Editoriali

Uso politico della giustizia

Quando il fondo sembra essersi toccato, ecco che si apre una botola e si continua la caduta. Dopo la messa in accusa di Israele difronte alla Corte di Giustizia dell’Aia con la grottesca imputazione di genocidio, ora arriva il mandato di cattura internazionale sempre dall’Aia, ma questa volta dal Tribunale Penale, per “crimini di guerra” nei confronti di Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa, Yoav Gallant. Insieme a loro, sullo stesso piano, il procuratore Karim Khan (nella foto con Abu Mazen), ha associato i capi di Hamas, Yahya Sinwar, Kaled Mashal, Ismael Hanijah, ovvero i boss di una efferata organizzazione criminale.

La parificazione dice già molto, annulla di colpo le differenze esorbitanti, accorpa ciò che non è accorpabile, come se fosse possibile mettere sullo stesso piano con la medesima accusa in merito alla Seconda guerra mondiale, Hitler, Roosevelt, Churchill.

Va detto subito che l’incartamento sul quale si sostanzierebbero le accuse è stato aperto antecedentemente la guerra in corso, ovvero alla fine del 2019 su sollecitazione dell’inesistente Stato di Palestina e relativamente al conflitto a Gaza del 2014. A questo incartamento si è ovviamente aggiunto quanto sta accadendo oggi sempre a Gaza http://www.linformale.eu/lanno-prossimo-in-palestina/.

Non può essere naturalmente un caso se questa decisione già per altro annunciata, arriva proprio adesso con magnifico tempismo, in un momento tremendamente critico per Israele, e a seguito delle costanti prese di distanza, delle reprimende e degli atti di ostilità da parte dell’Amministrazione Biden. Un tempismo delizioso e forse un po’ stucchevole, a poche ore dalla visita in Israele da parte di Jake Sullivan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale.

Se il procuratore Khan si è deciso adesso ad agire, tenendo ben sigillati in un cassetto gli incartamenti che potrebbero incriminare anche gli Stati Uniti per accuse analoghe, ma che, sulla base del American Service Members Protection Act del 2002, porterebbero all’occupazione militare del tribunale da parte americana, lo ha fatto sentendosi incoraggiato dalla modalità con cui la Casa Bianca ha continuato a criticare Israele per la sua conduzione della guerra.

Sulla natura politica delle accuse, non esistono dubbi. Nel giugno del 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo dichiarò la Corte Penale Internazionale un “tribunale illegale” privo di alcuna giurisdizione nei confronti degli Stati Uniti e annunciò sanzioni economiche nei confronti dei membri della corte impegnati a investigare funzionari o soldati americani.

Di fatto, come gli Stati Uniti, neppure Israele riconosce la sua giurisdizione, ma il problema ovviamente resta, perché sulla base dei mandati d’arresto che potrebbero essere spiccati, sia Netanyahu che Gallant rischierebbero l’arresto al di fuori di Israele e degli Stati Uniti, ovvero in tutti quei paesi, la totalità di quelli europei, che avendo aderito allo Statuto di Roma del 1998 su cui si fonda la legittimità del Tribunale Penale dell’Aia, non possono evitare di ottemperare alle sue disposizioni.

Siamo al cospetto di un altro atto dell’offensiva politico-mediatica contro Israele, il cui scopo principale è non solo la sua criminalizzazione ma quello di impedirgli di porre termine alla guerra a Gaza permettendo a Hamas di farla franca.

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