Elementi di propaganda

Su un pezzo di propaganda pro-palestinese del Jerusalem Post

Dopo aver letto l’articolo dell’opinionista del Jerusalem Post, Gershon Baskin, (https://www.jpost.com/opinion/article-754203), apparso il 10 agosto, si resta allibiti.

Si rende necessaria  subito una seconda lettura per capacitarsi di avere letto correttamente questa “analisi” delle cause del terrorismo palestinese.

La cosa più sconcertante, però, è il fatto che una testata di prestigio come il Jerusalem Post dia spazio, senza contradditorio, a un autentico delirio che mette in discussione la stessa serietà della testata che lo ospita. 

La tesi di fondo del pezzo citato è già esplicita dal titolo: “Israele è il responsabile dell’uccisione degli israeliani da parte dei palestinesi”. Tale tesi a ben vedere è molto simile a quella dei sostenitori della tesi che indicava negli stessi ebrei la responsabilità dello sterminio ebraico operato dai nazisti, perché sicuramente “qualcosa avevano fatto” se i nazisti ce l’avevano tanto con loro. Ora, proviamo a vedere “cosa hanno fatto gli israeliani”, secondo Baskin, per meritarsi accoltellamenti, investimenti, sparatorie, bombe e razzi. 

La tesi di Baskin, che non può certo cancellare l’incitamento all’odio e all’omicidio così diffuso nelle scuole, nelle moschee, nei giornali, nelle trasmissioni televisive e radiofoniche palestinesi, è che questo “incitamento è una conseguenza del fatto che i governi di Israele hanno rimosso le legittime rivendicazioni palestinesi dalla sfera pubblica soprattutto nell’Israele del 2023″. Poco oltre afferma che “la rimozione della questione palestinese dal discorso pubblico” si trova “sia nelle colpe dei palestinesi per la loro leadership divisa e corrotta”, qualcosa insomma hanno di imputabile, sia nel avere permesso che Israele propagasse la narrativa dell’esclusiva responsabilità palestinese per il fallimento dei negoziati. 

L’analisi prosegue così: «Chiunque conosca la verità sui negoziati israelo-palestinesi può facilmente attestare fatti che sfatano il mito che i palestinesi abbiano completamente rifiutato la pace con Israele». In pratica per Baskin sarebbe una leggenda che i palestinesi abbiano rifiutato qualsiasi proposta fatta da Israele sia nel 2000 che nel 2006. Anzi, con l’avvento al potere di Abu Mazen, così descritto: “Mahmoud Abbas è salito al potere con un netto rifiuto della lotta armata e della militarizzazione dell’Intifada, e con l’impegno a ricostruire le forze di sicurezza palestinesi che avrebbero combattuto contro il terrorismo, e in particolare contro Hamas”, si poteva raggiungere qualsiasi compromesso. Peccato che non venga offerto alcun esempio di lotta al terrorismo da parte di Abu Mazen, il quale, invece, spende a piene mani milioni di dollari per pagare i salari dei terroristi o per pagare i loro famigliari per aver compiuto crimini antiebraici, così come non viene presentato alcun fatto che sfati il “mito” del rifiuto palestinese. 

Poco oltre si trova un’autentica perla: il disimpegno da Gaza del 2005 voluto da Ariel Sharon sarebbe stato un dispetto verso il moderato Abu Mazen per favorire Hamas. Così come l’elezione a premier di Netanyahu nel 2008 sarebbe servita per “congelare” il processo di pace e la creazione di uno Stato palestinese a fianco di Israele.

Del fatto che lo stesso Abu Mazen abbia rifiutato la generosa proposta della creazione di uno Stato palestinese fatta da Olmert nel 2006 non vi è nessuna traccia nella fiction di Baskin.

Ma Baskin non demorde. La sua analisi giunge fino a un’altra data cruciale: il 2015. In quell’anno, infatti, alla vigilia delle elezioni israeliane (anche perché nei territori amministrati dai palestinesi non si sono più tenute dal 2006) Abu Mazen e Isaac Herzog (oggi presidente di Israele allora a capo del partito laburista e avversario di Netanyahu) avevano trovato un accordo segreto che avrebbe portato alla pace e alla creazione di uno Stato palestinese, ma l’entourage di Herzog non volle renderlo pubblico prima delle elezioni per non danneggiare politicamente lo stesso Herzog il quale sarebbe stato percepito dall’opinione pubblica come troppo accomodante nei confronti della leadership palestinese.

Secondo Baskin, che faceva parte dei negoziatori di questo accordo segreto, il renderlo pubblico avrebbe invece portato ad una sicura vittoria del partito laburista. Ma così non fu e il partito laburista perse le elezioni e i palestinesi delusi furono costretti ad una nuova ondata di attentati. Il volo pindarico di questa fantasiosa ricostruzione dei “fatti” ci porta all’attualità. Qui le critiche sono rivolte ai propugnatori delle manifestazioni contro la riforma della giustizia: il vero problema di Israele è mettere fine al controllo israeliano su milioni di palestinesi se vuole essere una vera democrazia il resto è marginale. Non poteva mancare un giudizio sull’attuale governo di Israele che “sta facendo marciare Israele verso una nuova forma de jure di apartheid: uno Stato con due diversi regimi di governo ineguali”.

Baskin, però, non dice in che cosa si differenzia l’attuale politica governativa, verso i palestinesi, rispetto a tutti i governi che l’hanno preceduto negli ultimi trent’anni, e perché questa porterebbe ad una “forma de jure di apartheid” mentre gli altri governi non l’hanno finora prodotta.   

In conclusione per Baskin, l’uccisione di civili israeliani è l’ovvia risposta dei palestinesi perché «continuano a vivere l’insopportabile realtà dell’occupazione, del dominio israeliano, del controllo della loro economia e di vivere senza speranza».

Stranamente però l’analista omette di dire che gli attentati terroristici palestinesi nei confronti dei civili israeliani erano assai frequenti anche prima del 1967 e “dell’insopportabile realtà dell’occupazione” israeliana. Ma forse quegli attentati erano la risposta “all’insopportabile occupazione giordana” che portava i palestinesi “senza speranza” a uccidere i civili israeliani e non quelli giordani perché probabilmente, come si diceva all’inizio, “gli ebrei qualcosa avevano fatto”. 

Il vero pericolo causato da questo tipo di “analisi” è che venga strumentalizzata – come molte volte in passato – per accusare Israele di ignobili crimini che mai ha commesso e, contestualmente, di deresponsabilizzare completamente i palestinesi insistendo su una narrativa che perpetua all’infinito il loro vittimismo.

E’ triste constatare che un quotidiano che poteva essere considerato serio ed equilibrato in molte sue analisi, dia spazio ad articoli inverosimili come questo, totalmente privi di riscontri fattuali e di accuratezza storica e che sembrano usciti direttamente dall’ufficio propaganda dell’Autorità Palestinese. 

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