Israele e Medio Oriente

Continuità criminosa

La recente andata di omicidi che ha colpito le comunità arabe di Israele ha causato nel solo 2023 (dati aggiornati ai primi di settembre) oltre 170 morti.

Questa ondata di omicidi legata alla criminalità organizzata, alle faide familiari e claniche, ai “delitti d’onore”, ha raggiunto un punto tale da allarmare l’opinione pubblica e i mass media israeliani. Se confrontiamo le cifre, fornite dalla ONG Abraham Initiatives, dell’anno in corso (171 morti) con quelle degli anni passati: 2022 (116 morti); 2021 (126); 2020 (96); 2019 (89); 2018 (71), si può notare un notevole incremento di vittime nel corso di questi ultimi anni. 

Purtroppo uno studio serio e articolato su questo fenomeno è difficile da reperire nei mass media, che preferiscono – come troppo spesso accade – strumentalizzare questo fenomeno per attaccare il governo di turno, accusandolo di non fare abbastanza per le comunità arabe giudicate sempre afflitte da endemica povertà, marginalizzazione e poca considerazione all’interno della società israeliana. Oppure si assiste ad autentici deliri antisemiti come quelli espressi nei media dell’Autorità Palestinese. Così si può leggere, come riportato in un articolo di Stephen M. Flatow apparso su JNS (https://www.jns.org/column/palestinianauthority/23/8/29/314172) che per il quotidiano dell’Autorità Palestinese AlHayat AlJadida, l’ondata di omicidi è stata causato dal governo israeliano che ha deliberatamente “spostato le organizzazioni criminali fuori dalle città ebraiche e le ha impiantate nella società araba” come parte di un complotto volto a “sottomettere la forza di volontà araba a questa politica”.

Sullo stesso quotidiano, riporta ancora Flatow, l’editorialista Omar Hilmi al-Ghoul (già alto consigliere del primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad) ha sostenuto che le uccisioni di arabi israeliani, sono collegate al fatto che lo Stato di Israele è stato istituito allo scopo di trucidare e distruggere indiscriminatamente i membri del popolo arabo palestinese al fine di derubare la terra, la storia e la narrativa araba palestinese”.

La prima considerazione da fare, a proposito di questo conato di antisemitismo, è che nessuno al Dipartimento di Stato americano, che finanzia lautamente la banda di cleptocrati antisemiti palestinesi, ha protestato o chiesto spiegazioni, così come non l’ha fatto il governo di Israele o l’opposizione.

Proveremo, qui, in estrema sintesi, a capire se il fenomeno delle uccisioni nelle comunità arabe è causato, come sostiene Omar Hilmi al-Ghoul, “dallo Stato di Israele allo scopo di trucidare e distruggere indiscriminatamente i membri del popolo arabo palestinese” oppure è un fenomeno ben radicato nella società tribale e clanica degli arabi. Per questa brevissima indagine partiremo dal 1800, in pieno periodo di dominio ottomano – quando la presenza ebraica era ancora estremamente minoritaria – e quando le fonti a disposizione erano già numerose e affidabili.   

Nel suo ricchissimo testo The Claim of Dispossession, il ricercatore Arie Avneri, ci fornisce dati e circostanze che hanno portato l’area, che oggi è Israele e nell’800 era una provincia ottomana, ad essere quasi spopolata proprio a causa delle lotte, delle razzie e degli omicidi tra i clan arabi sia nomadi che stanziali. Così viene riportato, ad esempio, che le lotte tra i villaggi delle famiglie Qais e Yaman andavano avanti da così tanti secoli che nessun componente delle due famiglie si ricordava il perché delle faide. Però questo modus vivendi perdurava da secoli ed era il vero ostacolo ad ogni possibilità di sviluppo. Nell’area attorno a Nablus le famiglie Ab del-Hadi (pro-egiziana) e Tuqan (pro-turca) diedero vita a scontri e saccheggi che durarono decenni e provocarono numerose decine di vittime da ambo le parti. Queste, e numerose altre faide ogni tanto venivano contrastate dalle autorità turche che cercavano di ripristinare un minimo di ordine. Un funzionario britannico, Stewart Macalister, nel riportare al proprio governo le azioni dei turchi volte al ripristino dell’ordine pubblico, riferì che furono consegnate al governatore turco, in una sola circostanza, “una pila composta da 350 teste, numerosissime mani e orecchie mozzate” per ottenere la ricompensa promessa dal funzionario turco e porre fine all’illegalità e alla violenza così diffuse. Sempre Macalister, nel riferire della faida in corso tra i Qais e gli Yaman, scrive che un esponente della famiglia Qais gli riferì dell’uccisione di 295 membri della famiglia rivale in una sola grande battaglia.

Anche se si considera questo numero come un’esagerazione, sicuramente i morti furono parecchi e le battaglie tra le due famiglie numerose. Tenendo conto che la popolazione araba era meno di un di un quinto di quella attuale si può comprendere l’entità degli scontri e delle uccisioni che furono enormemente superiori a quelle attuali. Appare interessante un resoconto fornito dal Console britannico, James Finn, che nel 1853 di ritorno a Gerusalemme da Nazareth, passò dal villaggio di Huwara (lo stesso dei recenti episodi di criminalità dove sono morti anche dei civili israeliani) e si imbatté in una autentica battaglia tra clan di diversi villaggi per il controllo di quella importante strada della Samaria. Come si può notare oltre alle dinamiche anche i villaggi, ora come allora, sono gli stessi.

Più avanti nel suo testo, Avneri scrive delle guerre tra villaggi sul monte Carmelo che, nel corso dell’800, furono così cruente  da fare sì che l’intera area risultasse praticamente priva di popolazione per decenni. Nel 1840 si contavano ancora 40 villaggi mentre nel censimento del 1863 risultavano abitati solo due villaggi drusi: Isfiya e Daliat el-Carmel.

A queste faide tra villaggi vanno aggiunte le razzie e gli omicidi compiuti dalle popolazioni nomadi beduine che scorrazzavano in lungo e il largo dal Neghev alla Galilea senza che le autorità turche riuscissero a porvi rimedio. Questi scontri tra villaggi e razzie compiute dai beduini oltre che causare morti e feriti furono la causa del mancato sviluppo di intere aree agricole, in quanto causavano la distruzione sistematica degli alberi di ulivo, delle viti, dei campi coltivati e il furto di tutto quanto poteva essere trasportato (bestiame e i pochi mezzi agricoli). Solo raramente le autorità turche intervenivano e ponevano fine a questi conflitti endemici. La stessa “modalità” fu utilizzata, dagli arabi, nei confronti dei villaggi e degli insediamenti ebraici sparsi per il territorio. L’arrivo della Prima guerra mondiale portò un decremento delle ruberie e degli omicidi a causa della massiccia presenza di truppe turche e inglesi.

La situazione in generale migliorò con l’instaurazione dell’amministrazione britannica che assunse il controllo del territorio mandatario. Nonostante il grande sviluppo economico e civile avvenuto con l’insediamento dell’amministrazione britannica, l’antico problema delle faide tribali non scomparve ma si ripresentò nel corso dei decenni in maniera più o meno intensa in diverse aree del paese. Benché la presenza dell’amministrazione britannica e soprattutto dell’esercito fosse molto più capillare sul territorio rispetto a quella turca, il fenomeno della criminalità e delle faide tribali tra le comunità arabe non fu mai fermato ma continuò per tutta la durata del mandato britannico. In particolare si fece molto acceso durante la rivolta araba del 1936-39.

Durante questi anni alla criminalità organizzata e alle lotte familiari si aggiunsero bande armate di arabi che provenivano dalla Transgiordania e dalla Siria per combattere “ufficialmente” contro gli inglesi ma di fatto iniziarono a taglieggiare, depredare e uccidere, in molte occasioni, arabi locali poco inclini a subire le vessazioni imposte da queste bande armate provenienti dai paesi limitrofi.  

La situazione migliorò con la nascita dello Stato di Israele a partire dal 1948, per due ragioni, per il forte decremento della popolazione araba causato dalla guerra civile e per il controllo più capillare operato dalla forze di sicurezza israeliane nei primi anni di vita dello Stato ebraico. Le cose mutarono dopo la guerra del ’67 e la riconquista di Giudea e Samaria con il conseguente incremento della popolazione araba. La stipula degli Accordi di Oslo nel 1993 non ha migliorato la situazione, anzi, nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese sono peggiorati drasticamente soprattutto per la popolazione arabo-cristiana ormai ridotta al lumicino a causa di soprusi e taglieggiamenti.  

Come si può ben intuire da quanto sopra riportato, il problema degli omicidi e della criminalità clanica è sempre stato ben diffuso e radicato nelle comunità arabe presenti sul territorio. Gli omicidi sono solo la punta dell’iceberg là dove taglieggiamenti, intimidazioni, soprusi e omertà sono la parte più consistente del problema.

Con la nascita dello Stato di Israele questo fenomeno è stato per decenni contenuto, ora è riemerso semplicemente perché c’è una maggiore possibilità di acquistare illegalmente delle armi (soprattutto nelle aree amministrate dall’Autorità Palestinese in Samaria). Il governo di Israele su questo aspetto, oltre che sugli enormi patrimoni “sospetti” di numerosi capi clan, può e deve intervenire più radicalmente, mentre pensare ad un repentino cambiamento di mentalità e di costumi è illusorio, trattandosi di un lungo e difficile processo che richiederà generazioni. 

 

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