Israele e Medio Oriente

Chantal di Gaza e le veline di Hamas

Oggi, intervistata da La Repubblica, che dopo il libello del sangue contro l’IDF a firma Daniele Raineri, ex fogliante, prosegue con il dare voce soprattutto ai detrattori di Israele, fa bella mostra Chantal Meloni. La Meloni, apparsa anche in tv, è tra le più solerti e accanite passionarie filopalestinesi sulla piazza italiana, forse in grado di contendere il primato a Francesca Albanese. Non a caso si è recata all’Aia per solidarietà con il team sudafricano che accusa Israele di genocidio. Ripubblichiamo un articolo su di lei scritto nell’aprile del 2018 da Niram Ferretti.

[n.d.r.]

Qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare. Il Fatto Quotidiano non si fa mancare nulla quando si tratta di delegittimare Israele. Oltre ad articoli specifici si avvale anche del rinforzo (così per dire), di una volonterosa manovalanza che si offre di sua sponte alla gioiosa macchina del fango antisionista che il giornale mette regolarmente in campo. Dopo il blog di Gianluca Ferrara, diventato senatore per i 5Stelle (e con chi altro?), ora è il turno di Chantal Meloni, avvocato e professore associato alla Statale di Milano dove insegna Diritto penale internazionale. Non bisogna farsi ingannare da due cose, la prima sono le associazioni morbide e zuccherose del nome e del cognome (la Meloni, come un’altra più nota di lei picchia con il martello sull’incudine), l’altra è la materia da lei insegnata. Le menzogne e la propaganda possono contagiare qualsiasi disciplina, ammorbandola fino al punto da stravolgerne completamente i lineamenti. Il preambolo è lungo ma necessario per introdurre un pezzo dell’avvocatessa che già dal titolo larmoyant, “Pasqua a Gaza dove i palestinesi non hanno nemmeno il diritto di manifestare”, introduce il lettore a uno scritto che sembra uscito direttamente dall’ufficio propaganda dell’OLP e di Hamas. Ne saggeremo qui alcuni campioni partendo dal primo paragrafo.

“Anni fa ho trascorso la Pasqua a Gaza. Era il 2010, io ero già lì da diversi mesi. La Striscia di Gaza era già governata da Hamas. Era già stretta da anni nella morsa di questo assedio, blocco, embargo, regime punitivo estremo imposto da Israele e supportato dall’Egitto. Gaza era distrutta dopo l’operazione Piombo fuso con le sue bombe al fosforo bianco ma stava cercando di ricostruirsi”.

Siamo qui di fronte al livello più elementare della menzogna, la piattaforma sulla quale poi edificare il resto. Alcuni fatti, per rinfrescare la memoria. Hamas prende il potere a Gaza nel 2007, esautora Fatah in un regolamento di conti sanguinoso nella più pura tradizione fratricida delle lotte intra-islamiche e quindi comincia ad applicare alla Striscia costiera gli insegnamenti impartiti dallo sceicco Ahmed Yassin il cui scopo era quello di rieducare il popolo al rigorismo salafita. Si comincia dalle università in cui si inizia ad insegnare che l’evoluzionismo è una aberrante teoria giudaica, per proseguire con la chiusura dei cinema, dei negozi che vendono liquori, la proibizione dei concerti e dell’abbigliamento occidentale per le donne, la persecuzione e l’uccisione degli omosessuali.

E’ questo “l’assedio”, il “regime punitivo estremo” a cui è sottoposta Gaza. Ma per la Meloni, le condizioni di sfacelo socioeconomico in cui si trova l’enclave costiera sono colpa di Israele, il quale provvede ogni giorno a fornire la Striscia con rifornimenti, di cui vengono soprattutto controllati i materiali edili che Hamas utilizza per costruire i tunnel il cui scopo è quello di infiltrare miliziani armati in territorio israeliano per perpetrare stragi.

Il fosforo bianco è un altro dei vecchi strumenti dell’armamentario della propaganda contro l’IDF.

Nel 2013 l’Observer di Londra dovette pubblicare una smentita ad un articolo in cui era stato scritto che il fosforo bianco fosse un agente chimico,“ Il fosforo bianco, usato dalle forze israeliane a Gaza nel 2008, non è un’arma chimica così come è recepito dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, e il suo utilizzo non è in ‘in contrasto con le convenzioni internazionali’”. Lo scopo del fosforo bianco, quello di creare schermi di fumo a scopo protettivo, non è mai stato usato da Israele se non ottemperando a questa sua funzione principale, ma, naturalmente, la leggenda che esso sia stato usato al fine di attacco personale appartiene alla lunga lista di turpitudini che l’esercito israeliano avrebbe perpetrato .

Il pezzo della Meloni contiene anche accensioni liriche struggenti come la descrizione fatta della celebrazione notturna pasquale avvenuta nella chiesa greco ortodossa di Gaza City. E’ un omaggio alla bellezza dei lampadari, al blu intenso degli affreschi, ai festosi canti. Tutto ciò la inebria. Il peana estetico, tuttavia, dura poco, la realtà torna a mordere:

“Se chiedi delle difficoltà di essere cristiani a Gaza si incazzano, ti rispondono che sono tutti nella stessa barca…ma in verità sono pochissimi i cristiani rimasti, essendo tra la fetta più benestante della società sono anche stati i primi a potersi permettere di andarsene”.

La barca è indubbiamente la medesima ma un po’ più angusta per i cristiani, circa mille, ancora risiedenti nella Striscia. Come ha dichiarato recentemente Padre Mario Da Silva, sacerdote cattolico brasiliano operativo a Gaza, “La nostra missione è quella di preservare la fede cristiana, aiutarli ad affrontare anche le spinte fondamentaliste che richiedono la conversione all’Islam. Queste pressioni, insieme alle difficili condizioni economiche e sociali, spingono i cristiani ad abbandonare Gaza”. Di questo nessun accenno, il blu degli affreschi è troppo abbacinante, non permette di vedere che i cristiani a Gaza sono minoranza sotto tutela.

Quando Hamas prese il potere a Gaza lo sceicco Abu Saquer, leader di un gruppo a tutela della legge islamica, dichiarò, “Mi aspetto che i nostri vicini cristiani comprendano che le nuove regole di Hamas significano cambiamenti veri. Devono essere pronti al dominio islamico se desiderano vivere in pace a Gaza”. In altre parole, devono comprendere che sono dhimmi. Ah, ma il blu intenso degli affreschi…

Ma è nella descrizione dei recenti fatti avvenuti al confine tra Gaza e Israele che la Meloni si concede il meglio. Occorre ascoltarla:

“La grande Marcia del ritorno…organizzata dalla gente di Gaza, a cui hanno partecipato decine di migliaia di Gazani, famiglie intere contro il blocco, contro una situazione che li sta letteralmente affamando, contro il mancato accesso alle loro terre, per richiamare l’attenzione sui loro diritti negati”.

Gli accenti sono drammatici, quasi strazianti, fatti per intenerire i cuori di chi lotta contro le ingiustizie e vuole solo un mondo più giusto e sano, possibilmente dove le “vittime” (i palestinesi) siano liberati dai loro “oppressori”(gli israeliani). E’ questa la appassionante e fraudolenta fiction edificata a fine anni Sessanta nei laboratori moscoviti e arabi e che ha conquistato grande consenso in Occidente. La marcia “pacifica” mossa spontaneamente dalla gente e in cui Hamas non sarebbe implicata, è stata coordinata e utilizzata da sigle terroristiche con il fine ben preciso di usarla come copertura per le proprie finalità.

Il 26 di marzo all’incontro del PLC, il Consiglio Legislativo Palestinese, Khaled al Batash, un membro anziano del PIJ, la Jihad Islamica Palestinese, ha dichiarato che tutte le forze, Hamas, Fatah, la Jihad Islamica e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina averebbero partecipato alla Marcia del Ritorno. Tra i sedici palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, 11 appartenevano a queste formazioni. Erano armati di fucili automatici e di granate. Che strano che i soldati israeliani che hanno sparato sulla “folla”, come ci ha raccontato buona parte della stampa, invece di centrare donne, bambini e anziani, abbiano ucciso con precisione chirurgica esponenti di sigle terroristiche.

Nell’articolo non ci viene detto in cosa consisterebbe il “ritorno” e quali sarebbero le terre reclamate, “le loro terre”, quelle del popolo affamato. E’ scritto chiaramente nello statuto di Hamas, all’Articolo 11:

Il movimento Islamico di Resistenza crede che la terra della Palestina sia un Waqf islamico consacrato alle future generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio. Esso, o nessuna parte di esso, può essere dissipate, esso o nessuna parte di esso può essere alienato. Nemmeno un paese arabo né tutti i paesi arabi, né nessun re o presidente, né tutti i re e i presidenti, né nessuna organizzazione o tutte le organizzazioni, siano esse palestinesi o arabe, possiedono il diritto di poterlo fare. La Palestina è una terra (Waqf) islamica consacrata per le generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio. Essendo questo lo stato delle cose, chi può affermare di rappresentare le generazioni musulmane fino al Giorno del Giudizio?”.

“I fatti non hanno accesso nel regno delle nostre fedi” chiosava Proust. La Meloni non fa eccezione, la permanenza prolungata a Gaza ha irrobustito la sua fede, ha reso la dottrina catafratta a ogni empiria e così apprendiamo che:

“Già giorni prima della manifestazione di Gaza gli ufficiali israeliani avevano ripetutamente minacciato di ricorrere alla forza letale. Distorcendo le proteste per farle apparire immensi rischi per la sicurezza di Israele, evocando presunti scopi terroristici, e riferendosi a Gaza come ‘combat zone’, gli ufficiali israeliani hanno consapevolmente spianato la strada per l’uso della violenza sproporzionata e indiscriminata da parte dei militari”.

Diversi sono i livelli di sudditanza come diversi sono i gradi in cui si può essere impregnati dall’ideologia, quelli raggiunti qui sono quasi parodistici. Hamas, i martiri della Brigata Al Qassam, la Jihad Islamica, non rappresentano alcuna minaccia per Israele. Ricordiamolo, 11 tra i 16 (cifra non ancora ufficializzata) palestinesi uccisi dal fuoco israeliano venerdì scorso a Gaza erano miliziani. Non c’è stata alcuna “violenza sproporzionata” o “indiscriminate”. I cento cecchini inviati da Israele per difendere i suoi confini, che per la professoressa associata di Diritto internazionale, non devono essere difesi, hanno ucciso solo chi ha tentato, avvicinandosi alla barriera, di sabotarla, o di mettere a rischio la vita di questi ultimi.

Non contenta di apparecchiare questo florilegio di menzogne, l’avvocatessa professoressa associata di Diritto Internazionale si inventa che il comando israeliano militare israeliano avrebbe dato “l’ordine di uccidere chiunque si avvicinasse (alla barriera) anche se disarmato, come ben mostrano alcuni video”. E questa, nell’ordine delle menzogne contenute nell’articolo, è la più spregevole.

L’ordine di uccidere civili disarmati non è mai stato emanato. Le regole di ingaggio dell’IDF prevedono che i soldati aprano il fuoco nei confronti di chi, armato, si trovi a 300 metri dalla barriera di sicurezza, diversamente da quello che fa Hamas, totalmente privo di qualsiasi scrupolo nell’usare civili come scudi umani, così come è accaduto a Gaza nel 2009 e poi nel 2014.

Non esistono video che mostrano che civili palestinesi disarmati siano stati uccisi, ma esiste solo un spezzone di un video in cui un ragazzo palestinese cade colpito da un proiettile, senza che venga mostrata la sequenza temporale delle sue azioni precedenti.

E’ ora di concludere e lo faremo con la fine dell’articolo che abbiamo preso in esame:

“Il diritto al ritorno. Una utopia ormai. Il diritto alla vita e alla dignità umana. Cancellati. Calpestati. Neanche il diritto di manifestare e protestare è concesso ai palestinesi. Israele è ben consapevole che la lotta per la liberazione di un popolo oppresso passa anche da questi momenti di protesta”.

Il “diritto al ritorno” invocato, consisterebbe nei circa sei milioni di discendenti dei 700,000 palestinesi che lasciarono Israele nel 1948 a causa della guerra voluta dagli stati arabi. Unico caso al mondo, quello palestinese, in cui lo status di rifugiato si perpetua ai discendenti di generazione in generazione. Questo ritorno sancirebbe automaticamente la fine di Israele come Stato ebraico, ed è sempre stato uno dei cavalli di battaglia dell’OLP, di Hamas, dell’Autorità Palestinese. Ma su una cosa l’autrice dell’articolo ha ragione, esiste un “popolo oppresso” palestinese. Non consiste, tuttavia, dei 1,700,000 arabi-palestinesi che vivono in Israele con diritti e qualità di vita che non avrebbero in alcuno stato arabo, ma negli oppressi dal rigorismo islamico instaurato da Hamas a Gaza e dagli altrettanti sudditi dell’Autorità Palestinese nei territori in Cisgiordania.

Come ha affermato Bassem Eid, il principale attivista palestinese per i diritti umani in attività oggi:

“Non mi fiderei mai dell’Autorità Palestinese né nella West Bank né a Gaza. L’obbiettivo principale della leadership palestinese è quello di continuare a tenere i palestinesi in ostaggio a vantaggio del conflitto. Questo è il suo scopo principale. Siamo ostaggi della nostra leadership, non di Israele, non dell’occupazione. Si tratta esattamente del contrario”.

Ma nel mondo delle Chantal di Gaza che insegnano Diritto internazionale, la realtà è solo quella fornita dalle veline di Hamas di cui è una solerte portavoce.

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