Editoriali

Il Festival della discordia

Il comunicato del Presidente della Comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi e quello del presidente della Comunità ebraica di Ferrara, Fortunato Arbib, entrambi realtivi al Festival delle Memorie di Ferrara, dal quale prendono entrambi le distanze sottolineadone la criticità, e nel caso di Walker Meghnagi, evidenziando l’inammissibilità di ciò che Vittorio Sgarbi ha detto durante la conferenza di presentazione dell’evento, sono non solo necessari, ma non erano più procastinabili.

A dieci giorni dalla conferenza e dopo il duro comunicato del Centro Simon Wiesenthal di Parigi, che soffermandosi sulla improvvida affermazione di Sgarbi sullo “sterminio” dei palestinesi perpetrato da Israele, ne ha rimarcato il carattere antisemita in linea con gli esempi di antisemitismo forniti dalla dichiarazione IHRA, il mondo ebraico istituzionale non poteva più tacere.

Noi de L’Informale, senza volerci prendere alcun particolare merito, ma semplicemente evidenziando il ruolo che svolgiamo nell’informare i nostri lettori su ciò che riteniamo urgente e importante in merito a Israele, al Medio Oriente e ai fenomeni di antisemitismo e antisionismo, purtroppo all’ordine del giorno, siamo stati i primi a scrivere di ciò che è accaduto durante la presentazione del Festival ideato da Moni Ovadia e patrocinato da Vittorio Sgarbi.

Abbiamo voluto sottolineare la matrice ideologica di questo evento, il cui scopo, con l’intento di declinare il Giorno della Memoria al plurale, è quello di sottrarre alla Shoah – nel ricordo della quale la ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea Generale dell’ONU il 21 novembre del 2005 – la sua centralità.

Operazione che ha una ben precisa matrice programmatica: la volontà di attaccare ogni specificità identitaria forte in nome di una presunta maggiore inclusività, quando, in realtà, unire e mischiare tra di loro genocidi diversi per scopi, portata, specificità, non fa che confondere, creare cortocircuiti, livellare.

La Shoah ha, come ogni genocidio, una sua irriducibilità, ma, diversamente da ogni altro genocidio compiuto nel Novecento, anteriormente ad esso e ad esso posteriore, ha una caratteristica che la isola da tutti gli altri; la volontà di distruggere un intero popolo, dapprima in Europa (obbiettivo quasi raggiunto durante la Seconda guerra mondiale) e idealmente a livello globale, non per questioni territoriali, economiche, nazionalistiche, ma esclusivamete base della sua identità di popolo, identità che ovunque fosse stata rintracciata avrebbe dovuto essere annientata. Questo evento unico per portata e scopo è stato preparato da secoli di odio nei confronti degli ebrei, odio determianto dal fatto che fossero ebrei. Il nazismo non ha fatto che portare alle sue logiche e mostruose conclusioni quello che esigeva una lunga e incessante istigazione.

Tutto ciò va tenuto fermamente chiaro. Il rispetto di genocidi diversi, il dovere di farne memoria, deve trovare una sua legittimità fuori da una giornata che si è voluta dedicare a questo evento e non a un altro. In questo senso, il Festival delle Memorie non può che essere contestato alla radice.

Avere chiamato Franco Cardini, come tutor accademico del Festival, evidenzia un ulteriore vistosa problematicità. Il filosciitismo di Cardini, la sua ben nota avversione per l’assetto liberale occidentale, che parte fin dagli anni giovanili quando militò nella Giovane Europa, l’organizzazione fondata dall’ex collaboratore del Terzo Reich, Jean Thiriart il cui scopo era quello di sganciare il continente dal Patto Atlantico, nonchè la sua palese antipatia per Israele e la sua predilezione per le fantasie cospirazioniste, non possono che renderlo inadatto al ruolo. Che sia stato scelto lui e non un altro, la dice lunga sulla smaccata natura ideologica di questa operazione.

P.S Prendiamo atto che anche il MEIS di Ferrara ha emesso un comunicato tardivo e di rito in cui prende le distanze dal Festival, nonostante il fatto che il suo direttore, Rav. Amedeo Spagnoletto, abbia scelto di essere tra i relatori dell’evento come specifica il programma. Cercare di fare passare il suo intervento come dipendente dalla Prefettura di Ferrara, come ha affermato il Presidente del MEIS, Dario Disegni, non solo offende l’intelligenza di chi legge questa giustificazione, ma manifesta una palese contraddizione. Il MEIS non può prendere le distanze da un evento e poi inviare un proprio autorevole rappresentante a prenderne parte. E’ vero che questo è il paese della Commedia dell’Arte, ma qui ci troviamo al cospetto della farsa.

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