Stati Uniti e Afghanistan

Il disastro afghano

Anche se è sempre molto difficile e azzardato fare delle comparazioni tra guerre combattute in teatri differenti e in epoche diverse, quella che si stà concludendo in Afghanistan appare ogni giorno di più come una debacle americana con potenziali ripercussioni generali che appaiono peggiori di quelle successive alla guerra del Vietnam. Non è certo il numero dei soldati morti che possa essere paragonato: circa 2.500 (oltre che 3.500 “contractors”) rispetto agli oltre 50.000 del Vietnam ma le dimensioni politiche ed economiche del suo esito. 

Quale sia lo spessore del presidente Joe Biden lo ha mostrato egli stesso nei suoi discorsi sul ritiro americano dall’Afghanistan del 16, 20 e 22 agosto, nei quali ha palesato tutta la sua incompetenza, approssimazione e “arroganza unilaterale”. Iniziamo da quest’ultimo punto. 

L’elezione del presidente Biden è stata salutata da tutti gli “esperti” del mondo – soprattutto progressisti – come un sicuro miglioramento rispetto all’”incompetente”, “ignorante” e “sovranista”  Donald Trump. Soprattutto si è voluto enfatizzare il certo ritorno ad una politica “multilaterale” americana che tenesse gli alleati in maggiore considerazione e rispetto, soprattutto quelli della NATO. Di tutto questo nelle parole e nei fatti compiuti da Biden in Afghanistan non c’è nulla, anzi.

Per prima cosa è da sottolineare il suo discorso del 16 agosto, nel quale non ha mai accennato alla presenza degli altri membri della NATO e del loro ruolo nel tentativo di costruzione del “nation building” durato vent’anni e crollato in poche settimane. Se a questo aggiungiamo che a fronte delle richieste di tutti i paesi che hanno partecipato alla guerra in Afghanistan, di prolungare la presenza USA dopo la data fissata dagli americani per il ritiro (31 agosto) per coordinare meglio l’evacuazione, Biden ha risposto con un secco e unilaterale “noi ce ne andremo il 31”, ben si capisce come il presidente americano consideri l’operato e l’opinione degli alleati: come degli inutili e incapaci servitori, altro che “multilateralismo”.

Quante proteste e quanta manifesta indignazione si è vista da parte progressista? Nessuna. Una goffa e parziale retromarcia è stata fatta da Biden nei discorsi del 20 e 22 agosto, in merito all’operato degli alleati, ma la toppa è stata peggio del buco e si capito come Biden consideri gli alleati: un “fardello”.  

Gli Alleati 

Quanto detto e fatto da Biden ci porta ad ulteriori considerazioni in merito agli altri “alleati” degli USA. In modo particolare a quelli mediorientali. Per prima cosa è opportuno prendere in esame una cartina geografica dell’Afghanistan per capire meglio di quali appoggi gode “la banda di straccioni” talbana, così definita dal presidente americano in carica.

Come si evince, chiaramente, dalla cartina, l’Afghanistan non ha accesso diretto al mare quindi come fa la “banda di straccioni” ad esportare tonnellate di oppio, ogni anno, per autofinanziarsi? Le principali vie di transito dell’oppio sono due: l’Iran e il Pakistan. L’Iran ha tutto l’interesse in questo traffico perché serve a finanziare il suo principale alleato: Hezbollah in Libano, il Pakistan perché è legato a doppio filo con i talebani: da un lato permette il traffico dell’oppio con il quale si autofinanzia il movimento degli studenti coranici, dall’altro ospita e indottrina i talebani stessi nelle sue scuole coraniche sparse per il paese, soprattutto a confine con l’Afghanistan. Questo è bene rimarcarlo: l’indottrinamento e la “formazione” dei talebani avviene principalmente in Pakistan (alleato USA). Se a questo aggiungiamo il ruolo di altri “alleati regionali” degli USA: Qatar, Emirati, Kuwait e Arabia Saudita che sono tutti lauti finanziatori dei Talebani (sono diverse centinaia di milioni di dollari l’anno che donano) si capisce bene come gli USA e gli alleati NATO non potevano mai vincere la guerra in Afghanistan: i Talebani sono solo il braccio armato di un movimento radicale islamico che va ben al di là dei confini afghani, il quale trova in Pakistan le scuole di indottrinamento e nel Golfo persico i suoi principali finanziatori. Pensare di sconfiggere i Talebani combattendo nelle montagne afghane chiudendo gli occhi sui suoi “alleati” è del tutto risibile.

Ritiro e profughi   

Molto è stato detto e scritto in merito al precipitoso e mal gestito ritiro americano. Un punto fondamentale è stato però quasi del tutto trascurato: dopo i primi giorni di ordinato e controllato ritiro e imbarco dei civili di varie nazionalità e degli afghani “compromessi” con gli Occidentali, con l’arrivo dei Talebani a Kabul tutte le strade d’accesso all’aeroporto sono di fatto controllate da loro. I soldati americani e degli altri paesi ancora presenti in Afghanistan sono tutti all’interno del perimetro aeroportuale mentre chi controlla e permette il flusso di profughi verso l’aeroporto sono i Talebani stessi: sono loro che decidono chi passa e chi no. Quindi è più che plausibile pensare che tra le decine di migliaia di afghani in fuga ci siano numerosi infiltrati inseriti dai Talebani. Un’altra faccenda poco nota è la gestione di questi profughi. La maggior parte di essi – quelli trasportati dagli americani – non arriva direttamente negli Stati Uniti bensì nelle basi americane nel Golfo persico e in Europa. E solo qui che avviene un controllo più capillare per capire chi ha i documenti in regola per poter ottenere un visto per gli USA, tutti gli altri verranno rilasciati nei paesi dove si trovano le basi (in Italia Aviano e Sigonella). Quindi decine di migliaia di persone si troveranno libere di girare nei paesi di arrivo, senza che si sappia chi siano esattamente.

Alcune conclusioni  

Per quanto detto finora si capisce benissimo che nulla di tutto questo era successo, ad esempio, a Saigon dove la città fino all’ultimo era controllata dagli USA e dalle truppe sud vietnamite. Inoltre, il ritiro americano non aveva comportato un senso di disfatta e abbandono degli alleati come si è verificato in Afghanistan, dove anche gli alleati più stretti della NATO, non hanno avuto nessuna voce il capitolo dall’inizio alla ingloriosa fine. 

Infine, il danno d’immagine più grave che gli USA si sono inferti è relativo all’impianto politico stesso della ventennale guerra d’Afghanistan: con quale credibilità internazionale si potranno muovere in futuro per sradicare il terrorismo dopo una inconcludente guerra contro “una banda di straccioni” ben sapendo che chi li finanzia e li indottrina stà tranquillo al di fuori dell’Afghanistan? 

Nei prossimi mesi vedremo come si muoveranno Cina, Iran, Russia e Turchia per capire appieno la portata  reale del disastro.

Se pensiamo che questa amministrazione si è insediata solo da pochi mesi – per un mandato di 4 anni – e che abbia combinato già così tanti danni, c’è poco da stare allegri, ci sono tutti i presupposti che riesca a fare molto peggio del peggior presidente USA degli ultimi 100 anni: Jimmy “nocciolina” Carter.  

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