Israele e Medio Oriente

Come si sbriciolerà il biscotto? Uno scenario post-Autorità palestinese | di Abe Haak

L’Autorità palestinese (Ap) è in vita artificialmente, in gran parte a causa di decenni di intransigenza politica e corruzione sistematica. Israele (che, occorre ricordare ha creato l’Ap) è il medico che si chiede se staccare la spina. L’amministrazione statunitense sta gradualmente soffocando gli aiuti nel tentativo di incentivare Mahmoud Abbas a tornare al tavolo dei negoziati, che ha lasciato dieci anni fa. Immemore del suo precedente, Abbas ha rilanciato pretendendo la sostituzione dell’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, Jason Greenblatt, prima dell’inizio dei colloqui.

Ma c’è la sensazione che il mondo intero, compresi i palestinesi delle aree A e B, sia adesso in attesa della scomparsa dell’Autorità palestinese. Molti credono che il momento arriverà presto dopo la morte di Abbas. Tuttavia, con la possibile eccezione delle valutazioni dell’intelligence interna israeliana, nessuno sembra aver formulato i probabili scenari di ciò che accadrà in seguito al crollo.

Frammentazione

Mentre tutti i sistemi politici soffrono di un certo grado di disgregazione, gli estremi livelli di antipatia e ostilità di parte in seno all’Ap sono sconcertanti. Non solo si registra un baratro a quanto pare incolmabile tra Fatah e Hamas, ma le rivalità all’interno della leadership di Fatah e le loro manifestazioni armate sul terreno (Dahlan, Barghouti, Rajoub etc.), nelle città e nei villaggi della Cisgiordania, sono evidenti a chiunque segua la scena lì. Se state pensando alla “mafia” avete colpito nel segno. Esistono interi quartieri a Nablus, ad esempio, che prendono ordini direttamente da Gaza, anche se la città è teoricamente sotto il controllo di Ramallah. Al di fuori di queste aree, alcune strade sono controllate dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), mentre altre sono nelle mani di uomini che hanno giurato fedeltà all’Isis. Il livello di ostilità fra queste fazioni è confermato dal fatto che tutti quanti sono più inclini a trattare con gli israeliani che tra di loro.

Fuori dalle città, interi villaggi arabi appoggiano apertamente Hamas, mentre altri sostengono Fatah e altri ancora il Fplp. Questo appoggio è evidente nei graffiti presenti nelle piazze dei villaggi. Se non si ha accesso ai villaggi o alle capacità di raccolta delle informazioni da parte di Israele, il modo migliore per indovinare chi domina una data città è riuscire a collegare quanti atti terroristici rivendicati da Hamas (o da altri gruppi) sono perpetrati da individui provenienti da una determinata località. Se, ad esempio, ci sono due o più episodi di accoltellamento che sono rivendicati da un gruppo terroristico, si può tranquillamente dedurre che il villaggio è controllato da quel dato gruppo.

Disintegrazione

Non appena si aprirà ufficialmente la lotta alla successione di Abbas, ci saranno delle manovre immediate per ricoprire la posizione e consolidare il potere – non solo negli uffici del partito a Ramallah e Doha, ma anche nelle strade di Jenin, Tulkarem, Nablus e Salfit. Anche senza spargimento di sangue, le aree A e B perderanno rapidamente l’ultima parvenza di controllo amministrativo coeso. Subito, potrebbe accadere quanto segue:

  • I residenti avranno maggiori difficoltà a spostarsi in Israele e a volte sarà per loro impossibile farlo.
  • Gli spostamenti in seno alle zone arabe saranno rallentati perché vacilla la sicurezza di coloro che appartengono a gruppi rivali. Basterebbe che un poliziotto dell’Ap venga malmenato dai seguaci armati di Hamas per fermare il traffico fra le rispettive aree.
  • Di conseguenza, le forniture di beni, come cibo e medicine, così come la fornitura dei servizi municipali di base, diventeranno altamente inaffidabili e potrebbero cessare del tutto.

Pertanto, in tempi brevissimi e prima che venga versato del sangue, le condizioni di vita di molte comunità della Cisgiordania si deterioreranno bruscamente. Com’è normale,  chi può permettersi di andarsene lo farà immediatamente, spostandosi soprattutto in Giordania. I benestanti avranno case e appartamenti ad Amman, mentre i meno abbienti dovranno farsi ospitare dai parenti. Decine di migliaia di persone in grado di assorbire i costi di interruzione della loro vita in Cisgiordania si dirigeranno verso est nella speranza di uscire dalla crisi nella sicurezza del Regno hashemita.

Tutta questa dislocazione accadrà prima che venga sparato un solo colpo. Quindi, il più ottimistico scenario post-Abbas per i palestinesi della Cisgiordania sarà quello di una situazione di  stallo difficile, paralizzante e temporaneo che indurrà le classi abbienti a scappare a est verso il fiume.

La guerra

Le crescenti restrizioni e tensioni renderanno insostenibile questo impasse iniziale. Man mano che gli approvvigionamenti essenziali diminuiranno e le condizioni di vita peggioreranno, i gruppi armati più disperati inizieranno a correre dei rischi attaccando quelli che li incastrano. Tuttavia, la violenza che inevitabilmente esploderà non comporterà una netta vittoria per nessuna fazione, come l’ottenne Hamas, a Gaza, nel 2006. Eventuali vittorie saranno locali e limitate. Questo perché le aree A e B non possiedono né la contiguità territoriale né la duplice politica di Gaza. Piuttosto, una città andrà a Hamas e un’altra a Fatah. In un quartiere, il Fplp rimarrà dominante; in un altro, i fedelissimi dell’Isis continueranno a tenere la situazione sotto controllo.

In tali circostanze, gli abitanti prudenti fuggiranno disperati. La Giordania dovrà far fronte a un afflusso di profughi che potrebbero rapidamente passare da decine di migliaia a centinaia di migliaia. Oltre al peso che un simile afflusso potrebbe avere sui servizi municipali giordani e sui prezzi dei carburanti e dei prodotti alimentari nel regno, va rilevato che questi profughi saranno diversi dagli iracheni, dai siriani e dagli altri rifugiati che la Giordania ha ospitato in passato, perché si tratta di profughi giordani.

Il diliemma della Giordania

Come da me scritto in una precedente analisi, le vite dei palestinesi che abitano su entrambe le sponde del fiume Giordano sono inestricabilmente legate, sia a livello personale sia dal punto di vista istituzionale. La maggior parte dei residenti della Cisgiordania sono cittadini giordani. Molti hanno un passaporto valido giordano e ricevono salari e pensioni da Amman. La maggior parte ha parenti di primo e secondo grado oltre il fiume. Una minoranza considerevole possiede proprietà immobiliari su entrambe le sponde. In sostanza, le vite degli abitanti palestinesi in entrambi i lati del Giordano si intrecciano, come quelle degli egiziani residenti su entrambe le sponde del Nilo o degli americani che abitano su entrambe le rive del Mississippi. Le comunità di tutto il mondo sono unite dai fiumi e non separate dai corsi d’acqua.

Quelli che sfuggiranno alla violenza post-crollo dell’Ap saranno tecnicamente cittadini giordani che lasceranno città e i villaggi che erano giordani fino al giugno 1967. Infatti, sino a quando re Hussein, sotto la schiacciante pressione politica dei governi arabi, non annunciò il suo “disimpegno” dalla Cisgiordania, alla fine dell’estate del 1988, pressoché tutti nel mondo consideravano di fatto tali città e villaggi come territori giordani occupati.

Per tale motivo, le conseguenze del caos in quei territori ricadranno in gran parte sulla Giordania, anche se le aree sono sotto il controllo congiunto di Israele e dell’Ap.

Israele non prende parte alla crisi

Ci si può aspettare che Israele subirà immediatamente delle pressioni per colmare le lacune amministrative e di sicurezza lasciate dall’Ap. Tali pressioni saranno bilanciate dalla giustificata paura di Israele che un intervento di qualsiasi tipo lo esporrebbe al rischio di essere accusato di complicità nella fuga dei residenti palestinesi. Pertanto, è probabile che la risposta israeliana sarà misurata, incompleta e insufficiente per impedire che la situazione si deteriori ulteriormente.

L’Idf farà tutto il possibile per proteggere le comunità ebraiche sparse in tutta l’area C, ma è probabile che si fermerà prima di entrare nelle città per porre fine alle sparatorie tra le fazioni palestinesi. L’ingresso dell’Idf nelle aree A e B per arginare lo spargimento di sangue o per fornire aiuti sarebbe visto come una “invasione” e potrebbe incontrare una resistenza armata.

In poche parole, Israele sarà poco incentivato a rischiare tutto per l’ingrato compito di assistere i palestinesi rimasti nell’area. Se Israele finisse per inviare forze armate nelle città e nei villaggi palestinesi per fermare i lanci di razzi o di colpi di mortaio sulle città e sui villaggi (come è successo a Gaza), le operazioni militari dell’Idf sarebbero probabilmente limitate. Tali operazioni costituirebbero dunque un incremento bellico in quelle aree, il che non allevierebbe le difficoltà di tali zone.

La Giordania pondera una risposta

Con eventuali variazioni dello scenario descritto sopra, la Giordania dovrà scegliere fra l’ospitare passivamente ( e a tempo indeterminato) le centinaia di migliaia di profughi che fuggirebbero dalla violenza dell’Ap e l’opzione di intervenire attivamente per fermare il deterioramento della situazione di sicurezza all’interno dei territori e impedire l’esodo.

Di certo, un intervento giordano non riscuoterebbe consensi.

In Giordania, ci sono potenti forze politiche che si oppongono all’idea di essere coinvolte nei  problemi della Cisgiordania, per non parlare della possibilità di ristabilire una unione politica con i palestinesi cisgiordani. Le tribù locali lealiste della Transgiordania temono ragionevolmente che la loro posizione privilegiata nella società e nel governo sia compromessa per facilitare la piena integrazione dei giordani della West Bank in un unico Stato.

La stessa Autorità palestinese resisterebbe di certo alla propria dissoluzione o sarebbe messa fuori gioco dall’assunzione di responsabilità da parte di Amman nei confronti dei palestinesi cisgiordani. La costruzione in gran parte politica dell’identità palestinese non sarà pacificamente abbandonata semplicemente perché non ha funzionato e/o non ha migliorato la vita dei suoi richiedenti.

Tuttavia, queste resistenze saranno probabilmente spazzate via dalle pressioni del momento e dalla realtà di una acuta crisi umanitaria che comporterà un afflusso di profughi. Il governo giordano sarà indubbiamente costretto a intervenire in qualche modo per fermare il deterioramento della situazione umanitaria nelle aree A e B. La sua massima priorità sarà quella di bloccare la nuova ondata di profughi. Politicamente, ciò corrisponde alla richiesta nazionalista di impedire la “scomparsa” dei palestinesi dalla Cisgiordania. Tale ragionamento riscuoterà subito il consenso anche da parte dell’opposizione islamista e dai politici tradizionali.

In effetti, il governo giordano può persino ricevere inviti a intervenire sotto forma di esplicite richieste dei dignitari locali. Nessun arabo in Cisgiordania oserà invitare “gli ebrei” a ristabilire l’ordine, perché ciò sarebbe universalmente considerato un tradimento. Tuttavia, sono già stati rivolti appelli alla Giordania, e al Re in particolare, a fornire aiuti, e tali appelli hanno ricevuto una risposta positiva.

Infine, vi è una eco storica nella convinzione che re Abdullah II bisserà l’operato del suo bisnonno re Abdullah I come salvatore (munqidh) dei palestinesi della Cisgiordania. Di fatto, molti palestinesi residenti in Giordania, i quali hanno assistito da lontano alla inettitudine e alla corruzione dell’Ap, hanno ravvivato l’idea del “Regno Unito” che precedette l’annuncio del disimpegno fatto da re Hussein nel 1988.

La posizione del governo israeliano rispetto all’intervento di Amman è facile da prevedere. Israele accoglierà con favore l’aiuto della mano ferma e responsabile offerto dai giordani per occuparsi della questione delle aree A e B. Dopotutto, per Israele, l’unico risultato positivo del disastro di Oslo è stata la separazione formale delle aree densamente abitate dai palestinesi dal resto della Cisgiordania (o area C), dove risiedono tutte le comunità ebraiche. Con l’intervento della Giordania, le aree A e B inizieranno di fatto la loro trasformazione nel territorio giordano. A dire il vero, questa non sarebbe la forma definitiva di un accordo tra Israele e la Giordania, ma sarebbe un primo passo verso la fine della violenza persistente che affligge i territori e la risultante miseria cronica dei loro residenti palestinesi.

Le conseguenze

Nella situazione descritta sopra, alcune delle parti coinvolte potranno presumibilmente beneficiare di un intervento giordano. I residenti palestinesi apprezzerebbero tale intervento perché ripristinerebbe l’ordine e le condizioni vivibili. Israele lo accoglierebbe con favore perché stabilizzerebbe la situazione generale nelle aree sotto il controllo dell’Ap e imporrebbe delle condizioni di sicurezza più rigorose contro gli atti di violenza armata. Per Amman, almeno a breve termine, questi sviluppi comporteranno problemi e crescenti rischi. Tuttavia, ci sono sostanziali vantaggi a medio e a lungo termine per la Giordania.

Israele, gli Stati Uniti e alcuni dei paesi arabi circostanti possono fare molto per segnalare alla Giordania la loro volontà di offrire e proteggere tali benefici, quali:

  • La temporanea custodia amministrativa da parte della Giordania delle aree A e B riporterebbe l’ordine e assicurerebbe condizioni vivibili alla popolazione e contrasterebbe (e probabilmente invertirebbe) l’esodo dei residenti palestinesi.
  • Gli attori regionali, tra cui gli Stati Uniti, forniranno un considerevole sostegno finanziario, diplomatico e militare alla Giordania, nel tentativo di quest’ultima di gestire la crisi.
  • Sarà raggiunta una riduzione a lungo termine delle tensioni fra la Giordania e Israele. Queste tensioni sono una piaga periodica derivante dall’approccio conflittuale assunto dall’Ap nei confronti di Israele. La cooperazione israelo-giordana è di fondamentale importanza per la sopravvivenza del regno. Da decenni, l’Autorità palestinesi ha un ruolo corrosivo tra i due governi. La sua rimozione porrà questa relazione vitale su un piano molto più sicuro.
  • Ultimo ma non meno importante, la Giordania non può permettersi di cedere l’affiliazione politica o la lealtà di una parte sostanziale della sua cittadinanza a un governo a Ramallah. Se, come alcuni sostengono, la maggior parte dei cittadini giordani si auto-identificano come palestinesi, un sistema politico palestinese sotto forma di uno Stato sovrano a pieno titolo (o anche una regione autonoma) concretizzerà una divisione fatale nella composizione del regno.

Tempistica

Vi sono segnali che indicano che ci stiamo rapidamente dirigendo verso uno scenario del genere. Israele potrebbe impedirlo, ma non ha interesse a lungo termine a sostenere questa smisurata fonte di insicurezza e di grattacapi diplomatici. Eppure, Gerusalemme ha un chiaro interesse a non figurare come la causa del crollo dell’Ap. Il suicidio dell’Autorità palestinese potrebbe facilmente essere interpretato dai detrattori di Israele come un politicidio, pertanto, il governo israeliano farà del suo meglio per tenersi a distanza di sicurezza quando arriverà la fine.

Altri fattori oltre alla morte di Abbas potrebbero innescare questa cascata di eventi che porteranno al caos. Ad esempio, una chiusura generalizzata delle scuole e dei servizi dell’UNRWA provocherebbe quasi certamente una esplosione di proteste da parte dei residenti più poveri dell’Ap. Inoltre, una grave carenza di fondi per pagare gli stipendi degli impiegati civili dell’Autorità palestinese porterebbe rapidamente allo stato di emergenza, poiché questi sono tra i più fedeli elettori di Abbas e quelli che tengono insieme la consunta Ap. Un fattore ancora più rilevante è che il mancato pagamento delle retribuzioni ai membri dei sei diversi servizi di sicurezza di Abbas potrebbe rendere ingovernabili le stesse aree controllate dall’Autorità palestinese. Questi uomini cercheranno di sostenere le loro famiglie lavorando per conto di chi paga loro gli stipendi. Non avendo un lavoro regolare, è probabile che provvedano a procurarsi in proprio il denaro per proteggere gli sfortunati abitanti di qualunque territorio sia sotto il loro controllo.

Riassumendo, una volta che il crollo dell’ordine pubblico sarà in atto, ben difficilmente le cose potranno tornare alla normalità e sarà pressoché impossibile impedire ai palestinesi della Cisgiordania di precipitarsi in massa ai punti di sicurezza. La contiguità della Giordania e la familiarità demografica delle comunità palestinesi su entrambe le sponde del fiume, faranno della Giordania la meta predefinita per la maggior parte di coloro che sfuggono alla violenza.

Il governo di Amman avrà soltanto due opzioni: occuparsi di quelle persone che attraversano il fiume verso est, oppure, offrire loro aiuto in loco, con la benedizione di Israele. È difficile immaginare che la Giordania sceglierà la prima alternativa, la più ardua.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

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