Israele e Medio Oriente

Nuova etica bellica: Il caso di Israele

Lo scoppio dell’ultimo conflitto tra Israele e il gruppo terroristico Hamas ha avuto tra le sue più spiacevoli conseguenze, quella di generare nei mass media e nei social network un criterio inedito per definire se un conflitto è “giusto” o “sbagliato”.

Si tratta di un criterio che viene usato in esclusiva per Israele ogniqualvolta è in conflitto con Hamas, ed è quello della rendicontazione dei morti civili. Così facendo i mass media hanno volutamente dato all’ascoltatore o al lettore (che molte volte per fretta si limita a leggere solo il titolo di un pezzo) uno strumento completamente deformato per farsi un’opinione in merito al conflitto appena concluso.

Nei numerosi resoconti che abbiamo letto o ascoltato non sono mai state fornite le più elementari informazioni sul fatto che i terroristi utilizzavano i centri abitati come piattaforme di lancio per i loro razzi e come, in spregio ad ogni considerazione morale, etica e legale utilizzassero i civili come scudi umani. In questo modo i contrattacchi israeliani apparivano (o venivano descritti) come intenzionalmente mirati a danno della popolazione civile o nella migliore delle ipotesi “sproporzionati”, concetto questo disciplinato dal diritto internazionale ma completamente falsato e travisato dagli organi di informazione e dalle parole di politici senza scrupoli.

Un’altra caratteristica di questo modo di fare informazione è stato quello di anteporre – sempre e sistematicamente – la reazione dell’aggredito all’atto dell’aggressore. In questo modo, dopo pochissimo tempo, non era più chiaro chi fosse l’aggressore e chi l’aggredito. Così, fin da subito non c’era più un soggetto (Hamas), che aveva iniziato un conflitto con un atto di aggressione militare, e uno (Israele) che si difendeva come prevede il diritto internazionale e il buon senso, ma c’erano due soggetti sullo stesso piano: due aggressori dei quali non si capiva chi avesse iniziato il conflitto e perché.

Molto velocemente le TV, la radio e i giornali, hanno iniziato a parlare di “lancio di razzi” e “ritorsione” fino ad arrivare a casi di autentico fanatismo mediatico descrivendo le vicende come “attacchi” e “rappresaglie”. Il più delle volte anteponendo la “rappresaglia” al lancio dei razzi. Nel vocabolario italiano, questo termine, in ambito bellico significa: “Azione o misura punitiva, violenta e disumana, indiscriminata,”. Arrivati a questo punto perde completamente di importanza chi ha iniziato il conflitto o se qualcuno aveva ragione o torto. Ormai esisteva solo un soggetto (Israele) che è “violento, disumano e indiscriminato” e di conseguenza l’altro che è per forza la vittima. Questo impianto narrativo è stato saldamente corroborato dal numero delle vittime civili allo scopo di ribaltare completamente la realtà dei fatti.

Prima di tentare di applicare questo principio distorto e decontestualizzato ad alcuni conflitti del passato, proviamo a vedere se contestualizzandoli nel giusto ordine, gli avvenimenti bellici possono assumere un’altra valenza.

La deformazione dei fatti

Il conflitto è iniziato con il lancio di razzi da Gaza, il territorio controllato da Hamas che hanno colpito dei centri urbani alla periferia di Gerusalemme. Questo è un chiaro atto di attacco armato al quale tutti gli Stati (incluso Israele) hanno diritto di rispondere militarmente, come previsto dal diritto internazionale (Art. 51 Statuto ONU). Quindi è chiaro chi è l’aggressore (Hamas) e chi è l’aggredito (lo Stato di Israele).

Quest’ultimo conflitto è stato anche un esempio di guerra asimmetrica dove ad un soggetto è richiesto il pieno dovere nel rispettare le regole imposte dalle leggi internazionali (lo Stato di Israele) e un soggetto (Hamas) che essendo un’organizzazione terroristica non sarebbe tenuta a farlo. Però questo stesso soggetto (Hamas) riceve aiuti in beni e denaro da molte organizzazioni internazionali e Stati. Ha il controllo totale della popolazione che governa con leggi da esso stabilite, richiede il pagamento delle tasse, disciplina l’educazione scolastica e quella religiosa, ha il controllo del territorio, della sicurezza pubblica e delle frontiere. In pratica possiede tutte le caratteristiche statuali. Di conseguenza implicitamente detiene tutte le responsabilità verso la popolazione civile che governa. Nessun organismo internazionale ha mai obiettato nulla in proposito. Quindi, implicitamente, gli si riconoscono i diritti e i doveri anche verso gli altri Stati agendo di fatto come entità statuale. Per tale ragione questo soggetto (Hamas) fin dal primo momento (bombardamento indiscriminato e senza obiettivi militari precisi di centri urbani civili) ha violato in modo sistematico il diritto internazionale. Inoltre, utilizzando i centri abitati come istallazioni militari per effettuare bombardamenti sistematici, ha nuovamente violato le leggi internazionali, facendolo ulteriormente utilizzando la popolazione civile come protezione illegale della propria attività bellica.

L’altro soggetto della contesa (lo Stato di Israele) ha rispettato tutti i principi richiesti dalla Convenzione dell’Aia del 1907 concernenti le leggi di guerra. Basta leggerne la Sezione 2 per capirlo. Infatti, ha colpito solo le strutture utilizzate da Hamas per scopi militari e non ha mai bombardato a casaccio. Se ci sono state vittime civili, questo è stato a causa del fatto che le istallazioni militari di Hamas sono state dislocate volutamente in mezzo alla popolazione civile. Sarebbe, inoltre, interessante sapere un giorno quanti dei civili morti sono stati causati dagli attacchi aerei israeliani e quanti causati dai missili che Hamas ha fatto cadere sul proprio territorio (sono stati ben 640 e sono molti di più di quelli che hanno raggiunto i centri abitati in Israele).

A conferma di quanto esposto si possono citare anche le cifre sulle vittime del conflitto. Israele ha avuto 12 morti complessivi: 11 civili e 1 militare. Il 91,6% sono vittime civili, quindi è chiaro che l’obiettivo di un soggetto (Hamas) è stato quello di colpire sistematicamente i civili israeliani. Dal lato palestinese, le cifre come sempre sono più difficili da stabilire. Secondo fonti ONU (che sono poi quelle fornite da Hamas) ci sono state 254 vittime delle quali 129 combattenti (secondo fonti israeliane che ha fornito nomi e cognomi solo almeno 150 i combattenti uccisi). Prendendo per buone queste cifre si evince che i combattenti morti sono stati oltre il 50% delle morti totali. Se a questo aggiungiamo che non si sa con esattezza quanti civili siano stati uccisi dai razzi di Hamas, è chiaro che l’azione difensiva di Israele non aveva come obiettivo i civili. Di tutto questo nulla è emerso nelle cronache e nei commenti dei mass media.

Per quanto concerne la disparità nel numero delle vittime del conflitto, ciò si spiega con il fatto che Israele, da anni, investe ingenti risorse per proteggere la propria popolazione civile, con il sistema antimissile Iron Dome, con i rifugi nei centri urbani e con le stanze blindate nelle abitazioni private. Hamas dal canto suo cosa fa? Spende enormi risorse per creare istallazioni per il lancio dei razzi nei centri urbani, nelle scuole, vicino a moschee e ospedali; tutto questo con l’intento di mettere la popolazione civile in prima linea. Inoltre, ha costruito chilometri di tunnel per scopi militari. I rifugi realizzati sono costruiti ad esclusivo uso dei suoi comandanti e relative famiglie. Anche di questo fatto non vi è traccia nelle cronache giornalistiche. E’ evidente che la vera “disparità” di forze risiede nella propensione a proteggere la propria popolazione civile.

Proviamo per un attimo a “rileggere” alcune guerre passate con gli stessi criteri adottati per descrivere l’ultimo scontro tra lo Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas. Gli strumenti di “rilettura” sono solo: il numero di morti civili e la potenza militare dei contendenti, tutto il resto (chi ha scatenato la guerra, atteggiamento verso i civili propri e degli avversari, cause dell’intervento nel conflitto, considerazioni politiche, umanitarie e di diritto) verrà opportunamente omesso come i media hanno fatto nei giorni scorsi.

Seconda guerra mondiale

Morti civili tedeschi: oltre due milioni.

Morti civili giapponesi: circa un milione.

Morti civili inglesi: circa novanta mila.

Morti civili americani: circa otto mila.

Si è utilizzata volutamente la comparazione tra Germania e Giappone da un lato e Gran Bretagna e USA dall’altro perché sia in Europa che in Estremo Oriente sono stati i responsabili quasi esclusivi dei bombardamenti aerei sulle città e sulle infrastrutture tedesche e giapponesi.

Potenza militare e industriale di molto superiore quella angolo-americana rispetto a quelle di Giappone e Germania.

Con questi “criteri” non ci sono dubbi: i tedeschi e i giapponesi avevano ragione e gli inglesi e gli americani avevano torto. C’è stato, inoltre, un uso sproporzionato della forza.

Prima guerra del Golfo

Morti civili iracheni: 3.664. Che sono quelli direttamente colpiti dai bombardamenti della coalizione e sono esclusi i curdi e gli sciiti uccisi nella repressione di Saddam.

Morti civili della coalizione internazionale (tra cui l’Italia): zero.

Potenza militare e industriale di molto superiore quella della coalizione internazionale rispetto a quella dell’Iraq.

Con questi “criteri” non ci sono dubbi: gli iracheni avevano ragione e la coalizione internazionale aveva torto. C’è stato, inoltre, un uso sproporzionato della forza.

Guerra in Somalia

Dal 1992 al 1995 si sono succedute tre diverse missioni ONU, per riportare l’ordine in Somalia dilaniata da anni di guerra civile, denominate UNITAF, UNOSOM I e UNOSOM II.

Morti civili somali: diverse migliaia. Non è mai stata fatta una stima ufficiale.

Morti civili degli Stati membri della missione (tra cui l’Italia): zero.

Potenza militare e industriale di molto superiore quella della coalizione internazionale rispetto a quella della Somalia.

Con questi “criteri” non ci sono dubbi: le bande somale avevano ragione e la coalizione internazionale aveva torto. C’è stato, inoltre, un uso sproporzionato della forza.

Guerra del Kosovo

Dopo l’inizio degli scontri interetnici tra serbi e albanesi nel 1998 in Kosovo, la NATO decide di intervenire con una campagna di bombardamenti in Serbia che durò dal 24 marzo al 11 giugno 1999. Ai bombardamenti partecipò anche l’Italia per volontà del governo presieduto da Massimo D’Alema.

Morti civili serbi: oltre 2.500

Morti civili paesi della NATO: zero.

In queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di altre forme di cancro causate dagli effetti delle radiazioni delle bombe ad uranio impoverito utilizzate massicciamente sul territorio.

Potenza militare e industriale di molto superiore quella della coalizione internazionale rispetto a quella della Serbia.

Con questi “criteri” non ci sono dubbi: la Serbia aveva ragione e la coalizione internazionale aveva torto. C’è stato, inoltre, un uso sproporzionato della forza.

A queste guerre e conflitti se ne possono aggiungere numerose altre avvenute in Africa, Asia e Centro America. Mai in nessun caso la comunità internazionale ha parlato di uso “sproporzionato” della forza. Pare del tutto evidente che l’utilizzo di certi “criteri” avviene unicamente quando è coinvolto Israele.

I criteri e le cifre sono facilmente alterabili se decontestualizzati e strumentalizzati. Bisogna fare in modo che l’opinione pubblica lo capisca e non si faccia manipolare da una comunicazione totalmente sbilanciata se non apertamente propagandistica.

 

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