Israele e Medio Oriente

La strategia di Israele nel dopoguerra siriano: excursus e scenario

Le relazioni avvelenate tra Iran e Israele hanno mosso le pedine dello scacchiere mediorientale negli ultimi quarant’anni. Il futuro della regione sarà conteso anche alla luce di questa accesa rivalità che nasce da una serie di elementi storici, politici culturali e sociali, e che negli anni ha reso necessaria la formazione di tre schieramenti a livello regionale: i filoiraniani (tra cui Hezbollah – e la Siria di Assad) e i filosauditi (con le monarchie del Golfo e l’Egitto) e Israele, che sempre meno vuole essere isolata nella lotta contro l’Iran.

Le relazioni tra Iran e Israele, piccolo excursus

Storicamente, le relazioni tra Iran e Israele sono rimaste positive durante tutto il periodo che ha preceduto la Rivoluzione Islamica del 1979. Eppure, anche successivamente, la cosiddetta Dottrina Periferica ideata da Ben Gurion, ovvero l’idea che Israele dovesse controbilanciare la presenza dei vicini stati nemici, stringendo alleanze con le potenze non arabe del Medio Oriente, ebbe la meglio sulla rivalità ideologica che divideva Teheran da Gerusalemme. Nonostante il velato sostegno d’Israele nei confronti dell’Iran durante la guerra contro l’Iraq (esemplificato dal bombardamento del reattore iracheno di Osirak), l’antioccidentalismo iraniano (Westoxification) si rafforzò non permettendo la svolta democratica auspicata da Israele. Negli anni novanta, con l’intensificarsi dell’impegno statunitense nel processo di pace israelo-palestinese, l’Iran si è assunto il ruolo di rivale regionale di Israele, opponendosi al processo di pace e finanziando attivamente alcuni gruppi terroristici impegnati contro Israele: Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah.
La volontà di possedere un’indipendenza politica ed economica ha portato, infine, l’Iran a sviluppare un programma nucleare nazionale che aumentasse il prestigio e garantisse l’avanzamento tecnologico della nazione.
Il regime di non proliferazione, nel frattempo, è stato oggetto di un processo di consolidamento e rafforzamento nel tentativo di prevenire la possibilità che le tecnologie ed i materiali utilizzati per sviluppare un programma nucleare pacifico fossero facilmente impiegabili anche in un programma nucleare militare. Oltre che la concreta possibilità che l’Iran stesse sviluppando capacità nucleari militari, le potenze occidentali temevano che l’Iran si stesse appoggiando al mercato nero e alla rete di A.Q Khan per aggirare i controlli della comunità internazionale e dell’AIEA. Mentre il sistema di salvaguardia delle Nazioni Unite provvedeva ad  ammonire l’Iran per la direzione impressa al programma nucleare, la presidenza del paese veniva conquistata da Ahmadinejad, una figura politica controversa che ha destabilizzato i rapporti dell’Iran con le principali potenze mondiali, prima su tutte gli Stati Uniti.

Tra il 2002 e il 2003 il mondo è diventato consapevole delle capacità acquisite da Teheran per l’arricchimento dell’uranio tramite centrifughe, installate per lo più a Natanz, e del progetto di un reattore ad acqua pesante da costruire ad Arak. Sotto la minaccia di una richiesta di intervento del Consiglio di Sicurezza ONU, l’Iran accettò di collaborare con l’AIEA e di sospendere le attività di arricchimento dell’uranio, ma con l’intensificarsi delle ispezioni, e il prolungarsi di una situazione di impasse diplomatica, il presidente Ahmadinejad mise in discussione l’adesione di Teheran al Protocollo Aggiuntivo del Trattato di Non Proliferazione e allo stesso TNP, per decidere poi, nel 2006, di far riprendere l’attività di separazione isotopica. Nonostante l’Iran avesse sempre negato qualsiasi aspirazione a possedere un’arma nucleare, negli successivi sono stati scoperti ulteriori aspetti allarmanti del programma nucleare iraniano, come ad esempio l’esistenza di un altro impianto di arricchimento dell’uranio a Fordow, e il raggiungimento del livello di arricchimento dell’Uranio pari al 19.8%.
Il dibattito internazionale che è seguito a queste scoperte è stato notevolmente influenzato dall’approccio adottato dalle due amministrazioni statunitensi che hanno affrontato la crisi con Teheran.
George W. Bush, alla Casa Bianca dal 2001 al 2008, ha affrontato la questione proseguendo con la linea politica dei suoi predecessori, vale a dire sostenendo le sanzioni economiche contro l’Iran nella speranza che il regime degli Ayatollah si adeguasse ai limiti stabiliti dall’AIEA. Il suo successore, Barack Obama, aiutato dall’avvicendamento avvenuto alla presidenza iraniana, dove il moderato Hassan Rouhani ha sostituto il conservatore Ahmadinejad, ha invertito la rotta del dibattito, spingendo la comunità internazionale verso una serie di negoziati ed accordi che concedessero all’Iran il riconoscimento a mantenere il livello tecnologico raggiunto nell’ambito dello sviluppo nucleare.
Israele si è inserita nel dibattito in virtù della grande preoccupazione che ha investito l’intera società rispetto alle reali intenzioni del regime iraniano, dal quale ormai avverte una minaccia esistenziale. Oltre alla retorica antisraeliana e antiebraica, tipica non solo dei discorsi di Ahmadinejad, ma anche dell’Ayatollah Ali Khamenei, l’opinione pubblica israeliana è stata condizionata dalla risonanza mediatica che è stata data dalla stampa
locale al rafforzamento delle capacità belliche e del programma missilistico iraniano. Tutto questo, unito alla consapevolezza che l’Iran non stesse sviluppando il programma nucleare in ottemperanza alle regole stabilite nelle sedi internazionali deputate, ha contribuito ad elevare l’importanza del dibattito, trasformandolo nella questione più scottante della politica israeliana.
Con l’elezione di Netanyahu nel 2009 in Israele e la conferma, nello stesso anno, della presidenza di Ahmadinejad in Iran, i rapporti tra i due paesi si sono evoluti in una direzione di instabilità crescente. Lo scontro non è stato diretto, bensì attraverso una per procura che ha coinvolto le milizie terroristiche affiliate all’Iran e mediante una serie di azioni unilaterali di sabotaggio del programma nucleare iraniano condotte dai servizi segreti israeliani. Infine, nel 2012, il dibattito in Israele si è acceso, con la partecipazione dell’intera classe dirigente, inclusi funzionari dell’Intelligence e le alte  gerarchie militari, intorno alla possibilità di attaccare direttamente alcuni impianti di arricchimento e reattori della Repubblica Teocratica. Una delle ragioni essenziali di questa volontà interventista diffusasi a Gerusalemme è stata la politica adottata dal Presidente Obama.

L’impegno del presidente americano a cercare un compromesso con l’Iran ha alimentato la percezione del pericolo per Israele, che negli ultimi anni non solo si è sentito minacciato dalle dichiarazioni dei leader iraniani, ma si è convinto di un rischio effettivo di indebolimento dell’alleanza con gli Stati Uniti.
La percezione di una “minaccia” iraniana ha influenzato (e influenza anche oggi) le scelte elettorali della popolazione israeliana, condizionando gli sviluppi del processo di pace israelo-palestinese e suggestionando in maniera decisiva la politica estera di Gerusalemme.

Il ruolo di Israele negli anni di Daesh

Non è un caso che il ruolo di Gerusalemme sia stato esclusivamente umanitario durante il conflitto che ha contrapposto le coalizioni arabe e occidentali allo Stato Islamico. La rivalità che contrappone Israele all’Iran ha spinto il Governo di Netanyahu a concentrarsi esclusivamente sulle questioni domestiche e a fornire, solo in parte, aiuto alla fazione dei Curdi. I principali rivali di Israele, quelli contro il quale l’IDF si scontra giornalmente sono le milizie di Hamas (sunnita presente nella striscia di Gaza) e Hezbollah (il corpo armato del partito libanese, che dal 1982 si oppone alla presenza ebraica nella zona contesa tra il sud del libano e il nord di Israele), gruppi dipendenti economicamente e militarmente non da un sedicente “Stato Islamico”, ma proprio dall’Iran. In sostanza, oltre alla rivalità religiosa che contrappone sciiti e sunniti, il principale obiettivo dell’ISIS negli anni della sua nascita era la creazione di un Califfato Islamico che non avrebbe mai lasciato spazio ad un indipendente stato palestinese, né ad un Libano sciita con a capo Hezbollah.
In questo senso, Daesh non ha mai rappresentato una vera e propria minaccia per Israele (l’unica milizia affiliata all’ISIS che abbia mai tentato di colpire Israele è il gruppo egiziano di Ansar Bait al-Maqdis, senza però risultare pericolosa in alcun modo), si è invece contrapposto in maniera più lineare gli obiettivi del regime siriano, filoiraniano da decenni, e a quelli meno rilevante dei gruppi armati palestinesi. Questo non significa che Israele non abbia adottato misure di sicurezza indirizzate verso un possibile scontro con le forze dello Stato Islamico, ma semplicemente, anche e soprattutto in virtù dell’impossibilità di combattere a fianco di diverse nazioni impegnate nella lotta contro il Califfato, che l’agenda politica e strategica di Gerusalemme sia stata indirizzata verso questioni più spinose e preoccupanti.

Quando il terrorismo jihadista ha iniziato a mietere vittime nello stesso mondo arabo che le aveva appoggiate nella lotta contro Israele, lo stato ebraico ha visto la rete di alleanze con Egitto e Giordania rafforzarsi, e approfittando di una situazione disastrosa per tutto il Medio Oriente, ha preso una decisione impensabile fino a solo qualche anno fa: creare un primo embrione di relazione con l’Arabia Saudita.
La dicotomia Arabi contro Israele, nata nel 1948 e durata per cinquant’anni, è stata interrotta dall’avvicendarsi di un nuovo tipo di terrorismo, che anziché puntare a distruggere solo l’occidente ha iniziato ad attaccare gli stessi stati che lo avevano appoggiato per decenni. Nell’osservare la formazione dei tre schieramenti sopracitati (saudita, iraniano, Daesh), Israele ha capito che il Califfato Islamico, attaccato da ogni lato anche e soprattutto grazie al supporto occidentale, sarebbe capitolato, e che la vera partita si sarebbe giocata a seguito di questa importante sconfitta. Il futuro dei territori siriani e iracheni che saranno abbandonati dai jihadisti sarà conteso dalle potenze che più si sono messe in gioco nella guerra contro Daesh, questo sta spingendo, negli ultimi mesi, la coalizione saudita e quella iraniana ad accrescere le tensioni l’una contro l’altra, costringendo Israele a far proprio il motto “il nemico del mio nemico, è mio amico”, e ad affacciarsi alla realtà saudita.
La dicotomia tra stati del Medio Oriente stabili e instabili ha caratterizzato e sta ancora caratterizzando la guerra contro Daesh, e senza dubbio verrà ricordata per aver spodestato “il nemico ebraico” nelle menti di molte nazioni arabe. Il futuro della regione vedrà soccombere l’instabilità nata con le primavere arabe e ripristinarsi un nuovo equilibrio fondato su una nuova, decisiva contrapposizione: le forze filoiraniane contro e le forze filosaudite.

Siria: il braccio destro iraniano al confine con Israele

Le proxy iraniane sono considerate da Israele una delle peggiori minacce per lo Stato ebraico. Per tale ragione negli ultimi anni la questione del crescente rafforzamento delle milizie affiliate all’Iran è rimasta al vertice dell’agenda politica e strategica del paese.
Oltre, ovviamente, al caso del nucleare iraniano, le attenzioni di Israele sono rivolte al futuro della guerra civile siriana, in particolare alla possibilità che la presenza iraniana in Siria possa destabilizzare ulteriormente il rapporto tra Gerusalemme e i paesi vicini.
Israele condivide con la Siria un confine di un centinaio di chilometri. La vicinanza di un’area così instabile in un periodo di grandi tensioni interne come gli ultimi anni non ha, però, spinto Israele ad intervenire nel lungo e sanguinoso conflitto della guerra civile siriana. Da sempre contraria al mantenimento del regime di Assad (la Siria è l’ultimo baluardo antisraeliano appartenente alla vecchia coalizione araba contro lo stato ebraico, infatti è l’unico degli stati confinanti con Israele a non aver mai concordato una vera pace dopo la guerra dei Sei Giorni e dopo la guerra del Kippur. Inoltre Assad ha sempre fatto uso di una retorica antisraeliana, oltre ad appoggiare economicamente e politicamente le azioni terroristiche dei gruppi paramilitari palestinesi e di Hezbollah), Gerusalemme ha circoscritto l’area di intervento al mero opinionismo politico, appoggiando formalmente gli Stati Uniti ma mantenendo salde anche le relazioni con la Russia (Non potendo fare altrimenti, considerando che la popolazione israeliana è composta per grandissima percentuale da russi).
Hezbollah e le milizie sciite stanziate in Siria e in Iraq dipendono economicamente e da un punto di vista militare e logistico dall’Iran.
Quest’ultimo, contribuendo alla lotta contro lo Stato Islamico all’interno della coalizione russa a supporto del governo di Bashar al-Assad, ha avviato un pericoloso flusso di armi nella regione, utilizzando le roccaforti di Hezbollah (coinvolto allo stesso modo contro il Daesh) come basi e destinando le forze iraniane di Al Quds all’addestramento delle milizie coinvolte nella contesa – tra Siria ed Israele – che riguarda la zona del Golan.
Israele teme che, con il diminuire delle tensioni tra forze sciite e Daesh, l’attenzione di queste milizie e di
Hezbollah sarà spostata sulla lotta contro Gerusalemme, in particolare per quanto riguarda la conquista del Golan, che si trova sotto il controllo militare e amministrativo israeliana. In sostanza, dopo le difficoltà incontrate da Gerusalemme nel  del 2006 contro Hezbollah, l’ultima cosa lo stato ebraico vuole affrontare è il radicamento di una nuova forza militare – manovrata dall’Iran – che possa costituire un ulteriore fronte oltre a quello libanese.

Tre sono i fattori che contribuiscono a mantenere salda la posizione dello Stato ebraico contro il rafforzamento della coalizione irano-siriana: in primis, le organizzazioni terroristiche che hanno operato contro Israele dagli anni ottanta ad oggi, in particolare Hezbollah, che è giudicata dai più importanti esponenti dell’intelligence e dell’universo militare Israeliano come la minaccia più prossima e concreta, si sono alimentate grazie all’appoggio economico e logistico e di Teheran. In secondo luogo, l’Iran ha acquisito negli anni una capacità tecnologica e militare tale da spaventare anche l’avanzatissimo esercito israeliano, ed è anche l’unica altra nazione mediorientale (oltre ad Israele) ad aver avanzato un primo passo nelle infinite possibilità della deterrenza nucleare. La terza ragione è che i leader iraniani utilizzano una retorica fortemente antisraeliana, negazionista e spesso perfino antisemita, un’attitudine particolare che spinge l’opinione pubblica israeliana a inquadrare lo schieramento iraniano (non importa che questi si stia opponendo al radicalismo di Daesh) come il vero nemico.
Nell’ambito di questa frazione della Guerra per Procura che contrappone l’Iran ad Israele, la Russia sta giocando un ruolo fondamentale, in quanto si tratta del principale alleato dell’Iran, nonché il maggiore sostenitore e finanziatore del programma nucleare e missilistico iraniano.
Israele, in virtù dell’importanza del ruolo ricoperto dalla Russia nel contesto mediorientale e iraniano, sta avviando un processo di rafforzamento delle relazioni con Mosca, tanto che i due premier si sono incontrati numerose volte negli ultimi due anni. In questi meeting, Israele ha specificato una fondamentale condizione per la promozione della stabilità regionale: Gerusalemme non intende accettare la presenza di basi iraniane e di Hezbollah in Siria, in particolare alle porte del Golan.
Mentre Putin e Netanyahu discutono sul futuro della presenza iraniana in Siria, un gruppo paramilitare sciita stanziato in Iraq, Hakarat al Nujaba, controllato direttamente dalle forze di Al Quds (ramo del Corpo della Guardie Rivoluzionarie iraniane), ha annunciato la creazione di una milizia che si occuperà di “liberare” il Golan dalla presenza israeliana. Il gruppo Golan Liberation Brigate, di cui hanno parlato diverse testate iraniane ed arabe, come Al-Masdar News, Fars News e Tasnim News, avrebbe come compito quello di affiancare l’esercito siriano nella conquista del Golan (il Golan è di importanza strategica per Gerusalemme, in particolare essendo una catena montuosa permette un vantaggio strategico contro un eventuale attacco siriano.
Un discorso simile è applicabile alla valle del Giordano, altro elemento territoriale che rende difficile attaccare Israele via terra), controllato da Israele dal 1967.
Il portavoce del gruppo Hakarat al Nujaba, Hashem al-Moussawi, ha presentato la nuova milizia in un incontro tenuto l’8 Marzo a Teheran, descrivendone la preparazione e gli obiettivi. Egli stesso ha diffuso un video di presentazione per “pubblicizzare” la nuova milizia, nel quale si vedono combattenti dal volto coperto e la scritta “Israel will be destroyed”. Oltre a questa – per ora solo potenziale – nuova minaccia, Israele sta affrontando il radicamento di Hezbollah in Siria, dove si teme che la milizia libanese stia assemblando una batteria missilistica nella regione di Qalamoun, tra Siria e Libano.
Il nodo centrale della questione, così come appare dalle dichiarazioni di Moussawi, è che l’attivazione della milizia in questione dipenderà dagli ordini dell’esercito siriano, dunque da Assad, un problema che spinge, senza dubbio, Israele ad opporsi al ristabilimento del regime.
Le tensioni tra Siria ed Israele sono sfociate negli ultimi mesi in una serie di attacchi aerei condotti da Israele. In particolare, le Israeli Air Forces hanno colpito un convoglio che trasportava armi iraniane vicino a Palmira, e il deposito di armi e munizioni situato nell’aeroporto militare di Mezzeh, a Damasco. La Siria ha lanciato, in risposta, missili missili S-200 contro Israele, che si è tutelato intercettando e, di conseguenza, evitando l’attacco attraverso il sistema di difesa anti missilistico Arrow 2.
Questo successo dell’industria aerospaziale israeliana è un innovativo missile antibalistico progettato per supportare l’Iron Dome, il noto apparato di difesa contro razzi e missili a corto raggio e il David Sling, ulteriore novità unitasi all’arsenale israeliano nelle ultime settimane, il quale ha il compito di proteggere i confini israeliani dai missili a medio raggio. Oltre a questi ultimi, nel gennaio 2017 Israele ha reso operativo anche il più potente Arrow-3, che oltre a possedere la capacità di operare contro missili balistici intercontinentali con la capacità di trasportare armi di distruzione di massa, è potenzialmente impiegabile anche nello spazio contro satelliti-spia. In sostanza, Israele potrebbe aver colto l’opportunità di avvantaggiarsi contro il rivale iraniano, che sta sviluppando insieme alla compagnia russa VNIIEM (Joint Company ‘Research and Production Corporation ‘Space Monitoring Systems, Information & Control and Electromechanical Complexes’) un sistema di osservazione satellitare pronto al lancio nel 2018.
Se Israele ha accresciuto la tensione conducendo altri attacchi contro convogli di armi e siti militari in Siria,  appartenenti ad Hezbollah, questi ultimi non sono stati da meno nell’alimentare la risonanza del conflitto. Alcune  stampa libanesi, ad esempio Yasour, confermano che Hassan Nasrallah, attualmente leader di Hezbollah, ha dichiarato l’apertura di un nuovo fronte contro Israele. Secondo quanto riportato, infatti, Hezbollah intende colpire Israele dalla zona di Qalamoun e dalla catena montuosa dell’Anti Libano, strategicamente valida per il lancio (e l’occultamento) dei missili a lungo raggio di cui la milizia sciita dispone.
Secondo fonti israeliane, Hezbollah avrebbe costruito un complesso sistema di Tunnel per il trasferimento del proprio arsenale in Siria attraverso la valle di Al Zabadani. Spostando i depositi di armi e missili, prevalentemente di origine iraniana – Shahab 1, Shahab 2 e Fateh-110 -, dalle zone più centrali del Libano alle catene montuose citate, situate dopo il confine con la Siria, Hezbollah ha reso più complesso per Israele controllare il flusso di armi senza interferire con la questione siriana. Inoltre, la dispersività dell’area e la complessità del territorio scelto dalla milizia libanese limiteranno certamente la capacità Israeliana di lanciare un attacco aereo efficace contro i depositi.
Per quanto ingegnoso, lo spostamento dell’arsenale Irano-Libanese deve fare i conti con l’evoluzione non solo del sistema difensivo Israeliano, ma anche dell’aviazione di Gerusalemme, che ha acquistato la prima flotta di F-35 dagli Stati Uniti, diventando la seconda nazione al mondo a disporre del velivolo di ultima generazione.
Appare chiaro, insomma, dal rafforzamento militare Israeliano, che Gerusalemme intende scongiurare qualsiasi possibilità che le forze iraniane o di Hezbollah possano stabilirsi definitivamente in Siria come parte del processo di pace che seguirà alla conclusione della guerra contro il Daesh.
Gerusalemme non sembra voler riprendere gli scontri con Hezbollah, ma per difendere il Golan si avvarrà certamente di operazioni militari mirate ad abbattere la rete di armi iraniane destinate alla Siria.
Netanyahu tenterà di negoziare la creazione di una nuova zona cuscinetto tra Israele e Siria, non controllata dalle forze israeliane, una soluzione che potrebbe rallentare o scongiurare l’ipotesi dell’avvicinamento di Hezbollah al Golan.
Nell’ambito del coinvolgimento russo e statunitense, infine, nonostante il governo israeliano abbia ufficialmente appoggiato l’attacco americano in Siria, le relazioni tra Israele e Russia non sembrano aver risentito della questione. A testimonianza del rafforzamento delle relazioni tra Putin e Netanyahu, Mosca ha ufficialmente riconosciuto
Gerusalemme Ovest capitale dello stato ebraico, una legittimazione che potrebbe lasciar presagire un nuovo rapporto di fiducia che andrebbe ad influenzare negativamente proprio la posizione privilegiata di Teheran nei confronti della Russia.

Articolo di Rebecca Mieli per Alpha Institute

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