Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Odiare Israele, odiare se stessi

Nel 2006 Alvin. H. Rosenfeld, direttore del Centro per lo studio dell’antisemitismo contemporaneo e professore di inglese e studi ebraici all’Università dell’Indiana, pubblica un saggio che susciterà un ampio dibattito ed è sempre di grande attualità.
Il titolo del saggio è “Progressive” Jewish thought and the new antisemitism.
In una intervista, Rosenfiled motiva cosi la ragione che lo portò a scrivere il saggio in questione.
“Negli ultimi anni ho concentrato la mia ricerca sull’antisemitismo odierno…Durante la mia ricerca ho cominciato a notare che alcune delle persone che davano voce all’ostilità più dura erano essi stessi ebrei, specialmente ebrei della sinistra radicale. Ho voluto documentare e cercare di spiegare le loro parole, le quali spesso mi hanno colpito per il loro estremismo”.
Il bersaglio delle critiche ebraiche esaminate nel saggio e provenienti dal campo “progressista” erano (e sono tuttora) rivolte a Israele. Israele, nella mente dei sedicenti ebrei “illuminati” sarebbe uno stato con connotazioni fasciste e razziste che, per alcuni di essi, i più onesti nel dare voce al proprio odio, non avrebbe diritto di esistere.

L’ebreo critico di Israele fino al punto di fascistizzarlo o nazificarlo, è quell’ebreo che in virtù della proprio esserlo usa l’appartenenza etnica come alibi per giustificare la trità equazione che l’antisionismo non sarebbe uguale all’antisemitismo, come se, il semplice fatto di essere ebrei renda immuni dall’antisemitismo.

Fu Theodor Lessing, nel 1930 con la pubblicazione di “Der Jüdische Selbsthass” a mostrare efficacemente come si possa essere ebrei ed antisemiti. Nel suo libro sono esaminati I casi di Otto Weininger e Arthur Trebitsch il paranoico teorico razziale ebreo che sotto l’influsso dello stesso Weininger e di Houston Stuart Chamberlain, arrivò a ripudiare del tutto la propria appartenenza ebraica asserendo uno dei paradigmi invincibili dell’antisemitismo universale, la cospirazione ai danni dei gentili.

Sì può essere ebrei e si può essere antisemiti. Consapevoli e lucidi come Trebitsch o inconsapevoli come altri, il che non significa che l’antisionismo sia necessariamente determinato dall’antisemitismo, ma che trincerarsi dietro il l’ebraismo d’appartenenza come se esso certificasse la garanzia che il proprio antisionismo è esente da antisemitismo è un argomento assai claudicante.

Criticare Israele è legittimo come criticare qualsiasi altro paese. Non dovrebbe essere neanche il caso di dire o scrivere una simile banalità (anche se, quando è coinvolto Israele niente è mai realmente banale). Il punto è, evidentemente un altro, è il contenuto delle critiche e il livello della loro buonafede e pertinenza che rivela qual’è il fondamento che le sostanzia.

Il saggio di Rosenfeld, suscitò un lungo confronto fatto di botte e risposte, in cui, come è loro abituale strategia, alcuni degli intellettuali ebrei citati nel saggio quali esempi di un radicalismo critico nei confronti di Israele ai confini con un antisionismo di matrice islamica, si atteggiarono a martiri.

E’ tipico dell’ebreo antisemita o così confuso con l’antisemita di professione da sposarne le stesse tesi, di atteggiarsi a vittima quando viene smascherato.

Rosenfeld, in un’intervista data a seguito delle razioni al suo saggio mise lucidamente in chiaro la tecnica degli ebrei “progressive” nel cui cuore nobile batte l’essenza dell’ebraismo più evoluto, quello che vorrebbe consegnare Israele agli arabi.

“Al suo centro c’è quello che lo studioso inglese Bernard Harrison chiama un ‘truffa dialettica’. Funziona in questo modo: (1) Identifica un’azione israeliana che possa servire come base per ‘criticare Israele’ (per esempio, l’Incursione militare nell’area di Jenin nell’aprile del 2002 in risposta ai massacri terroristici palestinesi) (2) poi ‘dissenti’ nel più forte termine possibile, per esempio paragonando ‘la distruzione di Jenin’ con quella del ghetto di Varsavia, anticipando che ‘potenti’ e ‘repressive’ istituzioni ebraiche cercheranno di ‘silenziare’ i critici chiamandoli antisemiti. (3) Quando, confrontati da un critico di mente più sobria il quale, contrariamente all’accusa, ha scoperto che non esiste nulla come ‘la distruzione di Jenin’ e che l’IDF non ha nulla in comune con le SS, urlare ‘disgustoso’ e dichiarare che volerli censurare illustra perfettamente il fatto che esiste realmente una cospirazione ebraica che vuole silenziare la ‘critica a Israele’ tacciando gli autori di tale critica come ‘antisemiti’.

L’ebreo progressive è ontologicamente vittima. Solo vittima e martire di una causa superiore, quella della giustizia che gli ebrei sionisti e fascisti hanno schiacciato sotto i loro piedi.

L’ebreo progressive che, nei casi più estremi citati da Rosenfeld arriva a dichiarare che sarebbe stato meglio se Israele non fosse mai nato essendo sorto su un ladrocinio (uno dei maggiori falsi storici del Novecento) è di fatto, nel momento in cui si sente martire e vittima per le critiche a lui rivolte, già psicologicamente antisemita.

L’ebreo come vittima è infatti ciò che gli antisemiti dichiarati vorrebbero che ogni ebreo, in ogni tempo e luogo, fosse sempre.

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