Editoriali

Fine regno?

Sembra che il crepuscolo sia ormai imminente sul regno di Melek Bibi, durato per ben dodici anni. Salvo colpi di scena, per Israele si apparecchierà un governo di larghe intese o di unità nazionale che dir si voglia, guidato inizialmente da quello che non fu mai il delfino di Netanyahu, Naftali Bennett. Il rotante Bennett, che fino a poche ore fa appariva ancora tentato dalle sirene della vecchia volpe della politica israeliana, sembra adesso definitivamente pronto ad allearsi con Yair Lapid per un governo in cui si alterneranno alla guida dello stato Ebraico.

Dopo quatto elezioni inconcludenti e con lo spettro di una quinta elezione che giungerebbe allo stesso esito, e in rinnovo la presidenza del paese, si è deciso di procedere a dare a Israele un governo apparentemente stabile ma in realtà fragile dove entreranno tutti o quasi tutti, da Yisrael Beytenu alla colazione Blu e Bianca, da  Nuova Speranza, il partito di un altro delfino che mai ci fu, Gideon Sa’ar, ai laburisti e perfino al residuale Meretz, ma anche, necessariamente, Ra’am, il partito islamico che pure Netanyahu corteggiava per averlo da puntello in una sua eventuale coalizione. Tutti dentro per mettere fuori Netanyahu, il quale, al momento, non si dà ancora per vinto e spera in smottamenti e pentimenti.

Il trambusto avviene sullo sfondo di veleni, rancori, anatemi, accuse di tradimento, ed è la conseguenza anche, e forse soprattutto, di non avere mai pensato neanche per un attimo, da parte di Netanyahu, di sganciare il Likud dalla sua presa, di preparare una successione, all’insegna del siamo tutti necessari ma nessuno è indispensabile, sopraffatta invece dalla convinzione e poi dall’esigenza di non potere essere sostituito, di incarnare lo Stato e le sue sorti ultime.

Netanyahu è un formidabile animale politico, possiede carisma e astuzia, è stato il migliore e più indefesso promotore di Israele in giro per il mondo che il paese abbia mai avuto, è riuscito a costruire a livello personale e professionale una rete di rapporti internazionali che nessuno dei suoi antagonisti, racchiusi nel proprio angusto perimetro parrocchiale, può nemmeno sognarsi lontanamente, ma non ha saputo coltivare politicamente nessun altro se non se stesso. Questa mancanza di generosità e di lungimiranza oggi produce un assai probabile fine regno all’insegna del rumore e della furia e di ultimi disperati e futili tentativi di restare in sella. Il futuro appare in dotazione di mediocri comprimari, figuranti, rodomonti, ma anche, se così fosse, il re esautorato non lascerà la scena facilmente, non è nel suo carattere.

 

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