Editoriali

L’odio e la forza

Bisogna dire una cosa e dirla con la consueta franchezza. Il tentativo di assassinio di Israele prosegue sistematico. Dalla risoluzione 2334 votata dall’ONU il 23 dicembre 2016, e a cui, con complice solerzia, parteciparono gli Stati Uniti dell’Amministrazione Obama alle sue battute finali (estremamente insidiosa come tutti i poteri che stanno per abbandonare a scena), alle ultime risoluzioni che recidono il legame tra il popolo ebraico e la sua plurimillenaria storia in Palestina. Si tratta, naturalmente, del persistente character assassination che Israele subisce da cinquantuno anni a questa parte, da quando, cioè, ebbe l’ardire di non farsi spazzare via dagli stati arabi nel corso della Guerra dei Sei Giorni del 1967.

Fabbrica delle risoluzioni antiisraeliane da allora in poi, l’ONU, all’epoca ostaggio dell’Unione Sovietica virulentemente antisionista e degli stati arabi coalizzati, e oggi ostaggio sempre di questi ultimi e di una ancora più insidiosa forma mentis pregiudizialmente avversa a Israele, ormai incistatosi nel suo corpo burocratico, esso certifica solo e sempre tautologicamente se stesso.

Uccidere Israele sul terreno non è stato possibile. Si tentò subito, nel 1948, appena nacque. In fasce doveva essere eliminata prima che irrobustisse le sue membra e diventasse quello che è poi diventato, un paese con uno dei più forti eserciti del mondo.

Dopo questo primo tentato infanticidio fallito, si provò di nuovo con forze più estese e organizzate nel ’67, quando, in virtù della straordinaria prontezza strategica israeliana abbinata alla risolutezza senza pari dei nuovi maccabei,  Israele lasciò il mondo a bocca aperta. E vi lasciò anche molto amaro, in primis tra gli arabi sconfitti e ricoperti dall’onta vergognosa di non essere riusciti a eliminare quello che hanno sempre considerato un corpo estraneo, tumorale, all’interno di una area geografica reputata interamente appartenente all’Umma islamica, come dichiara senza infingimenti lo Statuto di Hamas del 1988.

E poi di nuovo, altre prove, altre guerre e il terrorismo che culminò nel regno della paura e del sangue dal 2000 al 2005, con la Seconda Intifada, sotto la regia del lord of terror, quell’Yasser Arafat che con sprezzo della realtà e delle pietre che non potranno mi trasformarsi in pane, Shimon Peres e Isaac Rabin andarono a recuperare dal suo castigo di paria a Tunisi, dove si era rifugiato dopo il suo ennesimo tradimento nei confronti dei “fratelli” arabi, per incoronarlo nation builder, sotto l’egida di Bill Clinton. Allora Israele dovette vivere ogni giorno l’assassinio quotidiano della sua gente, ovunque, senza sosta.

Ma tutto questo non è bastato. Era necessario ed è necessario altro. La propaganda, la viltà, l’intrico di diffuse aderenze europee, di intrecci politici pestilenziali, di vendite di corpi e anime occidentali all’offerente arabo, ai paladini della distruzione e dell’inganno. E dunque la volontà perversa di presentare Israele come uno stato canaglia, addensato di leggende nere, esattamente come lo furono per secoli gli ebrei, inseguiti dalle accuse più infamanti e atroci: di uccidere i bambini per utilizzare il loro sangue, di propagare la peste, di avvelenare i pozzi, fino al punto di essere trasformati essi stessi in veleno, in pestilenza cosmica da rimuovere una volta per tutte per purificare l’aria e beneficiare così l’umanità. Ed è ancora ciò che sognano legioni di antisemiti e il regime musulmano sciita che dal 1979 tiene l’Iran stretto nella propria morsa.

Nel frattempo è anche sorto il BDS, un movimento che con la copertura fraudolenta dei Diritti Umani, ha lo scopo di danneggiare commercialmente Israele, di colpirla nella sua economia, di criminalizzarla, esattamente come fecero le Leggi di Norimberga del 1935 promulgate dai nazisti nei confronti degli ebrei tedeschi.

Così si va avanti, a tutto gas. Malgrado questo odio incandescente, se c’è una cosa che Israele ha insegnato al mondo è che tutte le volte che sembrava finire era sempre, infallibilmente, un nuovo inizio. “Ciò che non mi distrugge” scriveva Friedrich Nietzsche, “mi fortifica”.

 

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