Israele e Medio Oriente

2024: Un nuovo anno e un punto di svolta nella guerra

Gli ultimi giorni della guerra condotta da Israele su più fronti, principalmente contro Hamas a Gaza e contro Hezbollah in Libano, sono stati molto intensi. In questi giorni, si registrano diversi trend apparentemente contraddittori, che ci consentono di tratteggiare con cautela quali sviluppi potrebbero profilarsi nelle prossime settimane, soprattutto in termini di rischi e opportunità  

A Gaza, le azioni dell’IDF e le dichiarazioni rilasciate da alti funzionari della difesa stanno tutte a indicare che Israele si sta muovendo verso una terza fase di combattimento, dopo la prima caratterizzata da ondate di attacchi aerei e la seconda scandita da un’importante offensiva di terra che ha coinvolto quattro divisioni dispiegate nella Striscia di Gaza.  

Il contrammiraglio Daniel Hagari, portavoce dell’IDF, ha ampiamente spiegato il 6 gennaio che gli sviluppi a Gaza sono ciò che determinano la transizione tra le fasi. Ha dichiarato: “Vorrei affrontare le questioni sollevate dai media oggi riguardo alla transizione tra le fasi della guerra. Qualche giorno fa ho illustrato le operazioni dell’IDF, nel nord della Striscia di Gaza, e come abbiamo smantellato la struttura militare di Hamas nel nord. Anche se nel nord ci sono ancora terroristi e armi, essi non operano più all’interno di un quadro militare organizzato. Ora operiamo in quell’area in modo diverso e con una diversa combinazione di forze, per rafforzare i risultati ottenuti. Attualmente ci stiamo concentrando sulla zona centrale della Striscia di Gaza, nell’area dei campi centrali, e sulla Striscia di Gaza meridionale, nella zona di Khan Yunis. Si tratta di unattività operativa ancora complessa, con dure battaglie che si combattono sia al centro che al sud. I combattimenti continueranno nel 2024”. 

Il ritiro dei riservisti è avvenuto dopo che l’IDF ha ottenuto risultati significativi nel nord della Striscia di Gaza. 

Si profila così per Israele l’opportunità che si riducano le critiche internazionali, la pressione esercitata dagli Stati Uniti e la possibilità di condurre le operazioni in maniera più chirurgica. I pericoli, d’altro canto, potrebbero essere costituiti da rischi maggiori per la vita dei soldati. 

Un altro pericolo è la potenziale “libanizzazione” di Gaza: vale a dire, sprofondare nel pantano di Gaza e aumentare la sensazione nell’opinione pubblica israeliana che i tempi della campagna si stiano allungando, con gli obiettivi della guerra non ancora chiaramente raggiunti. Questi obiettivi primari sono il rilascio degli ostaggi, l’eliminazione dei leader di Hamas a Gaza, in particolare di Yahya Sinwar, come simbolo della guerra, e il barbaro massacro del 7 ottobre. 

Il tempo necessario per raggiungere questi obiettivi crea il rischio che si avverta un senso di stagnazione tra gli israeliani, i quali continuano a sostenere in modo schiacciante lo sforzo bellico e il raggiungimento degli obiettivi dello Stato. 

In questo contesto, è importante segnalare la recente lettera inviata da circa 90 comandanti di battaglione e vicecomandanti di brigata della riserva dell’IDF al Capo di Stato Maggiore militare, tenente generale Herzi Halevi, chiedendo altresì di poter continuare nella loro missione finalizzata a distruggere Hamas e a sconfiggere Hezbollah. Chiedono altresì un comando militare per garantire che la guerra non finisca con la sensazione di aver perso delle opportunità.

Nel frattempo, continuano i lanci sporadici di razzi dalla Striscia di Gaza, anche verso il centro di Israele e la città di Sderot, al ritmo di decine di razzi ogni settimana.   

Era chiaro fin dall’inizio ai pianificatori militari israeliani che ciò avrebbe richiesto molti mesi, ma ciò non elimina il rischio di un senso di stagnazione che si diffonde tra l’opinione pubblica. Pertanto, il modo in cui la campagna viene percepita rispetto ai reali risultati militari, che sono molti, è una questione che la leadership militare e politica di Israele dovrà gestire mentre l’IDF entra nella fase 3 del suo piano di guerra. 

In Libano, nelle ultime settimane, abbiamo assistito a un approccio più attivo da parte dell’IDF, che non si concentra più solo sull’eliminazione delle unità di Hezbollah dotate di missili anticarro, che attaccano quotidianamente le comunità settentrionali di Israele. Piuttosto, l’IDF sta ora tentando di massimizzare i risultati, colpendo Hezbollah fino a quando (o se) non verrà raggiunto un cessate il fuoco, senza varcare la soglia di una guerra su vasta scala. 

Ciò include l’uccisione mirata di esponenti di spicco di Hezbollah nel sud del Libano e di Hamas nel quartiere di Dahiya, compreso l’assassinio del 2 gennaio del vice capo del Politburo di Hamas Saleh Al-Arouri, nel quartiere di Dahiya a Beirut, controllato da Hezbollah; l’assassinio dell’8 gennaio del comandante dell’unità d’élite Hezbollah Radwan Wassam Tawil, a seguito di un attacco a una base dell’unità di controllo aereo dell’IAF, e l’uccisione del 9 gennaio del comandante dell’unità aerea del settore meridionale di Hezbollah, come conseguenza di un attacco al quartier generale del comando nord dell’IDF. 

Com’era prevedibile, Hezbollah, sta rispondendo aumentando la propria gittata delle armi e cercando di colpire basi più grandi dell’IDF. Ad oggi, nonostante i danni subiti e la sensazione di un’escalation di questi eventi, è impossibile valutare quale sarà il vero punto di rottura. 

Allo stesso tempo, cresce la pressione internazionale per raggiungere un cessate il fuoco nel nord, e sembra che tutte le parti vedano adesso il collegamento tra il fronte nord e quello sud.  

Soltanto nelle ultime due settimane si sono recati nella zona il ministro degli Esteri francese Catherine Colonna, l’inviato speciale presidenziale americano Amos Hochstein, il ministro francese della Difesa Sebastien Lecornu e il segretario di Stato americano Antony Blinken, il quale, durante la stesura di questo articolo, è in visita in Israele. 

Lo stesso capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, fa questa correlazione, avendo affermato chiaramente che non fermerà le armi senza un cessate il fuoco a Gaza. Mentre il sistema internazionale sta cercando di trovare “soluzioni” sotto forma di cessate il fuoco in entrambe le arene. 

All’interno di Israele, a livello operativo, è chiaro anche un diverso tipo di connessione. Uno dei vantaggi di ridurre l’intensità dell’operazione a Gaza è che ciò creerebbe livelli di preparazione più elevati sul fronte nord liberando risorse militari.  

Il pericolo principale qui è un accordo diplomatico che non porti allo smantellamento delle capacità militari di Hezbollah, nel sud del Libano, permettendogli di continuare a minacciare i residenti del nord di Israele. 

Ad oggi, più di 80 mila persone sono state evacuate da circa 30 comunità israeliane nella zona di confine del Libano (alta Galilea). Di queste, 60 mila sono state sfollate in seguito agli ordini di evacuazione del governo. Se non ci sono garanzie che le capacità di Hezbollah di compiere un massacro, come quello avvenuto il 7 ottobre, siano state neutralizzate, molte di loro non torneranno nelle proprie case. 

Infatti, coloro che hanno le capacità economiche probabilmente non torneranno, e la regione settentrionale sarà danneggiata non solo dal punto di vista della sicurezza ma anche economicamente, socialmente e in termini di prospettive future. Ciò avrà implicazioni anche per le comunità che non sono state evacuate. 

Un altro rischio che emerge qui è quello di perdere un’opportunità unica di gestire le capacità strategiche di Hezbollah se quest’ultimo si riprenderà rapidamente dagli attacchi limitati di Israele. In questo scenario, Israele pagherà il prezzo che il Libano richiede nell’ambito di un accordo diplomatico, vale a dire il ritiro dalle fattorie di Shebaa e dal settore settentrionale del villaggio di Ghajar (mentre non è chiaro cosa accadrà ai suoi abitanti israeliani). Nel frattempo non ci sarà sicurezza per i residenti del nord. 

D’altro canto, la campagna moderata che l’IDF sta conducendo nel nord offre un’opportunità in quanto Israele potrebbe, rimanendo al di sotto della soglia di una guerra su vasta scala, colpire Hezbollah nel Libano meridionale e quanto meno portare a un miglioramento della realtà della sicurezza per quanto concerne le minacce. dal sud del Libano. Questo scenario non include la neutralizzazione del sistema missilistico strategico di Hezbollah. Inoltre, in tale scenario, è difficile prevedere il punto in cui attacchi limitati si trasformeranno in una guerra su vasta scala. 

Allo stesso tempo, non possiamo ignorare ciò che sta accadendo nel resto del Medio Oriente. Gli Houthi continuano il loro blocco navale e la campagna di ricatti, e proprio venerdì c’è stata una manifestazione a cui hanno partecipato un milione di persone a Sana’a, in Yemen, sotto striscioni con scritto “Morte all’America” ​​e Maledizione sugli ebrei, gli stessi slogan scanditi nei funerali dei terroristi di Hezbollah in Libano. 

In Siria e in Iraq, le milizie sciite hanno continuato ad attaccare quotidianamente le forze americane dall’inizio della guerra: più di 110 attacchi e oltre, mentre le risposte americane sono state meno di dieci. 

Allo stesso tempo, Teheran, che ha architettato questa intera campagna, non si sente affatto in pericolo.  La settimana scorsa si è svolto anche un dibattito all’ONU sui preoccupanti progressi che l’Iran sta facendo nel suo programma nucleare. 

Il 26 dicembre, l’AIEA, l’organismo di vigilanza nucleare delle Nazioni Unite, ha dichiarato che l’Iran ha invertito il rallentamento del suo arricchimento di uranio fino a portarlo ad una purezza pari al 60 per cento, che è vicino allo stadio necessario per lo sviluppo delle armi nucleari (90 per cento), tornando quindi a un tasso di circa 9 kg al mese invece del tasso ridotto di 3 kg.   

“L’AIEA ha confermato che l’Iran ha aumentato dalla fine di novembre la produzione di UF6 (esafluoruro di uranio) arricchito al 60 per cento in U-235 fino a circa 9 kg al mese in questi due impianti combinati”, ha affermato l’AIEA, riferendosi ai siti di arricchimento dell’uranio di Fordow e Natanz, in Iran.   

I report dei media occidentali che affermano che l’Iran non è interessato alla guerra sono nella migliore delle ipotesi fuorvianti e nella peggiore mostrano una mancanza di comprensione della partita a scacchi a cui stiamo assistendo qui. L’Iran ha iniziato la guerra, ma finché potrà usare il sangue arabo (palestinese o libanese) e non condurre questa guerra sul suo territorio, continuerà con questo modus operandi. In simili circostanze, ministri e consiglieri francesi e americani viaggiano in tutta la regione, cercando di offrire soluzioni diplomatiche a problemi che potrebbero solo peggiorare a causa delle stesse proposte che avanzano. 

https://israel-alma.org/2024/01/10/2024-a-new-year-and-a-turning-point-in-the-war/

Traduzione di Angelita La Spada 

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