Israele e Medio Oriente

Annettere parti dell’Area C della Cisgiordania: Un interesse nazionale israeliano

I Comandanti del movimento Sicurezza per Israele si sono rivolti al primo ministro Netanyahu lanciando un monito tanto strombazzato e basato su una nuova falsa affermazione: che l’annessione di parti della Cisgiordania metterebbe in pericolo gli abitanti di Israele.

Solo poche settimane fa, nel bel mezzo della campagna elettorale, questo gruppo ha inondato il paese di cartelloni e manifesti pubblicitari apparsi sugli autobus, costati milioni di shekel, che dicevano agli elettori che le consultazioni elettorali avrebbero segnato la differenza tra separazione e annessione. Nessuno ha nutrito alcun dubbio su quale parte stessero cercando di aiutare.

La stragrande maggioranza della popolazione israeliana ha scelto di ignorare le raccomandazioni degli ex bit’honistim (esperti di sicurezza). Né i tre ex capi di Stato maggiore al timone del Partito Blu e Bianco, che godevano dell’aperto sostegno di altri tre capi di Stato maggiore in pensione, sono riusciti ad avere dalla loro parte l’opinione pubblica e ad ottenere la maggioranza necessaria per attuare le raccomandazioni degli ex alti funzionari della difesa, favorevoli ad ulteriori ritiri.

Questa diatriba ha due aspetti. Il primo ha a che fare con la visione globale di Israele e con la sicurezza nazionale israeliana.

Secondo la definizione data dall’Idf, “la sicurezza nazionale è l’ambito preposto a garantire la capacità nazionale di contrastare qualsiasi minaccia all’esistenza nazionale e agli interessi nazionali”. Questo è di certo accurato finché funziona.

Ma gli interessi nazionali di Israele in Cisgiordania vanno ben oltre le esigenze di sicurezza. Lo stesso dicasi per i palestinesi, come spiegato da Mahmoud Abbas nel suo rifiuto del piano del presidente Trump: “Il problema palestinese non può essere trasformato soltanto in un problema economico-umanitario”. Israele, da parte sua, non deve trasformare il sogno sionista in un mero desiderio di un rifugio sicuro per gli ebrei perseguitati. La sicurezza – come sottolineò David Ben-Gurion – è solo un mezzo, e non l’obiettivo. C’è una differenza sostanziale tra un desiderio di sicurezza e un desiderio d’indipendenza, e in questo risiede il fulcro della diatriba.

Il secondo aspetto riguarda la questione della sicurezza. Nel corso degli anni, la visione strategica degli ex bit’honistim è stata ripetutamente ridimensionata di fronte alla realtà.

Molti di coloro che hanno firmato la lettera inviata dai Comandanti al premier israeliano hanno anche sottoscritto la dichiarazione di sostegno del Movimento per la Pace e la Sicurezza  per il disimpegno unilaterale da Gaza del 2005, assicurando che avrebbe migliorato la sicurezza di Israele. È superfluo dire che si sbagliavano.

In un recente studio del BESA, ho analizzato in cosa i Comandanti sbagliano, ossia nel fraintendere, da un lato, la potenziale minaccia per Israele derivante dai profondi cambiamenti nella natura della guerra; e, dall’altro lato, il notevole rafforzamento delle capacità di potenza e operatività delle organizzazioni terroristiche palestinesi dopo l’avvio del “processo di pace di Oslo”. Basti pensare all’ultimo round di combattimenti a Gaza per comprendere quale sarebbe la minaccia per le città costiere, se Israele rinunciasse al controllo delle zone montuose che dominano il cuore economico-sociale-industriale del paese. L’autostrada 6 diventerebbe la strada di confine, e i missili anticarro e antiaerei minaccerebbero il traffico sulle principale arterie di trasporto così come il traffico aereo in Israele.

L’esito delle recenti elezioni indica che la stragrande maggioranza degli israeliani ha imparato che, nonostante il loro grande rispetto per chi dedica giorni e notti a difendere il paese, è bene diffidare delle loro idee e raccomandazioni strampalate.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’originale in lingua inglese

 

 

 

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