Israele e Medio Oriente

Il Mandato per la Palestina

Questo articolo di Bat Ye’or prende spunto della prefazione da lei scritta al libro di David Elber Il Mandato per la Palestina. Le Radici Legali Dello Stato di Israele, Prefazione di Bat Ye’or, Salomone Belforte & C. Livorno; Strumenti 3, Ricerche sull’antisemitismo e sull’antisionismo.

Oggi, mentre lo Stato di Israele si sta sgretolando sotto l’accusa di colonizzazione, occupazione, apartheid e ovunque si protendono su di esso dei tentacoli per negargli questo o quel territorio e il  diritto sovrano all’autodifesa – quando, inoltre, terroristi e aggressori sono trasformati in vittime, è interessante confrontare i criteri che hanno legittimato nel diritto internazionale la restaurazione di uno Stato ebraico sovrano sul suo territorio nazionale con quelli dell’attuale guerra per farlo a pezzi.

Il libro di David Elber ci fornisce un’analisi approfondita delle origini e della legittimazione internazionale delle radici storiche e giuridiche dello Stato di Israele. Questa legittimazione è stata firmata da 50 Stati rappresentati della Società delle Nazioni (LoN), organizzazione creata nel 1919 alla fine della Prima guerra mondiale. Questa guerra, iniziata da tre imperi alleati, l’impero tedesco, austro-ungarico e ottomano, si distribuì su tre continenti. Per la prima volta furono utilizzate armi di distruzione di massa che causarono immense perdite umane, mentre, nell’impero ottomano, furono perpetrate stragi di tipo genocida organizzate dallo Stato contro i propri sudditi cristiani.

Con profonda padronanza di un dossier complesso, David Elber distingue da un lato i vari trattati di pace in Europa e dall’altro la particolare situazione politica che prevaleva nell’impero ottomano. Quest’ultimo aspetto è praticamente ignorato dagli occidentali che immaginano che gli Stati arabi contemporanei risalgano a diversi secoli prima, mentre la loro esistenza risale solo ai trattati di pace della Prima guerra mondiale. Inoltre, le fonti della loro legittimità sono quelle che hanno avallato il diritto sovrano del popolo di Israele. Metterle in discussione significherebbe mettere in discussione le proprie. Qui è necessaria un po’ di storia.

Le conquiste arabe (VII secolo) in Siria, Mesopotamia, Persia, Medio Oriente ed Europa seguite da quelle dei turchi a partire dal IX secolo in Anatolia, Armenia e Balcani, accompagnate da deportazioni, schiavitù e massicce immigrazioni, avevano islamizzato e cancellato in questi immensi territori trasformati in califfati e sultanati, i confini e le culture storiche delle popolazioni indigene. Nel corso dei secoli, sebbene decimati dalla dhimmitudine, questi popoli avevano tuttavia conservato le loro caratteristiche etnico-religiose[1].

Nel XIX secolo i movimenti di liberazione nazionale nelle province europee ottomane ravvivarono le speranze di liberazione e indipendenza nella loro ex patria islamica. Per schiacciare il loro desiderio di indipendenza, i sultani ottomani, dalla fine dell’800, avevano indirizzato e impiantato nelle loro terre centinaia di migliaia di coloni musulmani fuggiti dai Balcani dove erano rinati gli ex stati cristiani, ora liberati dal giogo turco. Contemporaneamente, dal 1887, il sultano aveva proibito l’immigrazione in Terra Santa esclusivamente agli ebrei, anche ottomani. Elber menziona gli studi demografici dell’epoca che tengono conto di questi flussi islamici provenienti dall’Europa e dall’Est asiatico dell’impero che si accentuarono in questa regione prima, durante e dopo la Prima guerra mondiale.

Nei trattati di pace con la Turchia (1920-23) le potenze vincitrici, in particolare Francia, Inghilterra e Stati Uniti, applicarono ai popoli raïa (ebrei e cristiani nativi) dell’impero ottomano il principio di autodeterminazione sancito nei Quattordici Punti istituito dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson. Queste popolazioni includevano raias ebrei e cristiani (assiro-caldei, armeni) e musulmani curdi. È dunque sul defunto e frammentato impero ottomano che nacquero nel 1921-23 Egitto, Siria, Libano, Iraq e Palestina.

Nel 1920 la Gran Bretagna aveva ricevuto dalla Società delle Nazioni il Mandato per la Palestina (Eretz Israel) al fine di ottenere l’indipendenza del Focolare Nazionale Ebraico. Occorreva quindi determinare il perimetro geografico di un paese che non esisteva sulla carta geografica dal 135 d.C. e definire le prerogative del Mandato per la realizzazione dei suoi obiettivi: la restaurazione nella sua patria storica del popolo ebraico che era stato deportato, cacciato, massacrato o perseguitato dagli imperi conquistatori.

Nel 1921 la Palestina storica fu divisa in due parti: ad est del Giordano l’80% del territorio palestinese venne destinato alla popolazione arabo-musulmana della Palestina da cui erano esclusi gli ebrei, questo territorio ricevette il nome di Transgiordania. Il restante 20% a ovest del Giordano venne destinato al popolo ebraico per costruirvi la propria casa nazionale. I suoi abitanti ebrei erano designati come palestinesi, mentre cristiani e musulmani, aderenti al nazionalismo arabo ostile al sionismo, si definivano arabi. La spartizione della Palestina in due stati ha creato confini riconosciuti a livello internazionale. Da allora e fino ad oggi non ce ne sono stati altri: due paesi per due popoli in Palestina divisi dal Giordano, uno ebraico, l’altro arabo. I nomi cambiarono: il primo venne chiamato Israele e il secondo Giordania.

Il Mandato per la Palestina faceva parte dell’insieme dei trattati di pace internazionali tra la Turchia e le potenze vittoriose che riconoscevano il diritto all’indipendenza dei popoli soggetti all’impero ottomano. Fu in questo contesto che furono stabiliti i principi fondamentali della legittimazione di una nazione ebraica. Tali principi invocano: 1) i criteri del concetto di nazione (lingua, civiltà, storia) e 2) il legame storico di un popolo con il proprio territorio. Sono questi due principi che hanno giustificato il concetto di Patria Nazionale per la nazione ebraica in Palestina (Eretz Israel) e l’istituzione di un Mandato per assicurarne la realizzazione in vista dei genocidi jihadisti regionali. Va notato qui che il concetto di territorialità nazionale è estraneo all’Islam tradizionale, che riconosce solo quello della umma islamica.

Il preambolo del Mandato per la Palestina afferma che il riconoscimento di questi principi giustifica la ricostruzione di una nazione ebraica su questo territorio dal Mediterraneo al Giordano in conformità con l’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni che avalla il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Va notato che la parola “Palestina” è stata creata dai romani e che sotto il dominio islamico non c’è mai stato né uno stato arabo-musulmano né un’etnia palestinese, né una lingua o civiltà palestinese. Inoltre la parola, impronunciabile in arabo, è assente dal Corano.

Fu così che venne recepita nel diritto internazionale la legittimità della sovranità nazionale del popolo ebraico su tutto questo territorio. L’ex proprietario, la Turchia, aveva rinunciato a questi territori con i trattati di pace del 1920 e del 1923 che consentirono all’Egitto e all’Hejaz di affrancarsi dalla Turchia e di creare nuovi Stati: Libano, Siria, Iraq, Libia, nonché altre province vassalle della Turchia. Di tutti i paesi creati contemporaneamente da questi trattati, lo Stato ebraico, il più antico e legittimo, è l’unico la cui legittimità e il cui territorio sono contestati dall’alleanza del jihadismo e dell’antisemitismo europeo.

L’inchiostro dei trattati non era ancora asciutto quando i funzionari inglesi ostili allo Stato ebraico stavano già stringendo un patto con i nemici locali. Ostacoli e tradimenti nei decenni successivi bloccarono il compimento delle promesse. L’emergere del fascismo e del nazismo, a cui aderirono gli arabi cristiani e musulmani della Palestina e dell’Oriente, unito agli attacchi del terrorismo arabo antiebraico, costrinse la Gran Bretagna ad adottare una politica filoaraba contraria agli impegni del Mandato. La chiusura delle porte della Palestina ai profughi ebrei stimolò in tutta l’Europa occupata dai nazisti il ​​genocidio degli ebrei allo scopo di fare abortire lo Stato ebraico. Già negli anni ’30 l’antisionismo euro-arabo scatenò una propaganda di odio transcontinentale diffusa in tutto il mondo musulmano dagli imam che, durante la guerra, collaborarono con Roma e Berlino.

Cosa rimane oggi in Occidente delle promesse del 1920? Coloro che vi avevano contribuito speravano, contro forze opposte investite di un potere satanico, di costruire la riconciliazione ebraico-cristiana che era emersa dall’Età dei Lumi. Ma la risposta fu la Shoah. Si da il fatto che questo documento che riconosce il diritto sovrano di Israele nella sua patria e nella sua capitale Gerusalemme, va ben oltre il suo significato legale perché rientra anche nel campo religioso. Gli archivi diplomatici dell’epoca testimoniano che la restaurazione di Israele non è solo di ordine politico ma sconfina in campo religioso per un cristianesimo che ha fatto della distruzione del popolo ebraico in patria e del suo peregrinare obbligato nel mondo sotto la schiavitù dell’esilio, la prova trionfante della propria superiorità. È così che dobbiamo intendere la risposta di Clemenceau a Weizman durante il loro breve incontro quando lo statista francese che era un dreyfusardo gli dichiarò: “Noi cristiani non possiamo perdonare gli ebrei di avere crocifisso Cristo. »[3]

Tuttavia, la determinazione delle Potenze a portare a termine il Mandato faceva sperare nello smorzamento del fanatismo. Ed è certo che all’epoca questo sentimento era largamente condiviso. Ma non fu unanime. Perché nel seno stesso dei soldati e dei funzionari britannici incaricati di applicare le direttive del Mandato, era presente il collaborazionismo con musulmani e cristiani in combutta contro gli ebrei. Se per i cristiani la liberazione nazionale di Israele in patria vanificava la teologia della reiezione divina, del deicidio e della sostituzione ancora predicata dal Vaticano e dalle chiese ortodosse – per i musulmani la sovranità di Israele metteva in discussione il diritto teologico del jihad che ordina la supremazia islamica sul intero pianeta. Fu da questo nucleo con le sue staffette in Europa e negli Stati Uniti, nelle colonie musulmane di Francia e Gran Bretagna, nel Maghreb e fino all’India e al Pakistan, che fu forgiata e diffusa la guerra antisionista per tutto il XX secolo e di cui la Palestina islamo-cristiana fu ispirazione e frutto.

La guerra per rovesciare Israele scatenatosi con il sionismo non si è fermata, assumendo molteplici forme: rifiuto di aiutare i quattrocentomila ebrei tedeschi minacciati di morte alla conferenza di Evian nel 1938, guerra di sterminio transnazionale culminata nell’Olocausto sostenuto dall’Islam, invasioni militari nel 1948–1956–1967-1973 – terrorismo e campagna internazionale di diffamazione e demonizzazione. Guerra sovversiva di inversione della storia con la trasformazione dell’israeliano in soldato nazista, e dell’arabo palestinese collaboratore dei nazisti in inoffensiva vittima ebrea, guerra di parassitazione arabo-palestinese della storia ebraica volta a sostituire l’Islam palestinese a Israele, trasferimento del patrimonio storico ebraico all’Islam e cancellazione della topografia storica ebraica. E infine, per coronare il tutto, la creazione e il finanziamento di un’eccezionale organizzazione di pseudo-rifugiati, l’UNRWA, creata e mantenuta unicamente al fine di distruggere Israele.

Fu in questi tortuosi crogiuoli in cui le alleanze dei nazisti europei si rinnovarono dal 1973 con i loro alleati arabi, cristiani e musulmani, in particolare i palestinesi, che si forgiarono le falsificazioni della storia e della cultura giudeo-cristiane e le affabulazioni di uno pseudo-sionismo palestinese fabbricato dall’Unione Europea in Giudea e Samaria. Collaborazione simbiotica euro-araba dal 1973, favorevole alla penetrazione di un suprematismo islamico che sta corrodendo oggi l’Occidente, al punto che gli europei, scoprendo improvvisamente dall’orlo dell’abisso, la loro privazione culturale e difensiva disperano di salvare la loro civiltà da questo campo di rovine.

Cosa resta oggi degli impegni di Sanremo quando i leader occidentali umilmente, a nome del loro popolo, appongono la loro firma a una Dichiarazione dell’Onu che trasferisce a una banda di impostori tutta la storia del popolo d’Israele e le origini del cristianesimo? Questo atto di sottomissione conferma che i loro libri sacri biblici sono solo falsificazioni del Corano e che il wokismo che domina aelle Nazioni Unite può cancellare le discipline occidentali basate sui criteri della conoscenza e del razionalismo. Israele è sopravvissuto per un secolo all’alleanza fusionale del cristianesimo antisionista con l’Islam, ai suoi genocidi e al suo terrorismo, ma sembra che l’occidente cristiano stia esalando lì il suo ultimo respiro.

[1] Bat Ye’or, Il cristianesimo orientale tra jihad e dhimmitudine, prefazione di Jacques Ellul, Le Cerf: Paris, 1991; ristampa Jean-Cyril Godefroy, 2007.

[2] Per una lettura romanzata di questi eventi si veda la saga storica di Bat Ye’or, Beloved the Sufferers…, tre vol. Moïse, Elie, Ghazal, Les Provinciales, 2020-2022.

[3] Richard Meinertzhagen, Middle East Diary 1917-1956, Thomas Yoseloff, New York, 1960, p. 22.

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.menora.info/le-mandat-sur-la-palestine/#_ftn1

 

Torna Su