Editoriali

Tira una brutta aria

L’annunciata prossima visita in Israele di Joe Biden, dopo che inizialmente Washington aveva dichiarato che non era in agenda, è un segnale, che insieme ad altri, induce a pensare che quello che potrebbe essere l’esito del conflitto aperto da Hamas contro Israele dopo l’eccidio, sabato 7 ottobre di 1400 cittadini israeliani, vada nella direzione di una possibile sconfitta dello Stato ebraico.

Hamas, e va detto senza indugi, ha conseguito un successo militare rilevante. Ai propri occhi, e agli occhi dei nemici giurati di Israele, in primis l’Iran, l’eccidio perpetrato in Israele nel corso di poche ore ha consegnato al mondo l’immagine di uno Stato impreparato e debole, incrinando quell’immagine di potenza e capacità di deterrenza che sono da sempre suoi costitutivi.

A seguito di quanto è accaduto, Israele ha iniziato a rispondere come d’abitudine e con una forza maggiore del solito, bombardando le postazioni militari di Hamas a Gaza, prassi in corso dal 2008. La novità è l’annuncio di una invasione di terra finalizzata a eliminare definitivamente Hamas dalla Striscia, corredata da dichiarazioni perentorie e bellicose.

Tuttavia il tempo passa, e nonostante l’annuncio e il richiamo di 300,000 riservisti, e l’assedio di Gaza, per il momento, ad eccezione di un raid all’interno della Striscia, avvenuto pochi giorni fa, l’annunciata operazione militare di terra non ha ancora avuto luogo.

La più ovvia delle considerazioni sotto il profilo militare è che essa vada preparata con estrema cura, soprattutto in vista di un terreno estremamente insidioso e sul quale, inevitabilmente, il nemico gode dell’ovvio vantaggio di conoscerlo alla perfezione. Ad essa si affianca la necessità di consentire al più alto numero possibile di civili di spostarsi da nord a sud. Inizialmente Israele aveva dato un preavviso di 24 ore, poi prolungato e che, ancora adesso, si sta ulteriormente prolungando.

Nel mentre, intorno al conflitto in corso si sta agitando la diplomazia, con all’avanguardia quella americana, e proprio in merito ad essa inizia a prendere corpo uno scenario che, se si configurasse con chiarezza metterebbe Israele nella condizione di non vincere la guerra ma di uscirne da perdente, indebolendo ancora ulteriormente la propria immagine in Medio Oriente, con conseguenze devastanti.

Ufficialmente l’amministrazione Biden appoggia Israele nella sua volontà di distruggere Hamas, ma già ieri, Biden ha espresso la sua contrarietà a che Israele possa occupare ancora Gaza. Di fatto, apparentemente semaforo verde per l’invasione, rosso per l’occupazione. La contraddizione mette in luce, in filigrana la realtà. Gli Stati Uniti, nonostante la solidarietà espressa per le vittime di Hamas, sono contrari all’invasione terrestre e preferirebbero un’altra soluzione, quale? Presto detto, che Israele possa giungere a un negoziato con Hamas, e che tipo di negoziato potrebbe essere con i carnefici che hanno perpetrato il maggior numero di morti di ebrei dalla fine della Shoah? Semplice, ottenere il rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza ricevendo in cambio non il corrispettivo rilascio di migliaia di terroristi palestinesi, ma di non invadere la Striscia.

In questo modo, Israele, sempre altamente sensibile al valore della vita dei suoi concittadini otterrebbe il ritorno a casa dei rapiti, e Hamas, depotenziato al momento, continuerebbe a dominare la Striscia indisturbato.

Ieri, per la prima volta, Hamas ha mandato in onda sul suo canale il video di uno degli ostaggi, una giovane donna israeliana che viene mostrata mentre è assistita e che ha dichiarato di avere ricevuto cure mediche. Dopo l’assassinio sadico, la cura per gli ostaggi…

Sarà questo l’esito?

Una cosa è certa, la leadership di Israele è debole. Il gabinetto di guerra non ha, al suo interno, né Golda Meir, né Menachem Begin, né Ariel Sharon, ma un primo ministro che, relativamente a Hamas, da quindici anni a questa parte, ha impostato una linea di azione basata interamente sul suo contenimento, linea interamente condivisa dall’apparato militare e da quello della sicurezza, di cui ha fatto parte per anni Benny Gantz. A che cosa abbia portato, Israele lo ha sperimentato sulla propria pelle.

Mai, come in questi ultimi anni, Israele sta subendo le ingerenze americane, sostanzialmente mettendosi in una posizione di supino vassallaggio.

Un’altra cosa è certa. Se l’esito di questo conflitto sarà quello prospettato, ci si preparerà in fretta a un’altra guerra, molto più impegnativa e devastante, quella con Hezbollah. In Medio Oriete, diversamente che in Europa e negli Stati Uniti, ogni prova di debolezza è un inebriante viatico per convincersi che è giunto il momento di usare la forza in tutta la sua massima potenza.

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