Israele e Medio Oriente

I diversi fronti dell’offensiva contro Israele

Con il protrarsi della guerra contro i terroristi palestinesi, è diventato sempre più evidente di come Israele stia combattendo un’aspra guerra su diversi fronti.

C’è il teatro bellico vero e proprio, a Gaza, dove l’esercito di Israele sta conducendo una difficile guerra urbana tra le case, gli ospedali e i luoghi di culto trasformati dai palestinesi in basi militari, e sotto terra nelle centinaia di chilometri di tunnel costruiti con i soldi provenienti dai cosiddetti “aiuti umanitari”.

Poi ci sono i fronti della guerra legale, della disinformazione e della criminalizzazione portati avanti dai nemici di Israele e dai pseudo amici. Questi fronti sono più pericolosi, velenosi e alla lunga i più temibili per l’esistenza stessa dello Stato ebraico. Qui ci occuperemo di questi ultimi.

Per Israele, il fronte della guerra legale o lawfare ha assunto un ruolo sempre più temibile e pericoloso dalla stipula degli Accordi di Oslo del 1993-1995 (autentica trappola auto-costruita da una parte della società israeliana) in avanti, fino alle odierne offensive portate avanti dal Tribunale Penale Internazionale e dalla Corte di Giustizia Internazionale con l’incosciente aiuto di alcuni giudici israeliani e di una piccola parte della classe politica del paese.

È del tutto evidente che se Israele si dimostra debole e diviso su questo fronte, la sua esistenza stessa è posta in serio pericolo. Noi tutti ci ricordiamo delle innumerevoli manifestazioni di piazza quando il governo ha propose una legge di riforma del sistema giudiziario del paese. Uno degli slogan più utilizzati fu “la riforma giudiziaria indebolirà Israele a livello internazionale e questo esporrà il paese al lawfare internazionale”. Bene, un anno dopo, la riforma della giustizia è stata congelata ma Israele è stato accusato dei crimini più turpi proprio dai (presunti) massimi organi di giustizia internazionale: la Corte di Giustizia Internazionale e il Tribunale Penale Internazionale. Quindi, è evidente che il rinunciare alla riforma della giustizia non ha fatto da “scudo” a queste false accuse, come pretendevano certi giudici, molti politici e unna parte dell’opinione pubblica. Come mai nessun organo di informazione lo mette in rilievo? È semplicemente passato in sordina, come sono passati in sordina i gravi errori commessi da alcuni giudici e politici nell’affrontare il pericolo posto dalle corti internazionali.

La mia tesi è sempre stata la seguente: Israele non doveva in nessun modo accettare il procedimento presso la Corte Internazionale di Giustizia; e non doveva in nessun modo permettere le indagini del procuratore Khan della Corte Penale Internazionale. Questo perché queste corti non sono corti di giustizia ma tribunali politici la cui sentenza era già scritta prima ancora che il procedimento fosse concluso. Infatti, se esse fossero delle vere corti di giustizia, i procedimenti contro Israele avrebbero dovuto essere cassati non appena presentati per quanto è previsto nello stesso statuto delle corti.

Ad esempio, Israele avrebbe dovuto, fin dall’inizio, dichiarare il tribunale penale illegittimo perché, esso stesso si è dichiarato tale non rispettando le regole del proprio Statuto (ammettendo l’inesistente Stato di Palestina). Israele, invece, ha accettato, in un caso, il giudizio della corte, nell’altro ha in qualche modo favorito le presenza del procuratore Khan sul territorio pensando che l’eccidio del 7 ottobre fosse lo scopo della sua indagine. Invece, Israele è caduto nella trappola delle corti politiche e di questo sono responsabili i vertici dello Stato. Sono loro i veri responsabili perché hanno creduto che bastasse raccogliere le prove dell’eccidio compiuto dai palestinesi (presso la Corte Penale Internazionale) o portare avanti una tesi di difesa ineccepibile (presso la Corte di Giustizia Internazionale) per poter scagionare Israele dalla false accuse pur sapendo bene come questi organismi si muovono e quali siano le loro agende politiche     

Per quanto riguarda la Corte Penale, era già tutto chiaro – se c’erano dubbi – fin dalla fine di ottobre quando il procuratore Khan, in una conferenza stampa al Cairo, dopo aver visitato il sud di Israele e l’area tra Egitto e Rafah aveva dichiarato che molte prove nei confronti di Hamas erano state raccolte e altre andavano trovate, mentre per la condotta militare di Israele a Gaza, era quest’ultimo che avrebbe dovuto fornire le prove che dimostrassero il rispetto delle leggi internazionali.

Dunque per il procuratore del più importante tribunale penale era necessario raccogliere le prove dei crimini di un’organizzazione terroristica mentre uno Stato democratico e di diritto, vittima di un eccidio avrebbe dovuto presentare le prove che dimostrassero che le proprie azioni fossero nei termini di legge in modo da non essere indagato. Questo significa che per il procuratore Khan, Israele è colpevole a prescindere, tutt’al più dovrebbe presentare le evidenze di non esserlo.

Khan ha dichiarato inoltre che il principio di complementarietà non è stato rispettato dal sistema giudiziario israeliano, per questo motivo ha chiesto i mandati di arresto, anche se, nella visione della legge del tutto alterata di Khan, i vertici politici israeliani erano già colpevoli a prescindere dalle prove fattuali, e per questa ragione il sistema giudiziario israeliano avrebbe dovuto chiedere l’arresto di Netanyahu e Gallant. Non avendolo fatto, tut0to il sistema giuridico israeliano è stato ritenuto da Khan non attendibile e indipendente, così ha agito in sua vece.

Per Khan la tesi è chiara: Israele è colpevole di crimini di guerra e se il sistema giudiziario non si è attivato, non è perché non esistono i presupposti ma perché è complice. Mentre le prove di accusa di Khan, si basano su voci raccolte da “esperti” mai stati in loco ma ragguagliati da operatori di ONG dalla lunga tradizione anti-israeliana. In quale tribunale non politico si è mai assistito a una cosa del genere?

Israele davanti a questo scempio non solo non ha mai reagito ma aveva perfino accettato un’ulteriore visita di Khan e della sua “commissione d’inchiesta” prevista pochi giorni dopo la sua richiesta d’arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant. La stessa cosa vale per la Corte di Giustizia. Questa corte aveva già manifestato tutto il proprio pregiudizio e la sua posizione anti-israeliana con il parere consultivo del 2004 sulla “barriera di protezione” arrivando a dichiarare che Israele non ha il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici.

Cosa pensava di ottenere, Israele, presentandosi d’avanti alla corte, dopo essere stato vittima di un eccidio, dovendosi invece difendere da una accusa di genocidio che ribaltava vertiginosamente la realtà fattuale di quanto accaduto? Purtroppo questa è l’ennesima dimostrazione di come la classe politica e militare di Israele, negli ultimi 30 anni almeno, non è assolutamente adeguata ai compiti di protezione del paese. La corporazione dei giudici è perfino peggio: o si è allineati al pensiero del giudice Aharon Barak o non si ha la possibilità di accedere al ristretto “club” dei giudici che contano e hanno voce in capitolo su qualsiasi cosa. A livello internazionale, Israele deve cambiare strategia: dalla difesa ad oltranza, all’attaccare in tutte le sedi (sanzionando i giudici politicizzati delle corti internazionali, evitando qualsiasi contato con loro e chiedendo agli USA l’applicazione del American Service Members Protection Act) o la guerra legale è persa e con essa lo scarso appoggio politico che ha nel mondo. 

In merito alla disinformazione, Israele e i suoi amici dovrebbero essere altrettanto risoluti: combattere in tutte le sedi la disinformazione che circonda da decenni lo Stato ebraico. Su questo fronte sono due i target principali: le scuole di ogni ordine e grado e i mass media completamente asserviti alla retorica anti israeliana e perfino antisemita. Per questo motivo diventa essenziale conoscere la storia di Israele e del suo popolo; solo così diventa possibile controbattere alle false accuse, ribadite uguali a se stesse da decenni, come quelle di “occupazione”, di “apartheid” o di “genocidio”. Se si accetta una sola di queste accuse, significa mettere Israele in ogni dibattito in una posizione di inferiorità morale e quindi politica rispetto all’avversario.

Bisogna essere pro-attivi: dimostrare con la conoscenza e i fatti storici che Israele o il popolo ebraico non hanno mai “rubato” nulla a nessuno, non hanno mire di “predominio” su nessuno ne tanto meno hanno provato a “sterminare” nessun popolo arabo. Semmai è vero l’esatto contrario e le prove storiche in questo senso sono numerose ma vanno conosciute in modo da evitare di diffondere falsità anche in buona fede.

Anche in merito alla criminalizzazione di Israele a livello internazionale la classe politica del paese ha le sue responsabilità, cominciando da Netanyahu. Ciò è avvenuto perché nessun premier ha agito in maniera decisa e risoluta contro le agenzie ONU che sono colluse con i terroristi palestinesi a iniziare dall’UNRWA. Queste agenzie, i vari rappresentanti speciali dell’ONU, possono circolare tranquillamente in Israele e diffondere falsità contro lo Stato senza subire sanzioni. In quale altro Stato si è mai visto una cosa del genere? Inoltre, Israele non ha mai reagito diplomaticamente o politicamente contro nessuno Stato che ne minaccia (politicamente) l’esistenza. Valgano due esempi per tutti.   

La Giordania da quando ha firmato gli accordi di pace, nel 1994, non ha fatto altro che attaccare e criminalizzare Israele in ogni forum mondiale. Ad esempio la famosa Blacklist di aziende che operano in Giudea e Samaria, creata dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU, per criminalizzare chi lavora in Giudea e Samaria, è opera del rappresentante giordano. Dalla Giordania transitano fiumi di armi e soldi per i terroristi che operano in Giudea e Samaria. La Giordania glorifica gli assassini di civili israeliani. Cosa fa Israele? Israele fornisce alla Giordania molta più acqua di quella espressamente concordata nel trattato di pace, fornisce gas a prezzo più basso del mercato, permette a migliaia di lavoratori giordani di entrare in Israele per lavorare con stipendi molto più alti di quelli giordani. Ha ancora senso tutto questo dopo il 7 ottobre?  

Il Belgio, da decenni, è uno dei paesi più ostili ad Israele nella UE, possiede un consolato nella zona est di Gerusalemme che funziona di fatto da “ambasciata per l’Autorità palestinese”. Tutti i politici israeliani hanno sempre chiuso un occhio su questa illegalità portata avanti anche da altri paesi europei e dagli USA. Il Belgio si è contraddistinto per politiche ferocemente accusatorie nei confronti di Israele e della sua legittima esistenza ad iniziare dai funzionari di questo consolato. È importante sottolineare che da alcuni anni il Belgio si rifiuta di pagare alla municipalità di Gerusalemme le utenze del suo consolato: non paga le forniture di acqua, l’elettricità, la raccolta di rifiuti ecc. Questo perché i vari governi belgi sostengono che il consolato si trovi in “territorio palestinese occupato” e che quindi nulla è dovuto allo Stato di Israele. È mai possibile che Israele accetti una cosa del genere? E nel momento in cui l’accetta, non l’avvalla? 

Quelli citati sono solo due esempi tra tantissimi altri che si potrebbero fare. Se la classe politica israeliana accetta tutto questo considerandolo il “male minore” non c’è da sorprendersi se lo Stato ebraico si trovi sempre più isolato a livello internazionale: non fa nulla per difendersi e per contrastare una criminalizzazione che è ormai diventata la verità in troppi ambienti a iniziare dalla università.

La speranza per Israele risiede in una classe politica che ponga fine a tale politica di appeasement verso gli Stati che lo delegittimano da anni; così come in presunti sostenitori che devono cessare di essere dei portavoce di scritti che falsificano la sua storia.    

 

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