Israele e Medio Oriente

Il diritto di Israele: Le parole di Mohammed Bin Salman

Sull’ultimo numero dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg intervista Mohammed Bin Salman. Nell’intervista il giovane principe, futuro re dell’Arabia Saudita, fa una affermazione politica rilevante, dichiarando che Israele ha il diritto di esistere come stato.

Goldberg gli chiede “Parliamo del Medioriente. Lei ritiene che il popolo ebraico abbia il diritto a uno stato-nazione in almeno una parte della sua patria ancestrale?

MbS risponde: Ritengo che ogni popolo ovunque abbia il diritto di vivere in una nazione pacifica. Ritengo che i palestinesi e gli israeliani abbiano diritto alla loro terra.

Si tratta di una dichiarazione politica importante poiché non viene riconosciuto l’ovvio fatto che Israele esista, cosa che riconobbe anche l’OLP e quindi l’Autorità Palestinese, ma che esso abbia il diritto alla sua esistenza. La differenza è notevole. Nessun leader arabo lo aveva fatto prima d’ora in questa forma.

La realpolitik attuale in Medioriente muove una parte consistente del mondo sunnita, con l’Arabia Saudita che fa da mosca cocchiera, verso una convergenza tattica nei confronti di Israele in funzione anti-iraniana. La dichiarazione di Mohammed Bin Salman è un ulteriore tassello di quella politica di cooperazione tra il regno saudita e gli Stati Uniti che ha in Israele l’epicentro fondamentale di garanzia contro le mire espansionistiche del regime di Teheran.




La dichiarazione ormai storica di Donald Trump del 6 dicembre scorso su Gerusalemme capitale di Israele ha avuto l’agio di non essere ostacolata dalla casa regnante di Saud. E’ sotto gli occhi di tutti gli osservatori che la cosiddetta “causa palestinese” ha ormai una importanza residuale negli assetti ed equilibri mediorientali agli occhi dell’Arabia Saudita e della costellazione di emirati arabi che le gravitano intorno, dal Bahrein all’Oman al Kuwait. L’Egitto e la Giordania sono sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda. Il mondo arabo non può che sostenere ritualmente la rivendicazione palestinese ad uno stato autonomo, ma non più nella forma di lotta armata o azioni terroristiche. Questo è un punto dirimente che lo stesso Bin Salman nell’intervista all’Atlantic, ha illustrato in generale come impegno per contrastare il terrorismo di matrice musulmana integralista.

“Ci troviamo in una regione che non è circondata dal Messico, dal Canada, dall’oceano Pacifico e dall’Atlantico. Abbiamo l’ISIS, al-Qaeda, Hamas e Hezbollah e il regime iraniano e abbiamo anche I pirati. I pirati che assaltano le navi. Quindi qualsiasi cosa che tocchi la sicurezza nazionale non è un rischio che l’Arabia Saudita possa correre”.

Hamas e Hezbollah entrambi finanziati dall’Iran sono chiaramente elencati tra le forze jihadiste che rappresentano un rischio di destabilizzazione e come tali vanno contrastate. La posizione di Mohammed Bin Salman è di una chiarezza estrema.

L’esplicita apertura saudita nei confronti di Israele con la benedizione americana è da salutare favorevolmente nel nuovo scenario mediorientale, tuttavia cum grano salis. E’ necessario dunque incassare questo risultato tenendo tuttavia presente che esso nasce in base ad una esigenza geopolitica contingente. L’apologia dell’Islam che Bin Salman fa nell’intervista fornendone una versione edulcorata molto lontana dalla sua effettiva realtà storica, è comprensibile ma non permette di fare i conti con la responsabilità che l’Arabia Saudita stessa ha avuto nel fomentare il radicalismo islamico nella forma del rigorismo wahabita.

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