governo provvisorio. Il riconoscimento ufficiale del culto ebraico avvenne molto presto, in occasione della cerimonia con cui si riapriva l’ Oratorio di rito tedesco dopo i lavori di restauro, cerimonia alla quale erano presenti i membri della Commissione di Governo con le fasce tricolori. In quell’occasione, il rabbino Ascoli e Leon Vita Levi scrissero appositamente un libello commemorativo in ebraico e in italiano. Quando il 21 settembre venne dato l’ annuncio della definitiva annessione delle Romagne al Regno di Piemonte, con la speranza di costituire poi il Regno d’ Italia, la comunità israelitica prese parte ad una solenne cerimonia tenuta nell’Oratorio Maggiore, iniziata con il discorso del rabbino Ascoli, alla presenza delle autorità militari e civili. Come racconta Abramo Pesaro, autorevole cronista di quegli anni, “Un picchetto della Guardia nazionale con a capo un sottotenente israelita, rese gli onori militari alla Bibbia, quando fu estratta per la benedizione del sovrano”.

Nel 1860 veniva estesa agli ebrei ferraresi la legge Rattazzi, che già riguardava quelli piemontesi; per cui, ottenuta la piena emancipazione, da allora essi entrarono attivamente a far parte della vita politica cittadina, assumendo cariche nella Guardia civica, venendo eletti come Consiglieri comunali e, come avvenne nel caso di Leone Carpi, deputato per Bologna al primo Parlamento nazionale.

A testimoniare la completa integrazione della comunità israelitica nella Ferrara risorgimentale, il 7 febbraio 1860 il Consiglio comunale decise significativamente di mutare i nomi di due strade importanti di quello che era stato in precedenza il ghetto: via Gatta Marcia diventava così via della Vittoria e via dei Sabbioni diventava l’ attuale via Mazzini. Quando gli ebrei vennero chiamati alla leva militare, il rabbino Ascoli li invitò pubblicamente a presentarsi per adempiere al loro dovere patriottico: tra coloro che presero parte alla seconda guerra d’ Indipendenza, Alessandro Magrini, Raffaele Castelfranchi e Graziadio Levi combatterono con Garibaldi e vennero feriti nella battaglia di Capua.

Quando Vittorio Emanuele il 14 marzo 1861 fu proclamato Re d’ Italia, gli ebrei (e non solo i ferraresi) esultarono. Alla morte di Cavour, avvenuta poco dopo, il Consiglio delle comunità israelitiche, anche su indicazione del rabbino Ascoli, concesse di avere esequie nelle Sinagoghe a personalità di religione cattolica degne della riconoscenza degli ebrei.

Dalla Grande Guerra al fascismo

L’Italia entrò in guerra il 24 maggio 1915 contro gli Imperi centrali, e la comunità ferrarese si mobilitò attivamente: molti che non avevano obblighi di leva partirono volontari (tra questi il capitano aviatore Cavalieri Pico Deodato, il lanciere Schonheit Enrico e il tenente di fanteria Vitali Gilberto, poi, caddero in battaglia); ma va anche ricordata tutta l’ attività delle ebree negli ospedali, nella Segreteria del soldato, nell’Ufficio notizie e nel Nido Cavour per i figli dei soldati che fu finanziato interamente con donazioni della borghesia cittadina israelitica.

Nel 1918 il Comando Supremo di guerra decise che a Ferrara si tenesse la riunione nazionale per i militari ebrei che volevano celebrare il Chippur (15 settembre). Così in città giunsero ebrei che prestavano servizio nei differenti corpi militari e provenienti da ogni parte d’ Italia; essi si ritrovarono presso il Tempio Spagnolo, dove i rabbini militari officiarono solennemente il culto.

Dopo la battaglia di Vittorio Veneto e la fine della guerra, l’ 8 dicembre 1918 gli ebrei ferraresi celebrarono la vittoria nel Tempio, dove, l’anno seguente, venne apposta una lapide per commerare i loro caduti, recante la seguente scritta: “Gloria immortale / agli eroici combattenti per la patria redenzione / per la libertà e la fratellanza dei popoli / Israeliti Ferraresi / caduti nella guerra 1915-18 … ” (segue l’ elenco dei 15 nomi).

Negli anni del dopo-guerra, anche gli ebrei entrarono nei nuovi partiti che erano prepotentemente arrivati sulla scena politica: Autunno Ravà divenne uno dei capi del Partito comunista e molti aderirono con entusiasmo al fascismo, tanto che l’ avvocato Renzo Ravenna diventò il primo Podestà di Ferrara e l’ unico Podestà ebreo d’ Italia. In quegli anni, infatti, l’ antisemitismo non era ancora entrato nel vocabolario comune e nella lotta politica.

Fu soltanto nel marzo 1933 che in Germania iniziò a diffondersi, spinto dalle idee hitleriane propagandate dai seguaci nazisti, l’ odio razzistico contro gli ebrei. Ciò nonostante, nel 1935, quando l’ Italia fascista dichiarò guerra all’ Etiopia, gli ebrei di Ferrara risposero con il loro tradizionale sentimento patriottico. Nella Giornata della Fede (18 dicembre 1935) le spose ebree donarono le fedi nuziali per contribuire a risollevare l’ Italia dalla morsa delle sanzioni economiche decretate dalla Società delle Nazioni in seguito all’ invasione dell’ Etiopia. A Ferrara vennero raccolte ben 180 fedi. Quando l’ anno successivo terminò la guerra e venne proclamato l’ Impero, la comunità ferrarese celebrò ufficialmente la vittoria (10 maggio 1936) nel Tempio, dove i giovani fascisti ebrei facevano la guardia col moschetto alla lapide dei caduti inghirlandata per l’ occasione; erano presenti tutte le maggiori autorità civili, militari e delle organizzazioni fasciste.

Il 1937 è l’anno che vide la fine della positiva presenza degli ebrei nella vita politica, civile ed economica del Paese: una volgare campagna antisemita iniziò a prendere forma sugli organi di stampa, fino a quando lo stesso Governo fascista assunse una chiara posizione contro gli ebrei allontanandoli dalle cariche pubbliche. Nonostante gli ipocriti tentativi delle autorità fasciste di precisare che si trattava solo di “discriminazione razziale e non di persecuzioni”, con la legge del 5 settembre vennero chiuse tutte le scuole pubbliche agli studenti di “razza ebraica” e furono espulsi tutti gli insegnanti ebrei. Successivamente venivano licenziati gli impiegati ebrei del ministero degli Interni e si ordinava a tutti gli ebrei stranieri che studiavano all’Università di lasciare l’Italia.

L’antisemitismo, che all’inizio del secolo era sostanzialmente scomparso tra gli italiani, ora riaffiorava con tutta la sua violenza semantica e sociale, per volontà precisa del Governo fascista che contemporaneamente decideva di sancire l’ alleanza Roma-Berlino. Dieci anni prima, il 30 marzo 1927, Benito Mussolini commemorava la morte dell’on. Luigi Luzzatti con queste parole: “Luigi Luzzatti entra nel novero di questi intellettuali, sapienti e saggi, alacri e puri che in ogni tempo onorano la Patria. E’ giusto che la Patria lo rimpianga e lo onori”. E nel 1929 , in un discorso alla Camera riguardante il Concordato col Vaticano, il Duce dichiarava: “Questo carattere sacro di Roma noi lo rispettiamo. Ma è ridicolo pensare, come fu detto, che si dovessero chiudere le Sinagoghe o la Sinagoga…Gli Ebrei sono a Roma dai tempi dei Re; forse fornirono gli abiti dopo il ratto delle sabine. Erano cinquantamila ai tempi di Augusto e chiesero di piangere sulla tomba di Giulio Cesare. Rimarranno indisturbati.”

Fino al 1937, Mussolini aveva detto chiaramente che non provava nessun sentimento di avversione contro gli ebrei; e nel 1935, quando in Germania vennero varate le famigerate leggi di Norimberga, il Governo italiano si dissociò e permise agli studenti ebrei cacciati dalle Università tedesce di iscriversi in quelle italiane. Ma nel febbraio 1938 ci fu un congresso di professori universitari per decretare l’ esistenza di una secolare razza italiana che doveva essere preservata da ogni incrocio; pochi giorni dopo il Governo emanava una informazione diplomatica in cui annunciava il programma di difesa della razza italiana attraverso delle leggi ad hoc e concludeva con la brutale affermazione: “Gli Ebrei non sono di razza Italiana”.

Il 4 gennaio 1939 i fascisti ebrei di Ferrara vennero convocati alla Casa del Fascio dove il vice federale ordinò loro di restituire la tessera del partito. La comunità ebraica iniziò, dunque, ad organizzarsi per cercare in qualche modo di attenuare la durezza delle norme emesse; in seguito all’ espulsione degli alunni ebraici dalle scuole pubbliche, vennero isituiti corsi privati con insegnanti volontari (tra i quali figurava Giorgio Bassani).

Dopo il colpo di Stato del 25 luglio 1943, l’ arresto di Mussolini e la nascita del governo Badoglio, le speranze di libertà degli ebrei furono presto disilluse: le leggi razziali non vennero abrogate e quando, in seguito all’ armistizio dell’ 8 settembre, l’ Italia centrosettentrionale venne occupata dall’ esercito tedesco, la discriminazione razziale diventò vera e propria persecuzione, da cui la comunità ebraica ferrarese fu, al pari delle altre, tragicamente decimata.

Bibliografia essenziale:

Balletti, A., Gli ebrei e gli Estensi, Reggio Emilia 1930

Colorni, V., Judaica Minora, Milano 1983

Magrini, S., Storia degli Ebrei di Ferrara, dalle origini al 1943, Livorno 2015

Pesaro, A., Memorie storiche sulla comunità israelitica ferrarese, Bologna 1986

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