Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il manganello degli “antifascisti” contro Israele

S’avanza una nuova generazione di storici, quasi tutti torinesi, ma non è una buona notizia poiché si tratta di studiosi «militanti», ossessivamente antifascisti e anti-israeliani, secondo la miglior tradizione del capoluogo piemontese, vera e propria centrale dell’antisionismo. Il primo di questi è sicuramente Carlo Greppi, volto barbuto di Rai Storia e autore di numerosi saggi e romanzi.  

Greppi ha il demerito, per il quale gli andrebbe assegnata una medaglia di stagnola, di aver fondato Deina, l’associazione che ha trasformato i «viaggi della memoria» in opere di pedagogia politica progressista. A Deina hanno la pessima abitudine d’istituire paralleli tra lo sterminio degli ebrei e l’immigrazione; tra lo sterminio degli ebrei e la condizione dei palestinesi; tra lo sterminio degli ebrei e qualunque cosa. Consuetudine, questa, appresa dallo stesso Greppi che, a volte, si spinge persino oltre. Il 15 maggio del 2018, in occasione degli scontri tra israeliani e palestinesi avvenuti a ridosso della festa dell’indipendenza dello Stato ebraico, lo storico scrive su Facebook:  

«Certo che in Israele non è in atto una “soluzione finale”, ma qualcosa di molto più sofisticato e complesso – graduale, mi verrebbe da dire. Ma in una democrazia, molto più che in una dittatura, l’opinione pubblica conta, eccome. E se sta zitta, oscillando tra indifferenza e complicità, si sta assumendo la responsabilità del massacro insieme al proprio governo».  

Se Simon Wiesenthal fosse ancora vivo, diventerebbe un «cacciatore di antinazisti» date le offese che questi arrecano alla memoria ebraica della Shoah.  

Non è un caso che Greppi sia un grande amico di Eric Gobetti, tanto da averlo arruolato nella collana di libri che dirige per Laterza. Gobetti ha idee piuttosto eterodosse su Israele:  

«La Shoah ha favorito l’estremismo ebraico, il sionismo, che propugnava la creazione di uno stato nazionale ebraico in Palestina, un’idea fortemente minoritaria in Europa fino alla seconda guerra mondiale. Non si può dire che questo fosse l’obiettivo dei nazisti, ma tantomeno si può dire che la Shoah fosse l’obiettivo dei sionisti, che però ne hanno tratto un oggettivo vantaggio politico».  

Si tratta di un vecchio arnese della propaganda antisionista, già utilizzato da Noam Chomsky e Norman Finkelstein, secondo cui la memoria della Shoah costituirebbe una «copertura», una «linea di credito», un «oggettivo vantaggio politico» che permetterebbe di giustificare i presunti crimini d’Israele e, soprattutto, il suo crimine originario: essere nato nel 1948. In realtà, a ben vedere, oggi assistiamo a una ritorsione della Shoah contro gli ebrei. L’Olocausto è un corpo politico sul quale vengono a banchettare tutti coloro che ambiscono al prestigioso status di «vittima», palestinesi in testa, favoriti anche dall’azione di associazioni come Deina 

L’antisionismo di storici come Greppi e Gobetti è una filiazione diretta della loro idea di «antifascismo». Israele incarna tutto ciò che per loro è strutturalmente «fascista»: una statualità nazionale sovrana, una solida economia capitalistica e un’identità radicata nella tradizione religiosa. Il loro «antifascismo», ribadiamolo, coincide con un mondo post-nazionale e post-identitario, dunque non possono accettare la presenza di Israele, ritenuto un residuo antistorico, una scoria di un passato barbaro, un fossile dell’età delle nazioni.  

Si tratta di una visione estremamente parziale del nazifascismo. In «Terra nera. L’olocausto fra storia e presente», lo storico americano Timothy Snyder mette nero su bianco una convincente analisi su come la distruzione degli Stati nazionali nell’Europa orientale operata dell’Unione Sovietica e della Germania nazista abbia creato «zone d’ombra» prive di entità statali, all’interno delle quali l’omicidio di massa si è rivelato più facile. Insomma, lo sterminio degli ebrei è stato aggravato dalla disintegrazione delle sovranità statali.  

Qualcuno potrebbe obiettare che alcuni Stati, come quello francese, misero la loro burocrazia al servizio della macchina di morte nazista, ma è pur vero che lo sterminio si è consumato nell’Europa orientale smembrata. La rigorosa indagine di Snyder, che prende in considerazione paesi come la Danimarca, l’Estonia e la Bulgaria, fornisce una spiegazione convincente sul perché gli Stati nazionali relativamente integri siano stati più sicuri di quelli rasi al suolo.  

Una ricostruzione che certo non può piacere a taluni «giovani storici», intenti a presentare Stati nazionali e confini come intrinsecamente «fascisti». È su queste premesse che prosperano tutte quelle attività, convegni e lezioni, che pongono sullo stesso piano il fascismo e il sionismo. La Shoah è stata favorita dal fatto che gli ebrei non avevano uno Stato. La visione ingenuamente «no border» e «antifa» è stata, avrebbe detto un ebreo antisionista come George Steiner, «sconfitta dalla Shoah». 

 

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