Editoriali

Amos Oz: A proposito di una débâcle intellettuale

“L’occupazione quest’anno compie già 49 anni. Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele, un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese, ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle ambasciate israeliane del mondo. Non è stata una decisione facile bensì molto dolorosa. Ma l’attuale oppressione e le espropriazioni nei territori occupati, gli incitamenti contro gli oppositori delle politiche del governo, e la tensione legislativa per ridurre la libertà di espressione e minare il potere giudiziario — mi hanno spinto nel loro insieme verso questa decisione. Da anni faccio parte del B’Tselem’s Public Council. Rinuncerei volentieri a questo onore se l’occupazione fosse un ricordo del passato. Ma finché non sarà tale — come sarà — sono fiero del lavoro coraggioso svolto da B’Tselem: dai ricercatori sul campo a Gaza e nella Sponda occidentale allo staff della sede di Gerusalemme e ai suoi volontari. B’Tselem non solo documenta in modo attendibile e meticoloso le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, ma offre anche uno specchio alla politica di Israele, rivelando la sua dubbia maschera di legalità con cui da 50 anni Israele prevale sui palestinesi, opprimendoli e confiscando la loro terra. Il 2014 è stato uno degli anni più insanguinati per Israele e la Palestina dal 1967 a questa parte. Purtroppo anche il 2015 è stato segnato da numerose settimane di violenza. Io contesto ogni forma di violenza contro persone innocenti. Ma rifiuto anche il tentativo di far passare i recenti eventi esclusivamente come istigazioni o manifestazioni “anti-semitiche”, sottovalutando il regime di occupazione con le sue annose violenze quotidiane contro milioni di palestinesi privati dei loro diritti. Queste sono alcune delle ragioni per cui scelgo di far parte del B’Tselem’s Public Council e di sostenere questa organizzazione. Ed è anche il motivo per cui vi scrivo, per chiedervi di unirvi a me nel rendere più forte B’Tselem dimostrando chiaramente il vostro sostegno a favore dei diritti umani e contro l’occupazione. Solo la sua fine può portare a un futuro gravido di giustizia, libertà e dignità per chi vive qui. B’Tselem — la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, che vede l’occupazione per quello che è, la documenta, ne spiega le implicazioni e vi si oppone fermamente”.

Amos Oz

La lettera di Amos Oz  pubblicata l’anno scorso sulla stampa israeliana è una sorta di palinsesto  generale dei memi ideologici della sinistra, e soprattutto di quella intellò di cui egli rappresenta in Israele, una delle punte. Certifica una totale débâcle intellettuale, una resa incondizionata al nemico inguantata di buoni sentimenti. Incolparsi e chiedere alle presunte vittime del Terzo Mondo il nostro perdono è uno degli esercizi preferiti dell’elite culturale occidentale.

Colonizzati mentalmente dal piagnisteo organizzato ad arte dagli arabi per farsi compatire, gli israeliani come Oz, pensano di potere ottenere in cambio riconoscenza e amore, mentre ottengono solo il disprezzo riservato agli utili idioti, vasta categoria a cui appartengono.

E’ noto che Oz vorrebbe che Israele arretrasse sulle linee pre 67, quelle per intenderci che non potrebbero più garantire allo Stato ebraico la sua attuale sicurezza. Ma questo a Oz, interessa poco. A lui preme restituire ai palestinesi i territori a loro “espropriati”. Badate bene al termine, “espropriazione”. La lingua dei paladini della giustizia si deve fondare su termini forti che suscitino nel lettore o nell’ascoltatore la sua stessa indignazione. Pensare che l’autore di “Una storia di amore e tenebra” sia sceso a un livello di demagogia così basso mette i brividi. Ma non è l’unico scrittore che pur riuscendo a costruire dei romanzi di grande efficacia narrativa, abbassa poi il proprio pensiero agli stilemi retorici più vieti. E’ in buona compagnia.

Ma veniamo al dunque. Perché qualcosa venga espropriato è necessario che si dia la sua condizione preliminare di proprietà da parte del possessore di diritto. Il problema grande è che i cosiddetti territori “espropriati” non sono mai stati dei palestinesi, e questo Oz finge di non saperlo. Perché non può ignorare che dal 48 al 67 la Giudea e la Samaria erano sotto il controllo della Giordania che se li era annessi. Mentre Gaza, “liberata” dai feroci occupanti israeliani nel 2005 per consegnarla ai terroristi di Hamas che se ne impadronirono successivamente, era sotto il dominio dell’Egitto.

Di chi sono i territori? Non certo di un’inesistente stato palestinese che non esisteva né prima del 48 né esiste ora. Appartengono dunque alla Giordania che se li era annessi illegalmente? No. Appartengono a Israele? No. Infatti sono territori contesti. Oz sa poco di diritto internazionale e molto di fiction. Se avesse letto, tra gli altri, Eugene W. Rostow, saprebbe che il diritto originario degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria risale alle disposizioni emanate all’epoca del Mandato Britannico, secondo le quali gli ebrei avevano gli stessi diritti di insediarsi in Giudea e Samaria di quanti ne avessero di insediarsi a Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme. Il Mandato Britannico affermava “Il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e le basi per ricostruire il loro domicilio nazionale in quel paese”.

“Molti credono”, ha scritto Eugene W. Rostow, uno dei maggiori giuristi americani e tra gli architetti della Risoluzione 242, “che il mandato palestinese abbia avuto termine nel 1947 quando il governo britannico si dimise da potentato mandatario. E’ errato. Un accordo non cessa quando il fiduciario muore, si dimette, sottrae la proprietà affidata o è licenziato. L’autorità responsabile dell’accordo nomina un nuovo fiduciario o in alternativa dispone per l’adempimento dell’accordo…In Palestina il mandato britannico ha cessato di essere operativo relativamente ai territori di Israele e della Giordania quando questi due stati vennero creati e riconosciuti dalla comunità internazionale. Ma le sue normative sono ancora effettive relativamente alla West Bank e alla Striscia di Gaza (n.b. il testo è del 1990), le quali non sono ancora state allocate a Israele, la Giordania o a uno stato indipendente”.

Dunque secondo Rostow gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria godono della legittimità conferita loro all’epoca del mandato britannico fino a quando non vi sarà una risoluzione negoziale che determinerà lo statuto legale definitivo dei territori in oggetto. Cosa che di fatto non è ancora avvenuta.

L’espropriazione esiste solo nella trama del romanzo che Oz ha fabbricato nella propria mente.

Veniamo all'”oppressione”. Ma è quella stessa oppressione che ha fatto sì che a Ramallah a metà del duemila ci sia stata una incontrollabile speculazione edilizia e un proliferare di caffé, hotel e locali in stile occidentale? E quella stessa Ramallah dove la vita notturna equivale a quella di Tel Aviv? Certo Ramallah non è rappresentativa di tutti i territori “oppressi”, ma ne fa parte. Ma Oz sicuramente si riferisce ad altro. Probabilmente ai checkpoint e ai controlli assai meticolosi che vi sono applicati, misure probabilmente da allentare in modo da permettere a qualche terrorista di farsi esplodere a Tel Aviv o Gerusalemme. Oppure al tasso di disoccupazione che sarebbe una conseguenza del Muro? Mentre prima, notoriamente, il livello di occupazione era come quello della Svizzera.

Tutto ciò non serve. I palestinesi sono le vittime, i nuovi espropriati, come gli indiani americani, e le loro terre “confiscate”. L’elogio a B’Tselem e alla sua “attendibilità” è un altro tassello che merita una nota.

B’Tselem, insieme alla altra associazione non governativa Breaking the Silence, ha come obbiettivo primario quello di concentrarsi sulle presunte o reali malefatte commesse dai soldati israeliani. Perché per B’Tselem e il loro sostenitore Amos Oz, ciò che conta sono esclusivamente i diritti degli “oppressi”, i palestinesi. E siccome, per esserci degli oppressi è necessario che ci siano degli oppressori, diventa prioritario, una volta che questi ultimi sono stati identificati, additarli al pubblico ludibrio.

Dietro il paravento di un’associazione che fregiandosi di un nome che viene dal libro della Genesi e significa che ogni uomo è fatto a immagine di Dio, c’è lo scopo principale di mettere in cattiva luce l’esercito che difende lo stesso paese nel quale le è dato di operare. D’altronde, nell’ufficio della associazione fa bella mostra un attestato di benemerenza rilasciato da Jimmy Carter, per il quale Israele è, notoriamente, sinonimo di apartheid.

Leggere la lettera di Amos Oz, quello stesso autore che anni fa inviò a Marawn Barghouti, pluriassassino in carcere per gli omicidi commessi, una copia di “Una storia di amore e di tenebra” con affettuosa dedica, non desta meraviglia. Dopo la reazione di protesta che suscitò il suo atto lo difese affermando che leggendo il suo libro il terrorista avrebbe compreso le ragioni di Israele e che in un futuro si sarebbe potuto intavolare un dialogo con lui.

La tragedia degli Oz è questa. Credono di essere dalla parte della giustizia e del diritto tendendo il braccio agli assassini e immaginando che essi posseggano le nostre stesse categorie morali. La tragedia degli Oz è quella di non capire che i valori di Israele, quelli stessi in cui lui è cresciuto e ha potuto sviluppare il proprio talento, sono incompatibili con quelli di chi di Israele vorrebbe vedere la scomparsa. La tragedia degli Oz è quella di avere capovolto la realtà e trasformato coloro che se avessero potuto e se potessero applicherebbero la loro soluzione finale a tutti gli israeliani, lui compreso, in vittime di un immaginario governo fascista.

Su una cosa solo hanno ragione gli Oz. I palestinesi sono vittime. Lo sono, indubbiamente, ma di se stessi, della loro cultura tribale e familistica, di una religiosità trasformata in culto per la morte, della corruzione, dell’odio e della vendetta. Vittime dei “fratelli arabi”, del loro dispotismo, di una arretratezza culturale spaventosa. Vittime di una Storia che invece di guardare al futuro, come ha sempre fatto Israele ha sempre e solo guardato a un passato mitico sedendosi su di esso e sognando un riscatto che da soli non sono capaci di darsi. Per questo hanno bisogno di manovalanza, di fiancheggiatori.

Non sono mai mancati.

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