Interviste

Chiara, in Israele per il servizio civile: “Amo Tel Aviv, è la mia città”

Chiara Balbontin, nata a Savona, è una giovane italiana che ha deciso di vivere dieci mesi in Israele svolgendo il servizio civile internazionale. Una scelta di vita importante e coraggiosa, motivata anche dall’attrazione nei confronti di Israele: stando a Nahariya e visitando quasi tutto il Paese, Chiara ha vissuto esperienze belle e meno belle, tutte importanti e decisive per crescere come persona. E ha imparato e scoperto tanto: prima di tutto, ha trovato e conosciuto la “sua” città: Tel Aviv.
Avendola incontrata a gennaio proprio a Tel Aviv, noi de L’Informale le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.

Chiara, stai facendo una lunga esperienza di volontariato in Israele. In cosa consiste?
Sto svolgendo, e ho quasi finito, il servizio civile internazionale. Il progetto si svolge in una casa di riposo che si trova a Nahariya, nel nord di Israele. La struttura in cui mi trovo è un po’ particolare perché sono ospitati anziani problematici: ex alcolisti, drogati, casi psichiatrici e anche persone che, anziché scontare la condanna in carcere, la stanno scontando in questa casa di riposo. Il mio compito è quello di portarli alle visite mediche, stare con loro e aiutare in cucina.

Che cosa hai scoperto su Israele che non conoscevi o non ti immaginavi?
Prima di tutto tante piccole cose che mi hanno colpito, ad esempio che gli israeliani possono essere dolcissimi, disponibili e fanno di tutto per aiutare qualcuno in difficoltà, ma allo stesso tempo qualcuno può anche essere più maleducato degli italiani. E guidare peggio degli italiani. Ma stando qui ho imparato tante cose sulla storia e sulla cultura di questo Paese e anche sulle usanze. Già ne ero attratta e quindi parzialmente le conoscevo, ma in questo modo ho potuto approfondirle.

Tra pochi giorni dovrai tornare in Italia. Cosa ti lascia questa esperienza? E cosa dirai di Israele ai tuoi amici con cui ne parlerai?
Tante cose, davvero tantissime cose, belle e brutte. Mi porterò nel cuore gli incontri con le tante meravigliose persone che ho incrociato durante questo mio cammino e anche ricordi di persone “un po’ meno meravigliose” che hanno influenzato la mia esperienza, ma anche loro nonostante tutto mi hanno fatto crescere e diventare, credo, una persona migliore. E’ un’esperienza che ti cambia, ti cambia il modo di vedere le cose, la vita e il modo di pensare.
Cosa dirò ai miei amici? Che dovrebbero fare un’esperienza simile. Anche non in Israele, ma comunque andare in un Paese straniero e mettersi in gioco totalmente fino alla fine. Poi Israele “is the best”, ma questa è la mia opinione personale.

In questi mesi ci sono stati anche periodi difficili: rivolte, razzi lanciati da Gaza. Che clima si respirava in Israele in quei momenti?
Una persona che non vive in Israele potrebbe immaginare un continuo scenario di guerra, potrebbe credere che in Israele se cammini per strada ti accoltellino. La verità è che stando qui si avverte ovviamente un po’ di tensione, non si può negare, ma anche i razzi lanciati da Gaza non influenzano particolarmente la vita quotidiana. Stando a Nahariya non mi sono accorta di nulla. E’ vero, abbiamo i bunker dove ci si nasconde in caso di lancio dei missili, ci sono anche le esercitazioni con la sirena e le abbiamo fatte, però diventano parte di una routine, qualcosa che fa parte della normalità. Forse è triste dirlo, ma ci si abitua. La tensione c’è ma è percepita come normale, come routine.
Inoltre c’è la consapevolezza che Israele sia molto protetta, per cui non c’è il timore di essere colpiti da un missile. E’ vero, può succedere, ma non ci si pensa più. Ci sono tanti controlli, anche per entrare nei centri commerciali. Uno che vive in Israele lo sa e si abitua. Ci si abitua a tutto.

Cosa risponderesti a chi sostiene che in Israele ci sia apartheid nei confronti degli arabi?
Questa è una domanda un po’ particolare. Innanzitutto una delle prime cose che ho imparato stando qui in Israele è che è meglio non parlare di questi argomenti, nel senso che è meglio evitare di toccare questioni politiche. Ma per quanto riguarda l’apartheid, cosa si intende per apartheid? Se parliamo di territorio israeliano, è pieno di arabi. Akko (Acri n.d.r.) è una città araba, Haifa pure, ci sono villaggi interamente arabi, città come Tamra in Galilea. Sono completamente integrati nella società, però sono arabi israeliani.
La questione palestinese è un altro discorso, ma anche in questo caso non si può parlare di apartheid. In tanti criticano il famoso “muro”, la barriera di protezione, ma bisogna anche vedere il motivo per cui è stato costruito. In Israele c’erano continui attentati e quindi una barriera è stata necessaria, sono stati costretti a innalzarla. Ma chi vuole criticare Israele spesso usa questo come pretesto.
Se invece si vuole parlare di razzismo, c’è in Israele come in qualsiasi altra parte del mondo, ma riguarda le singole persone. Ho conosciuto razzisti come ho conosciuto tanti arabi perfettamente integrati nella società, tra cui mie colleghe di lavoro. Posso dire quindi che gli arabi che vivono in Israele sono perfettamente inseriti. Gli arabi che vivono in Palestina, nei territori contesi, invece no, ma solo perché sono esageratamente fomentati.

In questi mesi quali città e luoghi hai visitato? E quali ti hanno colpito di più?
Amo Tel Aviv, infatti questi ultimi giorni li sto passando a Tel Aviv perché è la mia città. Una città che nel bene e nel male, nel bello e nel brutto, ho vissuto profondamente. Qui ho incontrato persone meravigliose come persone che mi hanno ferito, che mi hanno proprio strappato il cuore, però ripeto: è la mia città.
Per il resto, in Israele sono stata più o meno ovunque. Gerusalemme, il deserto, le alture del Golan, il sud, il fiume Giordano. Ecco, mi manca il mar Morto, ma lo userò come scusa per tornare. Se dovessi fare una classifica dei posti della mia vita, al primo gradino del podio metto Tel Aviv. Al secondo, non lo so. Forse Gerusalemme. O il Giordano. Non saprei, amo tutta Israele, sono sicura solo del primo posto a Tel Aviv.

Cosa ti ha spinto a scegliere un’esperienza di questo tipo? E Israele era un’opzione a te gradita?
Ho scelto questa esperienza proprio perché volevo venire in Israele. Quindi sì, Israele era proprio l’opzione gradita. Essendo usciti questi bandi per il servizio civile ho voluto capire se c’era la possibilità di fare qualcosa e anche di mettere un po’ di soldi da parte, ho visto che Israele era tra le opzioni e mi sono detta: “Vado, subito”. Poi ci sono altre motivazioni: la voglia di mettersi in gioco, di andare all’estero, ma in realtà all’estero ho già anche vissuto.
Riassumendo: voglia di aiutare gli altri, opportunità di guadagnare qualcosa, ma soprattutto ho visto che c’era la possibilità di andare in Israele.

Se qualcuno dei nostri lettori volesse fare un’esperienza come la tua, cosa dovrebbe fare? E cosa gli consiglieresti?
Proprio oggi sono usciti i nuovi bandi del servizio civile internazionale, basta iscriversi e inviare i moduli. Poi bisogna fare la selezione e sperare di essere selezionati. E si parte.
Consigli? Di andare con la mente più aperta possibile. E una volta arrivati, di godersela e viversela fino in fondo. Proprio respirare Israele.

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