Editoriali

I soldati bambini e il loro protettore

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dopo avere preso la decisione di ritirare i 100 operativi americani che garantivano la sicurezza degli alleati curdi nell’nordest della Siria lasciandoli in balia dell’offensiva turca, ha voluto ricordare il dolore dei famigliari dei soldati americani che vengono rimpatriati morti. Le “endless wars” in posti non limitrofi, devono essere evitate, bisogna portare a casa i soldati e assicurare il loro benessere tra le mura domestiche.

Si da però il caso però che i soldati presenti in Siria siano lì come volontari, sono uomini e donne che hanno deciso di trovarsi dove si trovavano perché credevano e credono in una missione da compiere, quella di stare accanto a chi combatteva i jihadisti dell’ISIS. Una missione che comporta e comportava il rischio della vita. Per la maggioranza di loro è stato mortificante dovere andare dai curdi e dirgli che se ne andavano repentinamente a casa dopo essere stati al loro fianco per degli anni.

Donald Trump, come Commander in Chief si è eretto protettore delle truppe, senza considerare che i membri di queste truppe avevano scelto da adulti consapevoli di trovarsi dove si trovavano, con un senso alto e chiaro del dovere da compiere. Non avevano bisogno né hanno bisogno del presidente per essere protetti. Non si tratta di bambini e bambine da accogliere paternamente tra le proprie braccia per portarli a casa al salvo.

La retorica delle salme dei soldati morti che ritornano in patria per lo strazio dei famigliari, è solo un ricatto sentimentale, pura demagogia elettorale. Niente di più, niente di meno.

I soldati americani che si trovavano in Siria a fianco dei curdi erano nel paese perché pensavano e pensano che la libertà e la lotta contro il jihadismo vadano difesi anche a migliaia di chilometri dal cortile di casa del Wyoming o del Delaware. Ma Trump ha detto loro che devono tornare a casa perché la loro missione è finita. Ed è finita perché Erdogan era impaziente di entrare in Siria con le sue truppe, bisognoso di un rilancio a livello nazionale come leader risoluto e forte dopo il recente appannamento della sua immagine in patria.

E’ finita anche perché gli Stati Uniti già con l’amministrazione Obama e ora con l’amministrazione Trump, ritengono che il Medioriente non sia più strategicamente rilevante come una volta e costi troppe risorse.

Ma non è ritirando i soldati in fretta e furia e mandando in fumo una missione pazientemente costruita in cinque anni, che si fanno davvero gli interessi di questi ultimi, che si esalta il loro operato e il loro onore. Non così, come se si stesse scappando alla pari di ladri nella notte lasciando campo libero a un integralista islamico senza scrupoli il quale ha ottenuto tutto quello che voleva e presto, salvo colpi di scena, sarà ricevuto a Washington.

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